IN UNA SPUDORATA MATTINA DI SOLE


foto di Pino de March

Ho appena partecipato a un immenso corteo, e ho scritto su un foglietto le parole che ho letto sui cartelli fatti a mano da migliaia di ragazzini, di studenti, di insegnanti, di mamme e di nonne.

“Fra cinquanta anni voi sarete morti ma non vorremmo esserlo anche noi”

“Salviamo la terra dalle crudeltà umane”

“Se la terra fosse una banca l’avrebbero già salvata”

“Lo smog puzza più delle scoregge” (striscione portato da una scolaresca delle elementari).

“Brucia il padrone non il carbone”

“Chi cavolo è Rita Pavone”

“Cool kids saving hot world”

“What capitalism does not understand is that there is no economy in a dead planet”

“Alziamo la voce non il livello dei mari”

“Ci avete rotto i polmoni”

“Non serve lavorare in un mondo che muore”.

Penso che questo sia l’inizio di un fenomeno assolutamente inedito e destinato a durare nei decenni. Ma già nelle prossime settimane questo evento è destinato a proliferare, a portare sulla scena una nuova generazione culturale. Ma – indipendentemente dai tempi di maturazione di questo movimento, che possono essere lunghi e dolorosi – è bene cominciare a immaginarne le evoluzioni prossime. A questo scopo voglio fissare alcune considerazioni a caldo, mentre gli strilli non hanno ancora smesso di risuonare nelle strade di uno spudorato giorno di sole.

Prima osservazione: il movimento nato dall’azione di una ragazza che non distingue le sfumature ha carattere irreversibile perché ha già creato un senso comune generazionale, e uno stile: lo stile è definito da due gesti.

Primo gesto: I want you to panic. Rifiuto di ogni priorità della ragione politica e della ragion economica, primato all’esplosione panica che permette alla generazione autistica di uscire dal silenzio.

Secondo gesto: O bianco o nero. O abolite subito le cause dell’avvelenamento o non le abolite.

Le decine di milioni di bambini e ragazzini che hanno percorso oggi le strade di centinaia di luoghi urbani, e hanno fatto con le loro mani cartelli e striscioni, hanno iniziato un processo di auto-identificazione culturale che non può dissolversi perché non ha carattere politico ma etico, estetico e culturale.

Seconda osservazione: questo movimento ha carattere assolutamente radicale e anticapitalistico. Anche se la coscienza di questo emergerà nel tempo, l’incompatibilità tra crescita-profitto-competizione e respirazione del polmone collettivo è lampante.

Il Bundestag ha bocciato ieri una proposta di legge che vieta i diesel nei centri cittadini. La politica non sceglierà mai la vita contro il profitto, perché l’orizzonte della politica è il capitalismo. Occorrerà abbandonare a se stessa la politica, disertarla. Occorrerà re-inventare la politica come funzione di abolizione del capitalismo.

Al corteo cui ho partecipato, a Bologna, ho preso nota dei contenuti di decine di cartelli. Solo quattro dicevano: Ambientalismo= anticapitalismo, Destroy capitalism e così via. Solo quattro. Ma la crescita del movimento non potrà che portare alla scoperta che il capitalismo si fonda sulla priorità assoluta e indiscutibile dell’economia di crescita e di profitto. E l’economia di crescita e di profitto è incompatibile con la vita sulla terra.

Il capitalismo è morto e noi viviamo dentro un cadavere, senza trovare la via d’uscita.

Terza osservazione: questo movimento è destinato a scoprire ben presto che la devastazione dell’ambiente è irreversibile, perché le sostanze tossiche si depositano nell’atmosfera nei venti anni successivi alla loro emissione, e perché sono ormai in atto processi di feedback positivo che non si possono interrompere o rovesciare. L’apocalisse non è più evitabile, e questo movimento nasce nell’apocalisse.

Ma tutti i movimenti che hanno cambiato il corso della storia (per esempio il 1968, che ebbe caratteri generazionali molto simili a questo, e che rapidamente si radicalizzò su posizioni anticapitaliste) si propongono inizialmente obiettivi “irrealistici”. Non c’è bisogno di un movimento per realizzare obiettivi realistici, i movimenti nascono proprio per porre all’ordine del giorno l’impossibile, e nella fase di maturazione attivano risorse (intellettuali, tecniche, psichiche, politiche) che non esistevano prima del manifestarsi del movimento.

Questo movimento contiene le energie intellettuali del prossimo passaggio evolutivo, che passerà attraverso lo smantellamento e riprogrammazione della Mega-Macchina.

Questa generazione è nata nella Mega-Macchina, questo movimento le insegnerà come smontarla e riprogrammarla.

Testo di Franco Berardi (Bifo Sepsi)

E DI MARZO DIVENIRE ANIMALE , VEGETALE , UMANO TRANS-NAZIONALE E DONNA TRANS-FEMMINSTA

Testo tratto da “Il triplice minimo e la misura” di Giordano Bruno
La terra è un animale
La terra e qualsiasi altro astro composto da parti eterogenee è un animale;
lo mostrano lo stesso moto ,la vita ed ogni suo atto, come deduciamo dallo spirito, dalla vita e dal moto dell’animale. (negli uragani il suo agitato respiro, nei terremoti l’inquieto esistere, nei vulcani la passionalità che lo abita)

Questa marea gretiana planetaria con la sua empatica partecipazione al vivente, le sue diffuse riflessioni incarnate nei volti, bracci, mani dipinte da nativi  e nei cartelli di cartone riciclato agitati può autodeterminare l’inizio di una nuova individuazione di singolarità e comunanze emergenti con la piena consapevolezza di essere terrestri e parte del vivente.

In questa condivisa pre-visionaria socio-analisi di Franco Berardi non va tralasciato di comprendere lo stato del desiderio divenuto nel nostro tempo tossico che spinge in modo incontrollabile,autodistruttivo e confuso dall’inconscio individuale e collettivo, facendo re-agire noi compulsi antropocenici o abitanti di questa nuova era geologica).

pl. -i
l’era geologica attuale, in cui l’uomo e le sue attività sono le principali cause delle modifiche ambientali e climatiche

Etimologia: ← voce coniata dal chimico olandese premio nobel paul crutzen (1933), comp. di antropo- e -cene.

 E questi indotti bisogni e persuasione occulte si direbbe una volta non sono più tali anzi a tutti e tutte esplicitamente manifesti e desiderati (i loghi sulle magliette o tshirt ne sono una prova come l’albero –abete rosso sitka – il più solo al mondo dell’isola di campbell in Nuova Zelanda attesta il picco dorato o golden spike o l’inizio di nuova era geologica ). Altrettanto evidente in questo tempo liquido e frammentato è la tragica condizione di sussunzione  di larga parte della stessa specie umana ed il resto del vivente come risorsa nella produzione-riproduzione di segni-valore-profitto della sistemica mega-macchina planetaria divenuta un automa apocalittico nel capitalcene, epoca geo-economica ove operano automatismi tardo-capitalisti che orientano incessantemente al valore di scambio in ogni luogo o non luogo del pianeta una ‘distruzione creativa di valori d’uso di corpi d’umani, di terra, di acqua e di aria.

Però tra noi sapiens smarriti e affetti da molteplice dipendenze restano conservate nella mente tracce di memorie, e tra esse indicazioni dell’oracolo scolpite secoli fa a Delfi, che ci può ancora suggerire e guidare come bussola- critica in questo millenario viaggio di conoscenza ed esistenza umana;

noi Ulissi – travolti in tempeste emozionali ed illusioni e trasformati da algoritmi di magiche Circi  in porci-consumisti, anche quando i consumi si contraggono, mutiamo giorno dopo giorno e notte dopo notte in esseri-hubris (arroganti e tracotanti) dentro a passioni tristi e mondi infernali , possiamo spiccare il volo come angeli di Klee-Benjamin spinti da tempeste climatiche (e movimenti ed onde gretiane ) verso un atteso paradiso terrestre, tendendo lo sguardo fisso all’ingiù o al passato del vivente, e  raccogliere significative macerie separandole dalle immondizie che ormai coprono e soffocano l’intero globo, per costruire mondi futuri d’anteriorità (sarà stato che Greta e noi saremmo stati colti da visioni di mondi possibili trans-capitalisti -e trans-nazionali). Per tornare all’oracolo di Delfi è a noi noto il frammento ‘conosci te stesso’ ma non è dato di conoscere un altro frammento che in qualche modo lo completa ‘niente di troppo’; non si tratta però di un’ ingiunzione moralista ma piuttosto di un ricercato e consapevole limite che ognuno deve riscoprire, “non procedendo in modo lineare e per definizioni ma andando a sbattere da una parte all’altra alla maniera di un cane che esplora con metodo geometrico per intervalli e salti” come sosteneva Spinoza nella sua etica, astenendoci dall’ascolto della coppia infernale del despota e del prete, terribili giudici della vita che ci hanno ammalato. Seguendo poi le indicazioni e i suggerimenti di Deleuze attrverso Spinoza, ‘selezionare segni e affetti, come prima condizione per la nascita di un concetto, non implica solo uno sforzo personale che ognuno deve fare di sé(la ragione), ma una lotta passionale, un combattimento affettivo memorabile, con il rischio di morire, in cui i segni affrontano i segni e gli affetti si scontrano con gli affetti, perché si salvi un po’ di gioia di vita e di terra, e ci faccia uscire dall’ombra e cambiare …’.  Noi generazione desiderante che prefiguravamo corpi senza organi con Artaud-Deleuze, sfondando limiti siamo andati cercando e sperimentando per ragioni e  passioni conoscitive oltre ogni confine o limiti imposti dai domini di classe, di genere e di culture e altro di volontaria servitù, trascurando a volte arrogantemente le osservazioni critiche di Lacan (che ci invitava a riflettere su quel ‘niente di troppo’ di memoria delfiana) indicandoci che il desiderio è anche mancanza, non solo affermazione di vita di una vita piena di gioia a cui la metafisica forma platonica ci impediva d’accedere; in questo confuso ed incompreso desiderio si è inserita una macchina mediatica e pubblicitaria distruttiva e tossica che attraverso vetrine ed agenzie territoriali, ed ora anche in modo più complice tracciando profili attraverso calcoli o algoritmi predisposti come trappole dalle  piattaforme virtuali commerciali del capitale post-industriale.  Profili e calcoli che alimentano senza sosta l’incessante produzione-riproduzione, fabbriche di precarietà e schiavitù operano distruzioni creative nelle lunghe periferie-filiere ,  ed un narcisistico consumo-riconoscimento d’effimere identità liquide nei centri metropolitani . Anche Pasolini sosteneva che la televisione aveva generato una neo-lingua e distrutto ogni forma di convivialità e giocosa produzione nelle borgate come nei più remoti paesi di linguaggi –gerghi autentici. Paradossalmente andava sostenendo che la  pubblicità e la televisione avevano distrutti mondi di vita e relazione in modo più scientifico delle truppe nazi-fasciste durante l’occupazione nazi-fascista.

Per Lacan infatti ‘la stessa esperienza del desiderio ipostatizza l’assenza:è l’esperienza di un’insoddisfazione, di una perdita di padronanza, di perdita d’identità”. Nasce in relazione al desiderio dell’altro ma tende ad introdurre una separazione. Alla fine si rivela come desiderio di niente perché nessun oggetto può essere adeguato a soddisfarlo. Ma allora, in certo senso, l’assenza è l’oggetto. Nei termini di Lacan, il desiderio è la metonimia della mancanza-a-essere :il suo motore è la mancanza, l’assenza dell’oggetto, cerca di saturarla ma è nell’impossibilità di farlo.”(Lacan tra presenza e assenza di Sergio Sabbatini)

Dalla super-egoica interdizione/proibizione all’imperativo dominate al godimento illimitato

“Ebbene, ora noi possiamo cogliere come tutto ciò sia in se stesso il sintomo di un’epoca, il sintomo dell’Altro interdittore e proibitore. L’epoca dell’Altro che non è più quello attuale, perchè ora questo Altro non esiste più (E’ stato spazzato via dalle rovuoluzioni culturali che hanno seguito in ondate differenti il ’68 (1968, la priomavera del ’77,il punk, cyberpunk, la Pantera ). Il suo declino, iniziato da molto tempo, è più che mai realizzato. Ora infatti noi siamo confrontati non più con l’Altro sociale della proibizione, ma l’Altro che ci spinge, nel senso opposto, alla soddisfazione, ci spinge e ci impone, in un certo senso, la soddisfazione, ci spinge alla liberazione delle pulsioni e nient’affatto ce lo interdice. Ora la nostra è l’epoca strutturata da questo nuovo super-io, che spinge al godimento, come aveva preannunicato Lacan, già nei primi anni settanta. L’epoca attuale è da questo punto di vista quella in cui la spinta innarrestabile alla soddisfazioni pulsionali più disparate, la spinta ai diritti al godimento di ciascuno installa in seno al sociale una follia generalizzata (una tossicità generalizzata). il sociale mai come oggi è stato investito e segnato al suo interno da questa dimensione, mai come oggi appare frantumato e frammentato dalla spinta ai godimenti particolari e non più limitabili, dai godimenti che la rete discorsiva sociale e le sue istituzioni faticano a contenere. Oggi sulla scia dell’imperativo super-egoico del godimento che prende corpo, sostanza dall’inesitenza dell’Altro proibitore (o per dirla Winnicott che contiene), il nesso tra follia (trasgressione) e libertà, si pone non alla periferia bensì al centro del sociale, dove si manifesta nient’affatto la presenza del limite ma al contrario la follia (l’illimitato, la tossicità) di una pura assenza del limite”. (F.de Andrè: l’anrchia non è solo rompere i limiti ma innanzittutto darsi i propri limiti). Tra parentesi note dell’autore del testo, pino de march), mentre il testo è tratto alle pgg-129-130 da “prospettive di psicoanalisi lacaniana, di M.Mazzotti,edizioni Borla 2009.

 Altre visioni deleuziane quali il divenire animale, vegetale ieri e avantieri donna si potevano percepire nelle empatiche onda gretiane e di non una di meno che hanno attraversato le città di ogni parte del globo terrestre occidentalizzato; questi nostri divenire erano ben espressi con i corpi, cartelli e grida che rimbalzavano da una parte all’altra delle maree. Una messa in discussione della separazione dal vivente e dai corpi che ha caratterizzato grande parte della modernità, denunciato come  grave ‘errore cartesiano’ dal neuro-scienziato portoghese Damasio; separazione che ha prodotto nel corso del tempo un’alienata rappresentazione del vivente e dei corpi, ritenuti a torto res extensa, cosa estesa ed inanimata, un’insieme indistinto di corpi di donne, di nativi, di terra, di animali, di vegetali e d’aria mondi viventi assoggettati ad un dominio coloniale e patriarcale,  antropocentrico ed etnocentrico millenario. Con il  divenire animale, Bruno come Deleuze, riaffermano una inseparabile relazione empatica con quei corpi predati, sottomessi e resi oggetti-cose; il divenire animale o nello specifico gatto signifca gattizzare, o divenire vegetale significa rizomatizzare, divenire donna significa femministizzare. Non più identità chiuse e separate ed alienate, dentro un vortice di sopraffazione e violenza identitaria, ma identità migranti aperte ed interconnesse trans-nazionali e trans-femminste, incarnazioni che rendono soggetti d’amore e di comune appartenenza ogni genere, ogni cultura ed ogni altra specie. Lo scontro tra il Capitale e la specie, lo ha analizzato, dichiarato, combattuto e vissuto in uno scontro mortale fino al suicidio il visionario e situazionale Cesarano in ‘apocalisse e rivoluzione’. Altri ed altre hanno partecipato a questa lotta vitale e culturale è tra questi nostri/e contemporanei vanno menzionalti l’ecologista sociale – murray bookchin e l’ecologia della libertà, e le femministe Angela Davis con il suo concetto-affetto  dell’interconnessioni dei domini e dell’intersezionalità dei dominati/e generi lgibtq,culture minori e migranti, classi sociali subordinate e precarie e di Carla Lonzi con sputiamo su Hegel, che invitava a partire da sé e dalla propria condizione d’oppressione per cogliere poi in modo empatico e chiaro l’oppressione degli altri dominati o dominate.

Divenire gatto per Deleuze ha anche un significato etico, lui stesso si lasciava crescere delle lunghe unghie per manifestare tale immedesimazione, e andava affermando che un’etica nuova doveva  saper ricombinare la selvatichezza del gatto con un etica appagante e sobria spinoziana. Nessuno può stabilire sugli altri tristezza ed afflizione, diminuzione di potenza di gioia, o fare promesse di gioie future dell’al di là, a sacrificio della gioia presente, e tantomeno oscurare il mondo, o estinguere a nostra discrezione antropocentrica-etnocentrica,  di parti di altre culture o di altre specie viventi sulla base di quello che riteniamo oggi utile od inutile. Questa discrezionalità predatoria razzista, ecocida e specista è eticamente inaccettabile. Questo perché siamo con molta probabilità come umanità, oggi prevalentemente predatoria, una realtà emergente dal vivente come tutte le altre specie; ed sistemi di dominazione umana – gerarchia e supremazia -non sono un dato natura, ma imposti da culture antropocentriche, patriarcali, etnocentriche. A noi è dato per cultura eco-femminista ed umana ritrovata il senso di responsabilità, di empatia, e di presa in cura del vivente nella sua complessità e non semplificato nelle visioni separate, dominanti ed identitarie.

 Sentio ergo sum- pino del march

Testo di riflessioni, emozioni e condi-visioni di Pino de March

https://www.facebook.com/pino.demarch/videos/2517782244917587/
filmato postato su facebook di Pino de March

EUROPA- MEDITERRANEO –MONDO

MITICA EUROPA MIGRANTE E LUNARE

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Le origini mitiche d’Europa, le varie interpretazioni del mito e l’attualità che il mito offre per ri- inventare oggi l’Europa a partire dai suoi antichi – legami  Mediterranei ‘migranti’ e di segno lunare ‘matrista( O mater lineare )

Il MITO ANTICO D’EUROPA

Il mito d’Europa ha avuto diverse narrazioni,ma fra tutte un ruolo dominante importante per conservarne la memoria nel corso del tempo lo ebbe il poeta e scrittore latino Ovidio, rinnovellandolo in una delle sue opere “Le Metamofosi”;

e sarà questa narrazione poetica che influirà maggiormente nell’immaginario antico latino prima e rinascimentale poi, giungendo fino a giorni nostri, oscurando altri lati diremmo lunari dello stesso mito.

Scrittori ed artisti ripresero questo testo ovidiano, cercando ognuno a suo modo di ripensarlo, ri-interpretarlo e ri-immaginarlo.

Come del resto continueremo a fare noi. Perché il valore del mito non è tanto nella sua veridicità, di cui nemmeno i greci credevano, ma piuttosto sulla potenza che ha la retorica antica

(L’arte di ridisporre le cose e di ricombinarle per ritrovare nuove comprensioni e possibilità di presenti che per noi sono futuri anteriori)

di trarre da ogni mito il presente, e quella potenza di invenzione comparabile con le favole di oggi come di ieri di agire sull’immaginario dell’infanzia come dell’adolescenza, e non solo, per educare a quella rara facoltà umana intellettiva che è l’immaginazione;

facoltà di prefigurare, di pre-visione non realistica ma visionaria.

Educarci alle visioni e non alle immagini, che veicolano ciò che ognuno può banalmente vedere;

infatti gli indovini del mondo antico erano in prevalenza non vedenti,fra essi il più noto era Tiresia;

i non-vedenti per questa tragica infermità, veniva attribuita loro, l’arte della pre-visioni che i vedenti non avevano, quell’arte di scrutare e visionare il futuro.

Mito di Tiresia

Un giorno Zeus ed Era si trovarono divisi su una controversia:chi potesse provare in amore più piacere:l’uomo o la donna. Non riuscendo a giungere ad una conclusione, poiché Zeus sosteneva che fosse la donna mentre Era sosteneva che fosse l’uomo, decisero di chiamare in causa Tiresia, considerato l’unico che avrebbe potuto risolvere la disputa ch li divideva, essendo stato sia uomo che donna. Interpellato dagli dei, rispose che il piacere si compone di dieci parti:l’uomo ne prova solo una e la donna nove, quindi una donna prova un piacere nove volte più grande di quello di un uomo. La dea Era, infuriata perché Tiresia aveva svelato un tale segreto, lo fece diventare cieco, ma Zeus per ricompensarlo del danno subito, gli diede la facoltà di prevedere il futuro e il dono di vivere per sette generazioni:quindi la decisione dell’una come dell’altro(di Era di accecarlo e di Zeus di renderlo indovino per sette generazioni) diventava definitiva,

perché gli dei greci, non potevano cancellare ciò che altri dei hanno deciso.

In questo tempo di cui tutti e tutte siamo vittime sacrificali di un iper-realismo digital-distopico, che ci rende incapace di generare visioni di mondi possibili, queste mitiche ed inusuali visioni è ciò di cui tutti e tutte abbisogniamo.

 I surrealisti poi sostenevano che anche attraverso il sogno possiamo cogliere l’essenza intima della realtà.

Del resto una delle parole d’ordine del più vasto movimento di liberazione europeo quello del’68 del secolo scorso, che ha trasformato radicalmente la cultura autoritaria e tradizionalista, le istituzioni totali residuali del fascismo, ma in particolare le relazioni tra generazioni e generi, e di seguito nell’anno successivo 1969 con le lotte ispirate ad un operaismo non determinista, ha mutato radicalmente le relazioni delle classi subalterne nella fabbrica e nei distretti industriali, e non solo;

era l’immaginazione al potere che significava rendere concrete le visioni dei mondi emergenti dalla ricerc-azione  e dalla lotte, e attraverso il personale che si faceva politico mettere in comune lotte ed esistenze.

Il testo che resiste nel tempo e resterà per lungo il più conosciuto è quello delle Metamofosi di Ovidio(43-17 dell’era nuova).

L’EUROPA ED IL MEDITERRANEO

“.. La figlia del Re di Tiro in Libano (ma anche di Libia e dei fenici

)Agenore

 la cui beltade

 non ebbe pari al mondo in quella etade.

La figlia Europa ebbe si volto lo sguardo

 che accese al suo amor l’alto motore divino. 

Per lascivo pensiero, per troppo amore.

 Fuori di ogni dignità e d’ogni decoro.

 Prese per troppo amore Zeus l’aspetto del toro bianco. 

(Tratto dalle  Metamorfosi di Ovidio).

Il racconto mitologico narra che Europa era una principessa fenicia, figlia di Agenore e di Telefessa.

 Zeus, avendola vista in spiaggia a raccogliere fiori di croco(o di zafferano)insieme alle sue compagne se ne invaghisce, tanto da chiedere ad Ermes di far avvicinare i buoi del padre di Europa verso quel luogo,il litorale libanese, per non insospettire nessuno.

Il padre degli dei si trasformò in un bellissimo e bianco toro che emanava profumo di rose, si avvicinò a carponi alla fanciulla per nulla intimorita e si stese ai suoi piedi.

Ammirandone la mansuetudine e non pensando minimamente che dietro potesse esserci un inganno, Europa gli salì sulla groppa.

Appena egli avvertì che ella lo cavalcava come una amazzone, Zeus se ne partì e la rapì attraversando il grande mare mediterraneo trasportandola fino a Cnosso, sull’isola di Creta.

La fanciulla da Zeus generò tre figli, tra i quali Minosse, re di Creta, Radamanto, giudice degli inferi e Serpedonte.

I tre figli vennero adottati dal marito ‘mortale’ della giovane Europa,Asterio,convinto da Zeus prima di ritornarsene nell’Olimpo.

 Ed Europa gravida ed infelice di questo materno peso della riproduzione perse per sempre il suo desiderio-di potere di volare come lo era per la dea luna e anche il potere di scegliere tempi e spazi per sé, condivisi con il suo compagno di vita toro solare e di volare tra oriente ed occidente.

Europa lunare e ‘migrante’

Con questo mito si rappresenta in primis la migrazione da Oriente ad Occidente d’Europa, e al suo nome in seguito vengono attribuiti tutti i territori occidentali;

Ed Europa si caratterizza per la sua permanente de-territorializzazione,

 non resterà solo il nome dei territori ad occidente della Grecia antica , ma assumerà il 

simbolo dei vari transiti di genti e culture dai continenti prossimi e conosciuti, Asia ed Africa . I culti dei bovini e della luna che si riscontrano nel mito, anche loro accompagnarono queste costanti migrazioni dal Medio Oriente e dall’Africa verso la Grecia;

un altro aspetto celato del mito come ci è stato tramandato da Ovidio, è che nelle corna del toro oltre alla potenza dominate del virile-maschile, si riscontrano altri significati la stessa forma della falce della luna,che collega, questo simbolo ad altri culti misterici pre-ellenici della dea luna.

Questo raccontatoci da Ovidio non è un mito qualsiasi ma è anche uno di quei miti che

segnano il passaggio da una cultura matrista della dea luna e della grande madre, alla cultura patriarcale tout court.

Con questo rapimento-filiazione Zeus, divinità dominante maschile, vuole porre un definitivo dominio sul femminile,la terra e i mari, interrompendo quella compresenza concreta ed immaginaria di culti maschili e femminili.

In ogni caso il ratto d’Europa seguito dalle nozze con la divinità e dai figli con essa concepiti, divenne emblematico del nuovo destino che si vuole dare alla donna e all’unione di essa con il maschile, che non sarebbe avvenuto più solo tra conterranei ma tra individui di origini e specie diverse, anche animali.(Donna, non più signora della propria esistenza-Dea Luna, ma semplice figura subalterna di riproduzione e ricombinazione naturale e sociale)

 Parsifae moglie del re Minosse e regina di Creta quasi per contro significare l’accoppiamento D’Europa con Zeus, sarà lei ad accoppiarsi ad un toro bianco donato da Poseidone re del mare al re di Creta Minosse per punirlo, e da questa perversa unione nascerà il  Minotauro – un mostro vorace di giovani e fanciulle, quotidianamente sacrificate che per acquietare la sua feroce insazietà. Sarà poi Arianna, figlia di Parsifae ad riprendere il filo della narrazione lunare indicando all’amato Teseo il modo per raggiungere ed uccidere il feroce Minotauro, ma qeul filo donatogli gli permetterà di ritrovare  la via del ritorno alla superficie, difficile per chiunque fino a quel momento, data la lunga oscura e labirintica cavità ove il mostro era incatenato;

l’uccisione del mostro portavo un grande significato di liberazione,quale quello di porre fine a riti barbarici sacrificali di giovani e donne che ancora sopravvivevano in quelle terre.

 Emergeva dal rapimento d’Europa e da questa unione di lei con Zeus una nuova stirpe cretese di dominio reale patriarcale sulle donne.

Però r-esisteva un’altra narrazione simile a quella d’Europa compresente e precedente a quella del rapimento .

Dipinti pre-ellenici, raffigurano Europa su di un toro, che racconta probabilmente un’altra storia quella della Dea Luna trionfante in groppa al toro solare, che lei invece seduce, non rapisce e non inganna, ma ne strappa il consenso.

Anche dall’etimologia della parola Europa emerge questo legame matrista- lunare,

un nome composto di due parole greche:

Eurus –ampio

ed Ops occhio

O ampio sguardo, che sta anche per luna piena ed è associata alla fertilità e libertà della grande madre.

In questo mito lunare di un’Europa non dominata sono presenti altri tre elementi importanti:

l’ambivalenza delle corna del TORO:Non solo il rapporto inscindibile tra gli esseri umani la natura, ma in modo vario, e con più versioni e interpretazioni nei secoli, all’immagine del toro e delle sue possenti corna è collegato lo spicchio della luna. Alla luna in qualche modo si congiunge anche la figura di Europa, che secondo alcune interpretazioni della parola stessa avrebbe il significato di “quella dal grande occhio”, ovvero ancora una volta la luna o dell’ampia visione lunare.


La lunare femminilità’: La donna Europa che viene rapita con l’inganno, alla fine sarà lei a prevalere sulla cultura violenta,virile ed ingannatrice del suo rapitore e sullo stesso mare mediterraneo da lei attraversato.

Sarà lei ora Europa con la sua femminilità pacifica e con quell’interculturalità mediterranea che porta con sé, propria da quel vasto bacino d’acque ove molte culture s’affacciarono e s’interfacciarono,

nella sua secolare deriva territoriale verso il Nord fino alle terre scandinave,

 ad influenzare e meticciare tutte le culture incontrate;

resta nella memoria condivisa mediterranea l’esperienza cosmopolita della civiltà plurilingui sta e e culturale ellenista, una cosmopoli con capitale culturale Alessandria al centro del mediterraneo costruita da Alessandro Magno su una riva del Nilo,inoltre in questa meravigliosa città sorgerà una delle biblioteche più importanti del Mediterraneo.

E solo nel secondo Novecento sarà lei con la sua potenza de-territorializzante a far ritrovare ad un continente devastato ed impoverito da due tragiche guerre ri-territorializzanti fratricide nazionaliste , con dieci e più milioni di esseri sterminati nei campi nazi-fascisti, ed altrettanti nel molti campi di battaglia sparsi in ogni angolo d’Europa quell’armonia e quella civiltà umanista e mediterranea perduta.

Lo stesso Manifesto per l’Europa, e non è un caso, è stato pensato da un confino in un’isola quella di Ventotene che non è certo un ‘isola del mare del nord ma del Mediterraneo.

 E là che Spinelli, Rossi ed altri compagni prigionieri dei fascisti,bagnati da quelle acque del sud e con la trionfante ed eroica resistenza diffusa in ogni angolo del contenente, a cui aderirono molte donne in qualità di staffette e partigiane, ma non solo ma anche genti di ogni minoranza oppressa e soppressa(ebrei, sloveni, romanì, comunisti, socialisti,anarchici, liberali, cristiano-sociali, libertari, lesbiche e omosessuali e altri ancora ) a ridare luce ad una gioiosa Europa pluriculturale

 (L’Inno alla gioia di Bethoven ne attesta l’emozione comune)

. Per molte/i di noi un’aspirazione su tutte: che l’Europa, pur con tutte le critiche e le modifiche necessarie alle sue politiche, consolidi la sua unità come luogo di giustizia, libertà pace e civiltà.

Si presenta chiaro anche il diverso rapporto dell’uomo e della donna rispetto alla seduzione o alla fascinazione.

(Baudrillard ci aiuta a dispiegarsi all’interno di questi due concetti spesso ambigui o usati come sinonimi.)

 Nella relazione di conquista amorosa con Europa l’atteggiamento di Zeus (simbolo di maschilità antica)si base sull’inganno, il dominio e la fascinazione;

per fascinazione s’intende strappare o condurre con violenza ed inganno verso di sé l’amata privandola del suo sé o del suo consenso.

Mentre l’atteggiamento d’Europa che cavalca il toro solare in un’altra raffigurazione, parte da un gesto di seduzione, di reciprocità ove i sé amanti s’incontrano in consenso, un sé-durre o condursi a sé.

Infatti il toro solare della lettura lunare del mito,  accoglie l’amata sulla sua groppa e lei acconsente a questa traversata e ne condivide il viaggio, le mete ed ogni altra decisione.

Infatti la Luna con i suoi  influssi conduce a sé le acque dei mari e oceani e le lei va verso quelle acque, come tutti gli altri elementi ove esercita questa sua potenza attrattiva amorosa.

E sarà ancora lei Europa in un continente tra le macerie delle città bombardate, a condurre a sé ed ognuno versò sé le genti stremate dalla guerra, dalla prigionia e dai campi di sterminio a chiamarle ad una pacifica convivenza e pattuire con tutte quelle genti de-territorializzate un patto di non belligeranza.

IL MARE Mediterraneo: Il movimento, la fonte della vita.

Richiama all’itinerario migrante della storia del nostro continente : il rapporto tra le genti, l’idea del Mediterraneo come elemento aggregante ed interculturale.

Un drammaturgo Davide Enia in una sua opera teatrale Abisso riprende il mito d’Europa attualizzandolo.

ENIA RACCONTA DI COME EMERGE LA TRAMA DEL SUO RACCONTO NEO-REALISTA

Il primo sbarco l’ho visto a Lampedusa assieme a mio padre.

 Approdarono al molo in tantissimi, ragazzi e bambine, per lo più era la Storia quella che ci era accaduta davanti.

 La Storia che si studia nei libri e che riempie le pellicole dei film e dei documentari.
Ho trascorso molto tempo sull’isola per provare a costruire un dialogo con i testimoni diretti: i pescatori e il personale della Guardia Costiera, i residenti e i medici, i volontari e i sommozzatori.

Durante i nostri incontri si parlava in dialetto. Si nominavano i sentimenti e le angosce, le speranze e i traumi secondo la lingua della culla, usandone suoni e simboli.
Ne L’abisso si usano i linguaggi propri del teatro (il gesto, il canto, il cunto) per affrontare il mosaico di questo tempo presente.
Quanto sta accadendo a Lampedusa non è soltanto il punto di incontro tra geografie e culture differenti. È per davvero un ponte tra periodi storici diversi, il mondo come l’abbiamo conosciuto fino a oggi e quello che potrà essere domani. Sta già cambiando tutto. E sta cambiando da più di un quarto di secolo.

Davide Enia si è fatto conoscere per la forza trascinante delle sue parole, per il gesto sempre vibrante e mai eccessivo, per i testi dove la drammaturgia esplode con forza su tutto l’apparato scenotecnico. E’ anche il caso de L’Abisso, lo spettacolo tratto dal suo ultimo testo Appunti per un naufragio edito dalla Sellerio, andato in scena al Teatro India.

Un viaggio prima di tutto interiore alla riscoperta delle proprie radici, proprio nel mezzo di un incontro-scontro con masse d’uomini e donne che quelle radici sono stati loro malgrado costretti a sradicare.

Ed è il mare che lega in qualche modo i destini di Davide a quelli dei suoi amici lampedusani, a suo padre, all’amato zio, un mare lungo, lento, ma anche crudele, il Mediterraneo, sopra il quale continuano a galleggiare corpi, irrimediabilmente inghiottiti e poi per sempre sospesi nell’abisso. Si parte da qui, dal pianto composto di un enorme sommozzatore che ogni giorno quei corpi li raccoglie dall’acqua come una nera messe, dove ogni stagione, senza sosta, porta il suo macabro raccolto.

Davide Enia e Giulio Barocchieri ne L’Abisso

Non è facile parlare di un tema ostico e controverso come quello degli sbarchi in Sicilia, a Lampedusa, un’isola diventata crocevia umano di destini, non sempre facili a intrecciarsi, ma Enia lo fa con garbo, raccontando il suo di naufragio. E’ un racconto emozionale, ma non da lacrimuccia facile studiata a tavolino, custodisce piuttosto il fascino di un’antica nenia, accompagnato con altrettanta maestria dalle corde di Giulio Barocchieri, tanto che si potrebbe quasi chiudere gli occhi e semplicemente ascoltare. Ma non è facile l’ascolto di certe vite spezzate, violate, strappate quasi all’anima con una brutalità che stentiamo a riconoscere come “umana”, Enia ci racconta allora il suo di disagio, quello di naufrago perso anche lui fra quelle vite così defraudate, di come la strana reazione al dolore lo porti a fare marmellate e a trincerarsi dietro quello stesso mutismo che lo aveva allontanato dagli affetti più cari. Perché l’essere umano è una strana macchina, facile a incepparsi.

Ma Davide Enia è maestro della parola e attraverso il suo discorso di uomo che si riscopre figlio, in un improvvisato viaggio con suo padre da cui è diviso da un silenzio profondo quanto quel mare, riesce a unire i punti di quella sospensione galleggiante, di parole non dette, di approdi mai raggiunti. Questo ponte fra il vissuto personale dell’artista e il volto cambiato di una terra investita dalla disperazione d’altri ci porta a camminare con lucida consapevolezza su quel ponte, ancora impreparati forse, ma decisi almeno a non aggrapparci più alle corde del pregiudizio. Un monologo intenso, bellissimo, nudo e crudo nel suo allestimento volutamente povero, dove a vincere, nel bene e nel male, è solo la storia, non tanto quella che il Davide uomo ci ha raccontato, ma piuttosto quella che abbiamo deciso di ascoltare.

TRAMA

  • Europa in fuga con la sua gente dalle città in fiamme per le guerre che devastano il continente asiatico ed africano, come Enea dalla città di Troia, e dopo una lunga traversata del deserto con le sue donne, bambini, giovani e uomini stremati per la sete e per la fame lasciandosi alle spalle vecchie e non che non hanno retto la traversata, giungono in una notte di luna piena su litorale libico mediterraneo. Affamati e terrorizzati per quanto ancora li può accadere di incontrare dalle narrazioni di altri profughi giunti fino là:
  • trafficanti senza scrupoli di corpi, di organi e pericolose traversate del mediterraneo su fatiscenti barche e barconi (vele della fame direbbe Pasolini in Profezia)e la più inquietante per tutti , la guardia costiera libica che li può catturare e condurre in campi di schiavitù, concentramento e detenzione senza fine ove le percosse, le violenze, gli stupri e le torture sono quotidianità di ogni prigioniero nell’Auschwitz del Mediterraneo(sosteneva Franco Berardi una sua opera ‘maledetta’), ed invece a sorpresa là su quel litorale che inquieta ogni profugo appare alle prime luci dell’alba un grande toro bianco disteso e mansueto, ma seppur tal immagine non generasse paura, pur tuttavia i profughi ne temono l’inganno.
  • Una volta che loro sono là di fronte a questa nuova realtà quasi chimerica, il toro spalanca la sua bocca, come la balena bianca per pinocchio, e all’interno appare una grande barca e molti bianchi e bianche pescatrici, che li invitano a salire. Loro salgono e con grande gioia dopo giorni di mare approdano a Cnosso nell’isola di Creta accolti come fratelli e sorelle degli abitanti del luogo.

D#3 Il Teatro di Radio3 – Scene dalla frontiera – l’abisso – Radio Rai

https://www.raiplayradio.it/…/MATERADIO-2018—D3-Il-Teatro-di-Radio3—-Scene…

e

AD ENEA UN ALTRO MIGRANTE DA GUERRE ED IN FUGA DALLA SUA CITTA’ IN FIAMME, ACCADRA’ MOLTI SECOLI PRIMA LO STESSO DRAMMA E VIAGGIO, ED E’ TRA COLORO CHE CONTRIBUIRANNO ENORMEMENTE ALLA NOSTRA CIVILTA’ MEDITERRANEA

Per quanto possa sembrare curioso né Virgilio né Orazio parlano d’Europa. Enea nel poema virgiliano sembra incarnare una fusione tra Oriente ed Occidente,dove non si marcano le differenze ma i punti di contatto, tra l’Europa del suo futuro e l’Asia del suo passato.

EUROPADALL’INDENTITA’ MULTIPLA FIN DALL’INIZIO DELL’ERA NUOVA

Alla ricchezza di tradizioni, di beni, di popolazione dell’Europa allude il geografo latino Strambone(60 era antica e 24 era nuova), quando afferma che “ essa ha grande varietà di forme , è popolata di regni politici di valore, è stata per il mondo la grande dispensatrice di beni, che le erano propri. Senza contare che è abitabile nella sua totalità ad eccezione di una piccola frazione disabitata per via del gelo al confine con i popoli che vivono nei carri ossia nomadi. E’ qui è ben evidenziata la sua estensione tra le acque del Mediterraneo e i ghiacci dei paesi nordici.

Nel Novecento non mancò un’interpretazione nazista del mito dell’Europa, con questo mito voleva dimostrare che gli europei avessero un’antica origine ariana, essendo Europa una principessa orientale. Gli ideologi nazisti nelle loro ossessioni razziste e mono-culturali pare non conoscessero esattamente l’origini territoriali di Europa, che non era figlia di un principe indiano d’ascendenze indo-europee ma di Agerone Re di Tiro, antica città fenicia(attuale Libano).

Questa improbabile interpretazione non trovò molto spazio tra gli intellettuali e gli scienziati del tempo, ma piuttosto le mote altre interpretazioni la raffigurano come una migrante da oriente ad occidente.

Tante le spiegazioni e le teorie che spiegano perché Europa divenne il nome del nostro continente, ma tutte richiamano il legame profondo fra le varie civiltà mediterranee -medio-orientali, egiziana, greca, etrusca romana che in modi diversi arrivarono a meticciare  per vie differenti la storia culturale del nostro continente. Relazione di Pino de March al seminario di Labas-comunimappe su una mitica Europa lunare e migrante