Report ed Approfondimenti Storici – Culturali

alla QUARTA (4) FESTA ZIGANA

Ad una giovane ragazza (romni) e alle donne (o romaja)

Essere in festa

Essere noi

Anche se nulla resta

Giovane romni

ball

Fai nostra la vita

Falla girare come una stella

Falla girare tu che sei 

Calda come il sole e sempre bella”.

Frammento poetico tratto dal testo “la giovane romni” della poeta Marcella Colaci, una delle poesie donateci e dedicate ad una giovane (romni) e alle donne (pl.romaja) romanì.

Organizzata dal Mirs-Mediatori interculturali Rom e Sinti

in cooperazione con il ‘Centro Sociale la pace -Via del Pratello 53 -Bologna e con Comunimappe- la Libera Comune Università Pluriversità Bolognina

Testo artistico e -visivo realizzato dal nostro ricerc-a-t-t-ore Raffaele Petrone

Le giornate che hanno preceduto la festa sono state d’intensissima attività per garantire che tutto vada per il meglio,

per raggiungere più gente possibile riprendendo per mano i nostri congelati contatti pre-covid e soprattutto che tutt@ la gente che ci raggiungerà rimanga soddisfatt@ ,

per il cibo biologico e sostenibile che ci siamo procurati (da Rita -drogheria, al 53 di Via Pietralata-Pratello) per soddisfare non solo i nostri palati ma anche la Terra che ultimamente non se la passa bene e noi e gli altri esseri che la popolano tanto meno,

cibo vario e preparato con cura da Francesca Vacanti la nostra ‘cuoca’ appassionata e ricercatrice creativa di gusti e sapori delle varie tradizioni culinarie mediterranee (e per questa volta a suo dire non proprio zigani),

per la musica jazz popolare, contaminata dalle musiche Manush (dall’indiano mànusa o essere umano) francesi, dalla trazione zigana europea, e dal jazz americano degli anni trenta del secolo scorso portato a sintesi dalla genialità di Django Rehinardt, un romanì’ belga-francese;

musica ricercata, elaborata e coinvolgente dal suono semplice e complesso e allo stesso tempo eseguiti con grande passione da tre ricercatori-amici musicisti: i chitarristi Simone Marcandalli e Bruno Balsamo e dal controbbassista Agostino Ciraci,

ed infine per le nostre ricerche e narrazioni culturali (storiche -sociali) sulla presenza plurisecolare (il prossimo anno sono seicento anni di documentata presenza) delle comunità romanì (Rom e Sinte) disperse e marginalizzate da parte di Pino d March, vice-presidente di Mirs e docente e ricer-a-t-tore di Comunimappe,

come le tre volte precedenti in zona ortiva in via Erbosa 17.

Dopo un lungo confinamento che dura da quasi due anni e con l’attuale presenza endemica seppur attenuta del virus, l’idea di fare festa ci intriga parecchio, pur sapendo che quelle danze e quelli slanci vissuti nelle feste precedenti rimangono un sogno, alla stregua del desiderio di tornare a quella calda e forte convivialità che molti di noi hanno già sperimentato.

Ed è subito sabato sera.

Nella prima mezz’ora d’attesa quando tutto era predisposto, in noi si alternavano stati d’animo diversi, da un lato il desiderio di ritrovare quella convivialità perduta e dall’altra la preoccupazione per lo spettro del fallimento della festa-simposio precedente al Centro Costa, però con l’arrivo dei primi ospiti il nostro umore via via si tramuta di segno.

La gioia si fa doppia con l’arrivo dei primi convenuti tra cui molti bambini,

uno per l’arrivo delle persone e due per il fatto che molti tra loro sono nostr@ conoscent@ o amic@ che non vedevamo da molto tempo.

Il nostro staff è rigorosamente ad identità multipla e comunitaria rom-sinto -gagiana, composto da un numero esiguo di persone ma tutte ben motivate: Lucia Argentati, Marina Cremaschi, Fabien F.B, Francesca Vacanti, Tomas Fulli , Aghiran Sibian, Raffaele Petrone ed infine Pino de March, che contribuiranno all’accoglienza, e alla distribuzione dei cibi e vini, a ravvivare la conversazione e le narrazionedell’esperienza nell’assemblea.

Quando il giardino si riempie di persone e tra loro a sorpresa molti bambin@ (che rappresentano per i romanì il futuro) diamo via all’assemblea che abbiamo disposto in forma circolare :

per ribadire l’orizzontalità, la reciprocità e la democraziadi base e partecipata che caratterizza le nostre relazioni sociali,

ma anche per riconfermare la forma circolare, archetipo della convivialità romanì sia quando si mangia, sia quando si conversa, sia quando si danza, sia quando si devono prendere delle decisioni , di solito per i romanì (Rom, Sinti, come per i Manush o i Kalè), questo avveniva e avviene ancor oggi, quando si creano le condizioni di ritrovarsi attorno ad un fuoco dopo il tramonto, con le fiamme sempre vive ad illuminare i volti e e a riscaldare i partecipanti al convivio ‘zigano’.

Numerosi tra i partecipanti alla festa confluiscono nell’agorà in fondo al giardino all’invito rivolto da Tomas Fulli il Presidente di Mirs-Mediatori interculturali Rom e Sinti e parte della comunità urbana Sinta,

sarà lui ad aprire la seduta illustrando gli obiettivi dell’associazione che sono in primis quelli di ricreare buone relazioni di convivenza e solidarietà nella nostra città-comune metropolitana tra comunità urbane Rom, Sinti e Gagé,

ma anche di riportare nelle aule scolastiche ed in quelle universitarie, come nelle relative didattiche – cioè programmi ed argomenti trattati nei corsi,

attraverso la cooperazione educativa tra i docenti ed educatori delle varie istituzioni scolastiche ed universitarie ed i nostri ‘mediatori nomadi’ dei laboratori transculturali del Mirs,

non solo azioni informative ed educative comuni per contrastare antiche e perduranti discriminazioni: stigmi e pregiudizi ‘antiziganiverso le individualità e le comunità romanì,

ma soprattutto far conoscere la variegata cultura romanes: storico-linguistica-culturale ai giovani rom e sinti ma anche ai gagi,

culture romanes (e la romanipé, o il divenire della cultura e dell’identità romanì) che hanno contribuito in molti campi dalla musica al cinema,passando per la danza, le arti circensi, la poesia e molti altri campi comprese molte delle attività artigianali: la lavorazione dei metalli, l’allevamento dei cavalli, i cestai ed impagliatori, i lavoratori del legno,la produzione di mattoni, tosatori di animali ecc.,, a cui s’accompagna sempre una loro precisa filosofia della vita: ‘lavorare per vivere e non vivere per lavorare’ , arti e mestieri che hanno contribuito ad arricchire la cultura italiana ed europea,

inoltre porre cura alla condizione esistenziale e sociale dei romanì (Rom e Sinti) urbanizzati, in appartamenti o nelle micro-aree alla periferia della nostra città, micro-aree anche quelle di recente costruzione che richiedono ulteriori interventi di estensione degli spazi, sia quello destinati all’abitare che quelli destinati alla comune utilità,

come quelli residenti in campi – sosta provvisori da troppo tempo ormai, privi di dignitosi servizi alle persone e alla comunità, ma anche verso quei campi improvvisati e dispersi nelle periferie, ove si presentano ancora gravi difficoltà per i minori a raggiungere gli istituti scolastici.

A ruota segue l’intervento di Donatella Ascari di ‘Khetane – insieme’, associazione e movimento presente in tutto il territorio nazionale “contro il razzismo e l’antiziganismo e per la giustizia sociale”, ella illustra gli scopi e gli obiettivi politici e culturali del suo movimento,

il quale mira a portare attenzione sulle culture e le lingue di popolazioni spesso ignorate, abusate e strumentalizzate.

Avvicinarsi a un fenomeno umano, sociale e culturale col preciso fine di cambiare prospettiva, al fine di considerare queste minoranze come parte culturale, linguistica, sociale ed economica per nostro comune-Paese.

L’attività degli associati a ‘Khetane -insieme’ è quella di:

aumentare quantitativamente e qualitativamente l’intervento e l’analisi scientifica in chiave divulgativa della conoscenza delle minoranze romanì che non possedendo i requisiti costituzionali dell’addensata territorialità, essendone disperse o presenti a macchia di leopardo in molti altri territori regionali, urbani o metropolitani, non possono ancora godere delle stesse tutele costituzionali delle minoranze territorializzate,

– di supportare le decisioni della Politica istituzionale e delle politiche socio-sanitarie, culturali ed urbanistiche ecc,,

– d’intrecciare relazioni politiche e culturali con gli attori sociali nei territori ove risiedono in forma stabile o provvisorio popolazioni romanì.

La Costituzione Repubblicana pur prevedendo forme di garanzia e tutela verso tutte le minoranze linguistiche e culturali italiane territorializzate, in pratica non prevede, per una probabile limitata conoscenza dei Costituenti (all’Assemblea Costituente) della condizione socio-abitativa e culturale dei cittadini/e italiani/e romanì(Rom e Sinti), comunità che rappresentavano una specificità ed eccezionalità sociale e culturale non solo in Italia anche in altri stati europei ove vivono a milioni le comunità romanì;

realtà di minoranza tra le minoranze, oscurata da lungo tempo ormai, per le cause più diverse: in primis l’assenza di rappresentanti politici alla Costituente, che potevano focalizzare lo sguardo sull’eccezionalità della condizione esistenziale, sociale e culturale dei romanì, per secolari motivi pregiudiziali, nonostante che numerosi tra i ‘romanì’ (Rom, Sinti, Manush, Kalè ecc), abbiamo partecipato alla Resistenza anti-fascista e alla rinascita della Repubblica democratica italiana e delle altre repubbliche in Europa.

La Costituzione repubblicana italiana non prevede ancora misure adeguate allo scopo per quelle comunità disperse o nomadi, ma al giorno d’oggi in larga parte urbanizzate in forma stabile in case o appartamenti o provvisorie in campi-sosta,se non quella dell’inserimento nelle classi di ogni ordine e gradi di individualità nomadi o sedentarie romanì, ma questa misura seppur di civiltà, non provvede e non prevede verso questi cittadini/e scolarizzati romanì, l’uguaglianza di trattamento previsto per le altre minoranze territorializzate: francesi, tedesche, slovene ed altro, cioè il riconoscimento, la trasmissione -memoria e l’apprendimento della loro specificità linguistica e cultura romanes;

una variegata cultura e lingua romanes per secoli orale, che era comune alla moltitudine di altri strati popolari europei, ma aggravata nel periodo dell’obbligo all’alfabetizzazione di massa alla cultura nazionale maggioritaria, dal non riconoscimento delle specificità culturali minori, e sottoposta a processi di colonizzazione o alfabetizzazione forzata, subita da tutte le culture -lingue minori (ebraica, romanes, slovena, albanese, bretone, sarda ecc) fino alla metà del secolo scorso da parte di quelle maggioritarie dei paesi di residenza o di transito;

però la negazione e la colonizzazione istituzionale(nelle scuole ed università)delle culture romanes è ancora presente, non certo nella dimensione del privato-sociale (nel mondo delle associazioni romanì;

le culture minore romanes con la sua storia, lingua e cultura minore nello specifico ora possiedono una versione standard o scritta, lingua e culturada considerare a tutti gli effetti neo-indiana,derivata da una lingua volgare (dialettale-popolare) e non sacerdotale (come quella sanscrita), che però ora si può considerare a tutti gli effetti parte delle lingue e culture europee, essendo parlata da milioni di cittadini romanì in Europa.

Segue ‘intervento di Raffaele Petrone,docente e ricercatore artistico -visivo e socio del Mirs, che si è focalizzato sulla realizzazione della mostra ‘Porrajmos (divoramento in lingua rom-romanes) ,e Samudaripen (grande morte nella variante linguistica sinta-romanes) e sul suo ruolo artistico e visivo di ricerca negli archivi storici e visivi per trarre le foto relative allo sterminio seriale, sistematico ed industriale delle genti romanì in Europa, durante il tragico periodo totalitario dei regimi nazisti come di quelli complici e collaborazionisti fascisti in Europa;

inoltre sostiene che la mostra illustra anche la motivata, sofferta e larga partecipazione delle genti romanì alla Resistenza, sia nelle brigate organizzate dai partigiani gagè che nelle loro brigate composte prevalentemente da Sinti ed altre di Rom :n Piemonte, Veneto e Friuli come in molte altre parti d’Italia ed in Europa.

La mostra fotografica esposta all’interno del Centro Sociale durante la festa zigana e negli anni precedenti nomade in molte scuole, centri sociali e spazi comunali di quartiere, ribadisce che non è semplicemente una mostra fotografica sui tragici avvenimenti di quelli anni, ma soprattutto un documento visivo importante che accerta e testimonia quelli eventi tragici per le genti romanì e non solo;

nella sequenza fotografica si evidenziano nel primo tratto di essa i fenomeni di anti-ziganismo e discriminazione precedente al costituirsi dei regimi nazi-fascisti (nel primo come nel secondo Reich in Germania come in molti altri stati liberali europei), e poi nelle sequenze fotografiche successive l’intensificarsi nel Terzo Reich nazi-fascisti (1933-45) come negli altri stati fascisti della persecuzione, deportazione, sterminio, oppressione, torture, vivisezioni, atroci sperimenti

“scientificidei romanì, come delle culture minori, di tutti gli oppositori democratici dai monarchici agli anarchici, passando per cattolici, liberali, radicali, comunisti e socialisti, di tipo matrice politica o religiosa,delle classi subalterne e proletarie, degli atri generi lgbtq, dei pazienti psichiatrici come dei portatori di handicap. Nelle ultime immagini si evidenziano dalle mappe storiche europee il progressivo restringersi dei territori fascistizzati e il chiaro apparire di territori liberati (tra essi molte piccole repubbliche partigiane) sotto la pressione popolare armata della straordinaria e gloriosa Resistenza dei Romanì come di tutti gli altri popoli di maggioranza come di minoranza in tutta Europa.

Brunella Guida interviene su invito del Presidente presentandola come amica delle comunità urbane Rom e Sinte della nostra città, apre il suo discorso presentandosi come attivista di Coalizione civica, oltre che consigliera uscente e ricandidata nel nuovo consiglio di Quartiere Navile nelle liste di Colazione-Civica-Centro Sinistra;

nel suo intervento sottolinea che la sua attività politica ed amministrativa, si è caratterizzata per l’attenzione posta ai bisogni del territorio, cercando sempre di stabilire un rapporto stretto con i cittadin@ e in particolare con la comunità Sinta della nostra periferia est, presente ormai da decenni, cioè dal tempo dell’assassinio di due componenti la comunità Sinta, Patrizia della Santina e Rodolfo Bellinati da parte di una banda armata ‘razzista-fascista di poliziotti, i fratelli Savi dell’A1 -Bianca, nella notte del 23 dicembre 1990;

in quell’occasione il Sindaco Imbeni della giunta di sinistra della città decise di concedere in comodato il territorio corrispondente al campo sosta di Via Erbosa in Bolognina,per sottrarli ad altre possibile rappresaglie e promettendo loro una successiva soluzione abitativa;

Brunella nella sua attività politica non solo è presente ai diversi simposi rom-sinto-gagiani di Comunimappe e del Cesp-Cobas -Centro Studi per la Scuola Pubblica (corsi di auto-formazione dei docenti ed educatori), ma ne condivide il dramma e la precarietà del campo sosta di Via Erbosa, le difficoltà di inclusione scolastica relativa alla scolarizzazione delle nuove generazioni delle comunità urbane Rom e Sinte, ed inoltre nei suoi diversi incontri con alcuni componenti le comunità Sinta e Rom ha riscontrato la solida umanità che in esse ha ritrovato, e soprattutto lo sguardo non comune e non scontato per quanto riguarda le condizioni che costringono alla marginalità, giovani e meno giovani sia essi rom, sinti o gagi;

ella pure condivide da sempre le proposte sia del Mirs che di Kethanè sulla condizione relativa all’abitabilità e l’accesso alla casa, denunciando la presenza di molti fabbricati pubblici e privati in abbandono nelle nostre periferie, fabbricati che a suo parere potrebbero essere riutilizzati sia per uso abitativo, che da ri- destinare a nuove attività, come luoghi di raccolta e del riuso dei materiali che nello stesso tempo potrebbero anche valorizzare alcune specifiche professionalità (raccolta di ferro, metalli ed altri oggetti riutilizzabili) delle popolazioni Rom e Sinte, e come primo passo per avviare un’economia circolare che accompagni la transizione ecologica delle città;

ma anche da destinare come spazio di documentazione – memoria culturale romanes, oltre che a lungo d’incontro e socialità tra romanì , migranti e dei gagi;

riprende le proposte di Tomas relative alla necessaria presenza della cultura romanes nelle didattiche scolastiche (programmi) ma soprattutto insiste sulla necessità di disporre di spazi specifici: un centro delle culture romanes che potrebbe fungere da luogo di documentazione storica-culturale,ma anche dove si può svolgere in presenza attività per far rivivere la cultura e la lingua romanes, ma anche ove organizzare dibattiti,presentazioni di libri e materiali visivi, corsi di musica e di ballo, per tutti e tutte, ma soprattutto spazio di una nuova socialità tra nuove generazioni rom, sinti,migranti e gagè.

come militante di coalizione civica mi sono sempre battuta per favorire un auto-rappresentazione politica diretta delle comunità tutte da quelle migranti fino a quelle urbane delle genti Rom e Sinte; per questo motivo io stessa avevo proposto a Tomas Fulli di candidarsi nella nostra lista, proposta che lui ha declinato, non perché fosse irricevibile, ma sostenendo invece di non essere ancora preparato per un tale importante incarico.

Aghiran Sibian, socio fondatore di MIRS e parte della comunità urbana Rom-romani

Pino de March presenta all’assemblea il progetto:

BOLOGNA1422-2022: Seicento anni di documentata presenza di genti “romanì”(Egiziani o cingari) in Italia.

ll prossimo anno 2022 intendiamo ricordare come Mirs -Mediatori Rom e Sinti, ma anche come di Comunimpappe, la libera Comune Università pluriversità della Bolognina, con varie iniziative pubbliche nella nostra città, per ricordare i 600 anni che intercorrono tra quel 18/7/1422 e di prossimo 18/7/2022;

passaggio e permanenza documentata di genti ‘egiziane’ (antenati dei nostri romanì -rom e sinti)

in un Cronaca del tempo deposta nel nostro Archivio di Stato -Città di Bologna;

la presenza di un nutrito gruppo nomade (circa un centinaio) proveniente dal Nord -Europa e diretta a Roma sotto la guida del duca Andrea del Piccolo Egitto si presentarono alle autorità pubbliche laiche e religiose della nostra città come genti provenienti dall’Egitto, e con un salvacondotto dell’imperatore dei Romani (ultimo del Sacro Romano Impero) Sigismondo d’Ungheria e di Boemia, ottenendo dalla città una generosa accoglienza ed ospitalità per alcune settimane nel portico del castello pontificio di Porta Galliera (lato autostazione).

Il documento presente nel nostro archivio di Stato della città di Bologna, documenta la

prima cronaca italiana che racconta della presenza di un vasta comunità d’ egiziani, da parte di un anonimo bolognese (la “Historia miscellanea bononiensis“), del loro arrivo e della loro permanenza a Bologna nel luglio del 1422:

«A dì 18 de luglio venne in Bologna uno ducha d’Ezitto, lo quale havea nome el ducha Andrea, et venne cum donne, puti et homini de suo paese; et si possevano essere ben cento persone (…) si demorarono alla porta de Galiera, dentro et fuora, et si dormivano soto li portighi, salvo che il ducha, che stava in l’albergo da re (presso il Bentivoglio); et (…) gli andava de molta gente a vedere, perché gli era la mogliera del ducha, la quale diseva che la sapeva indivinare e dire quello che la persona dovea avere in soa vita et ancho quello che havea al presente, et quanti figlioli haveano et se una femmina gli era bona o cativa, et s’igli aveano difecto in la persona; et de assai disea il vero e da sai no (…)Tale duca aveva rinnegato la fede cristiana e il Re d’Ungheria prese la sua terra a lui. Dopodiché il Re d’Ungheria volle che andassero per il mondo 7 anni e che si recassero a Roma dal Papa e poscia tornassero alloro Paese.»
(in Ludovico Muratori, Rerum Italicarum Scriptores, Milano, typ. Societatis palatinae, 1731, tom. XVIII, cc. 611-612)

La ragione prima del loro ‘pellegrinaggio’ verso Roma di questi insoliti ‘egiziani’ fu quella di cercare una protezione più universale , che solo il Papa li poteva concedere, dopo che Sigismondo d’Ungheria e di Boemia, li avesse accusati d’apostasia, ovvero di avere rinnegato alcuni principi della fede cristiana, cioè di ritenere ‘l’esistenza di un dio buono e di uno cattivo’, allontanandosi non solo dai principi cattolici ma anche alla fede dell’Imperatore Sigismondo, a cui ogni suddito deve esserne soggetto; Sigismondo era considerato un riformatore e fedele sostenitore dell’antipapa Giovanni XXIII, fino al Concilio di Costanza;

(Con il Concilio di Costanza 1414-18 si pose fine allo scisma d’occidente, ove si stabilì la dimissione dei tre papi regnati:Gregorio XII a Roma, Benedetto XIII ad Avignone e Giovanni XXIII a Pisa (Bologna le Romagne), e di comune accordo di tutti i cardinali, vescovi e regnanti cattolici si procedette all’elezione di Martino V, un Papa che conciliava tutte le varie posizioni di fede e di potere).

Per questa sospettata apostasia Sigismondo sottrasse agli ‘egiziani’ la protezione e le terre dove dimoravano, costringendoli prima a ribattezzarsi, e poi di andare in giro per il mondo per sette anni come atto di penitenza oltre che recarsi in pellegrinaggio a Roma dal Papa, se volevano ri-ottenere da Lui,la protezione e le terre;

per questo ‘pellegrinaggio settennale’ l’Imperatore dei Romani’ Sigismondo concesse loro un salvacondotto che consisteva nel ‘riconoscimento imperiale che obbliga città e stati visitati all’ospitalità e ad una certa benevola giustizia ‘nel caso sottraessero beni necessari alla loro sopravvivenza, inoltre erano liberati dal pagare gabelle o tasse per i loro transiti.

Nelle varie cronache come in questa del 1422,quando si racconta dell’incontro con queste comunità di “pellegrini“, un importante aspetto che viene rimarcato delle loro principali attività sembra essere legato al dono della divinazione o della predizione del futuro, così come del commercio dei cavalli, che questi pellegrini “antenati dei nostri romanì” accompagnavano alle loro richieste di aiuto. Le stesse cronache, allo stesso tempo, sono anche le prime a testimoniare dell’insorgere dei pregiudizi nei confronti di questi ‘pellegrini, i quali vengono spesso accusati di furti, che riguardano prevalentemente la sottrazione di beni di stretta necessità, ma nella maggioranza dei casi in molte città che attraversarono o dimoravano, non solo venivano accolti in spazi pubblici (a Bologna sotto i portici del Castello del legato pontificio)ma venivano donati anche beni per la loro permanenza e al fine di continuare il viaggio.

Sia a Bologna (luglio 1422) che a Forlì(agosto 1422), oltre che per i tratti somatici che ne caratterizzavano l’appartenenza ad una diversa etnia, (gli egiziani) furono notati soprattutto per l’aspetto rude ed “inselvatichito” dalla fame e dalle difficoltà del viaggio.

A partire dal 1448, alcune comunità di “egiziani” si insediarono nell’Italia settentrionale, nel territorio compreso tra Ferrara, Modena, Reggio e Finale Emilia. Stazionavano in aree di confine, spesso gravitando intorno ai principali luoghi di mercato dove potevano commerciare in cavalli, utensili di rame e di ferro fabbricati da loro stessi, e le donne si dedicavano al vaticinio del futuro. A volte in seguito definiti Cingari militarono come mercenari al soldo dei signori, come nel 1469 per gli Estensi di Ferrara, o per il Bentivoglio di Bologna nel 1488. In quegli stessi anni le cronache riportano il loro arrivo a Napoli. Questi egiziani o cingari (antenati dei romanì) recavano lettere – salvacondotti firmate dal Papa, uno dei primi che essi dissero d’incontrare fu Martino V (1423) sulla cui autenticità permangono forti dubbi, attraverso queste si chiedeva alle autorità laiche o religiose delle città in cui giungevano. protezione e libertà di prendere le cose necessarie alla sopravvivenza (vissute dai sedentari come furti).

Per quasi un secolo ricorreranno nelle varie e sporadiche cronache attestanti la presenza dei primi gruppi egiziani o cingari nella penisola.

La cronaca della città di Fermo riporta che era stato esibito un documento del Papa “che permetteva loro di rubare impunemente“.

Di eventuali lettere firmate dal Papa non è stata trovata traccia negli archivi vaticani, anche se un documento che attesta la presenza dei romanì a Napoli nel 1435 lascerebbe aperta l’ipotesi che alcune di queste comunità Egiziane o Cingare siano passate realmente per Roma.

Tra il 1470 ed il 1485 è riportata notizia che “conti del Piccolo Egitto” circolavano nel modenese, provvisti di passaporto del signore di Carpi.

È tuttora in dubbio l’origine dei gruppi di “Egiziani” che arrivarono in Italia nel XV sec., se essi venissero via terra dall’Europa Centrale o dal nord, oppure se essi siano venuti via mare dai Balcani già durante la caduta dell’Impero Bizantino. La possibile origine egiziana o cingara di un pittore abruzzese, Antonio Solario, detto lo “Zingaro pittore“, lascerebbe supporre che l’arrivo dei romanì in Italia andrebbe datato precedentemente, cioè il 1422. Sicuramente vi furono diverse ondate sia dal Nord,che dal sud, dalla costa della Dalmazia come dai Balcani.

Attraverso l’Adriatico e lo Ionio, spesso uniti a dalmati e greci in fuga dall’avanzata dei turchi nei Balcani, diverse comunità cominciarono ad insediarsi nell’Italia Centrale e meridionale, specialmente in Abruzzo e Puglia, provenienti principalmente da Ragusa, l’attuale Dubrovnik,prima città in Europa in qualità di libera Repubblica Marinara ad abolire la schiavitù 1416 , crocevia obbligato tra le strade dei Balcani e quelle dei mari, incentivati da vantaggi fiscali concessi dagli Aragonesi (Regno di Napoli).

Movimenti analoghi si ebbero nello stesso periodo anche verso la Sicilia, dove già nel XV sec. il nome “cingari”(eteronimo) viene registrato negli atti dei notai di Palermo e nei regni Siciliani e dalla cancelleria della città Messina, nella quale i “Cingari”, ritenuti provenienti dalla Calabria, erano equiparati ad una Universitas ( uno specifico ente, comune o comunità che si autogoverna entro certi ambiti e con determinati poteri tradizionali, in dipendenza però di un’autorità superiore) e inoltre godevano di autonomia giudiziaria.

Secondo alcuni studiosi la successiva migrazione verso le coste sudorientali della Spagna, insieme ad altri profughi greci, sarebbe partita dalla Sicilia, e sarebbe provata, già dalla metà del XV secolo, dalla presenza dei “zinganos” in Sardegna e Corsica, isole situate lungo la rotta commerciale con la penisola iberica.

Un altro documento interessante è datato 1506 e riferisce del seppellimento ad Orvieto di tale “Paolo Indiano, capitano dei cingari“, che aveva prestato servizio nell’esercito veneziano.

La prima testimonianza scritta di lingua romanes in Italia è datata al 1646 e si trova in una commedia di Florido de Silvestris, nella quale è riportata la frase “tagar de vel cauiglion cadia dise” (ritrascrivibile in: “t(h)agar devel, k aviljom kadja disë“), che significa “Signore Iddio, che sono giunto (in) questa città”.

infine la poeta Marcella Colaci del ‘Gruppo donne e poesia di Bologna ha letto e distribuito due poesie, una delle quali è la seguente:

Ad una giovane Romni (Zingarella eteronimo(attribuito dai gagi) ed invece romni Etnonimo(attributo proprio) sing. femminile di donna in romanes)

Una giostra in riva al mare

Una festa di colori

Intorno al fuoco, con i fiori 

E tu che mi fai ballare

In rosso, in verde 

E il giallo che non mente 

Gira la ruota, la gonna vola

Suona il tamburello

Il bimbo sorride, che bello !

Poi la fisarmonica

Con le dita sovrasta

È pronta anche la pasta

Piove o sarà bello

Non importa 

Importa essere uniti

Essere in festa

Essere noi

Anche se nulla resta

Giovane romni

balla 

Fai nostra la vita

Falla girare come una stella

Falla girare tu che sei 

Calda come il sole e sempre bella.”

La poeta Marcella Colaci ci dona una delle sue poesie dedicate ad una giovane (romni) e alle donne (pl.romaja) romanì.

REPORT redatto con approfondimenti storici-culturali da Pino de March

(Settembre pandemico 2021)

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