RIFLETTERE SULL’EUROPA


Se si vuole fare una storia dell’Europa, questa storia la si deve riscrivere perché è storia di attraversamenti e contaminazioni.


                            Ratto di Europa (Mosaico del III secolo d.C.), rinvenuto a Byblos e conservato al Museo nazionale di Beirut


La libera comune università pluriversità Bolognina

promuove una

Assemblea popolare della cittadinanza attiva dell’Europa minore

Tema :
LA  GRANDE DELUSIONE EUROPEA:  
FUGGIRE L’AUSTERITA’
“contro l’assolutismo finanziario per ricostruire una solidarietà sociale continentale”

VENERDI 14  MARZO 2014 – dalle ore 20.30  alle 23

c/o  
SALA CIVICA CUBO – VIA ZANARDI 249 – Bologna  
(BUS 18 – frequenza 10/15 min. scendere centro sociale pescarola- )
Una iniziativa che vuole anche essere un dialogo aperto con la nascente lista Tsipras 
Relazionano circolarmente:
  • Franco Berardi – attivista politico culturale
  • Margherita Romanelli – cooperatrice internazionale 
  • Marco Trotta – mediattivista  
  • Gabriella Covri – animatrice filosofa di comunimappe

Accordatore assembleare
Pino de March

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APPROFONDIMENTI

(!): CORO PER UN”EUROPA MINORE:

passaggi interiori/
ti immagino metafora deleuziana /
non ti immagino Grande Europa letteraria/economica/ militare/ imperiale
/ti immagino /deterritorializzata / sconfinata come tuoi cieli invernali/ /Blu notte/ illuminata dalla luna /
Ti detesto Europa/ territorializzata nella bandiera / rare stelle/ cielo blu opaco /senza mediterranee lune/
Ti detesto Europa territorializzata /
/con i tuoi temporanei lager di detenzione/ /senza cieli blu /
/senza stelle/ in tutte le stagioni /notti atroci per gli stranieri/
ti detesto Europa delle torri dei mercanti/ delle Banche/ degli stati di precarietà senza socialità/
Ti immagino Europa in divenire/ coi migranti/ mondo d’umani/
Ti Ascolto/ Ti Danzo /europa ribelle/ con i cantanti beuers/ delle tue banlieus/
passaggi esteriori/
ti ritrovo nelle mappe dei tuoi movimentati sognatori/:
passaggio numero 1: in Europa nessun essere umano è illegale /
passaggio numero 2: in Europa tutti gli umani devono avere un reddito di cittadinanza /per esistenze extra/
passaggio numero 3: in Europa la guerra è bandita/ come lo sono il razzismo / le diseguaglianze di ogni genere/
 
passaggi anteriori/
Ti rimmagino metafora benjaminiana/
Ti rimmagino europa nomade dei tuoi Ulissi/ naviganti / esiliati / senza terra/
dei tuoi tempestosi/ celebrali freethinkers/scienziati/ filosofi /politici/
dei tuoi tempestosi/emozionali freelands/artisti/poeti/musicisti/
Ti rimmagino europa bruniana dei mille campi di fiori /dei mille liberi pensieri/ dei mille liberi giudizi/dei mille liberi amori/
Ti rimmagino europe de l’ amour/ pour la libertè, l’ègalité, la fraternité des citoyenes de la Comunne de Paris
Ti rimmagino europa der Liebe/ fuer die Gleicheit der Karl Marx /der Rosa Luxemburg /der Karl Liebnecht /
der Bertold Brecht/
Ti rimmagino europa libertaria e cosmopolita/ de los Durrriti anarquistas espagnoles/
Ti rimmagino europa della fratellanza universale di Francesco D’Assisi
Ti rimmagino europa delle donne sagge /bruciate come streghe/sui roghi/ nelle piazze delle cattedrali/ sfidanti
il cielo/
Ti rimmagino europa beat/ desiderante nel pensiero e nell’azione/ degli operai/ degli studenti/ dei filosofi autonomi
del maggio/degli altri mesi / degli altri anni/ a venire/in tutte le tue città /

Ti rimmagino europa della glastnost/della trasparenza/dell’insostenibile leggerezza dell’essere nel pensiero e nell’azione/
degli operai /degli studenti/ dei filosofi dissidenti/ / nelle varie primavera di Praga/ di Budapest /
di Varsavia/
Ti rimmagino europa gaya dell’amore/ negato per secoli/
Ti rimmagino europa della libertà/ dell’uguaglianza/ della sorellanza/ tra/ tue/ lingue / disparate/
Ti rimmagino europa della resistenza delle masse/
Ti agisco europa della disobbedienza delle moltitudini/
Ora e sempre/ Europa delle sognatrici/
Ora e sempre/ Europa degli amanti delle umane genti/
Europa minore/
minore/
minore come l’asia /
del pastore errante/
dai passi leopardiani/

 Pino De March

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Omaggio a Danilo Dolci

La maieutica dolci
In questo tempo urlato ove ogni giorno dalle ceneri spuntano ciarlatani e pubblicitari con sempre nuove  menzogne, che fanno breccia tra la gente comune sollevando aspettative ed illusioni (like-mi piace) che si tramutano  in rapide delusioni (no like-non mi piace), la maieutica di Dolci fatta di circle timee  metafora della domanda può essere una buona terapia per vaccinarsi contro questa liquidità diffusa.
Circle time
Negli anni immediatamente successivi alla proclamazione della Repubblica, e sono gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, nella Sicilia come nel resto del paese perdurano analfabetismo, miseria, emigrazioni,  ingiustizie sociali ed oppressioni verso le donne e le nuove generazioni;
Danilo Dolci  un poeta e  un filosofo  pacifico non pacificato,
 s’impegna ad  attivare assemblee popolari con la gente comune: braccianti, contadini, pescatori, operai, artigiani, intellettuali, giovani e donne;
  vi è in lui “una  costante tensione a generare quelle condizioni antropologiche, sociali e politiche che permettono ai singoli individui di maturare una consapevolezza del proprio valore, del proprio potere, il bisogno di farsi sentire, di valorizzare la propria esistenza. È un processo che trova in Danilo Dolci una connotazione pedagogica. “
crescita di  un popolo
“Tali processi dal basso vengono da  lui stesso definiti  di  “crescita collettiva”, di crescita di un popolo, che non possono essere imposti dall’alto”, ma generati in circle time, in una circolarità che si fa reciprocità e conoscenza di sé e della propria condizione  antropologica e sociale.
Il suo impegno come educatore è volto a organizzare la speranza di un cambiamento a partire dalla presa di coscienza di ciascuna persona del proprio valore, delle proprie capacità e
quindi  delle potenzialità di generare nuove strutture auto-organizzate e generatrici di saperi popolari volti a progettare solidi  presenti comuni e solidali con uno sguardo lungo sul futuro.
Questo processi immersi nei conflitti sociali del suo tempo: hanno generato  individuazioni di classe, di genere e di generazione, e nella comune problematizzazione  pacifiche soluzioni.
metafora della domanda
“Se c’è una metafora che può caratterizzare l’esperienza pedagogica di Danilo Dolci è senz’altro la
metafora della domanda. Possiamo definire Dolci come l’educatore della domanda, ossia l’educatore che innesta tutta la sua azione formativa sul chiedere, sull’esplorare, sul creare,
sull’interrogazione, ovviamente non in senso scolastico, ma nel senso dello scavo, dell’andare oltre
l’apparente, cercando di scoprire il “non-noto”, ciò che è velato dalle tradizioni, dalla consuetudine,
dagli stereotipi. In questo sta il richiamo all’approccio maieutico, per cui Danilo Dolci è famoso,
alla pratica del tirar fuori, del porre gli educati nella condizione di allargare la propria sfera di
apprendimento a partire dalla capacità di utilizzare in maniera costruttiva le domande. “
(per queste riflessioni  mi sono avvalso di un testo di Daniele Novara, il gusto della domanda)
Per la comune accademia di comunimappe pino de march

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CAOSMOSI  EUROPEA

Europa minore nel suo divenire uno dei tanti mondi minori

L’attraversamento dei territori Kafkiani da parte di Deleuze e Guattari e le osservazioni che essi ne hanno tratto, ci permettono di formulare una costituzione immaginaria di quello che desidereremo diventasse l’Europa. 

“La letteratura minore non è la letteratura d’una lingua minore ma quella che una minoranza fa di una lingua maggiore. Il primo carattere di tale letteratura è che in essa la lingua subisce un forte coefficiente di deterritorializzazione. Kafka definisce in questi termini l’impasse che impedisce agli ebrei di Praga l’accesso alla scrittura e fa della loro letteratura qualcosa di impossibile; l’impossibilità di non scrivere, impossibilità di scrivere in tedesco, impossibilità di scrivere in un’altra lingua… L’impossibilità di scrivere in una lingua diversa dal tedesco è per gli ebrei di Praga il sentimento di una distanza irriducibile rispetto alla primaria territorialità ceca.
Insomma il tedesco di Praga(e di Kafka) è deterritorializzato, adatto a strani usi minori(si veda in un diverso contesto, cosa possono fare i neri con l’americano). La letteratura minore è tutta diversa: l’eseguità del suo spazio fa si che ogni fatto individuale sia immediatamente innestato sulla politica…” La letteratura minore, infine – ed è questo il terzo carattere – tutto assume un valore collettivo.
(Attraversamento di Deleuze e Guattari di Kafka, pp. 27-29.)
I geofilosofi Deleuze e Guattari concepiscono la letteratura dopo l’attraversamento dei testi di Kafka come concatenamento o enunciazione collettiva di un popolo minore con tutta una serie di divenire.
Un divenire molteplice in cui è in gioco la vita, il desiderio e l’evento.
In questo momento in europa si giocano due visioni dell’europa:
una chiusa, spaventata e celebrativa della sua ricchezza economica e culturalmente eurocentrica ed una altra aperta, riflessiva e critica della società delle virtuali e reali abbondanze, empatica verso lo sconosciuto e pronta a confrontarsi anche con la durezza del divenire impetuoso dei migranti.
La prima visione rimanda alla clinica, al socio-patologico, al modo in cui il desiderio delle moltitudini viene piegato e bloccato lungo le linee ormai militarizzate delle frontiere-fortezze di Senghen e nei centri di detenzione per stranieri.
Il Castello-Europa sognato dai migranti come luogo della ricchezza (passaggio imperiale) e dei diritti umani (passaggio umano) si trasforma rapidamente in una reale fortezza kafkiana appena qualcuno dei altri mondi prova ad avvicinarsi alle sue mura virtuali; alla maniera del guardiano-super-io dell’agrimensore del castello di Kafka, il migrante viene bloccato sulla soglia malgrado che le porte siano aperte. Ma qui a bloccare l’accesso al castello non è l’autocensura del super-io dell’agrimensore ma la censura del super-io paranoico degli europei che si interdicono un possibile incontro con lo sconosciuto-migrante.
La seconda visione rimanda invece alla critica, in quanto fa interagire i desideri dei fuori(gli extra-comunitari) con i desideri dei dentro (intra-comunitari), provando così ad inventare nuove lingue e nuove forme di vita europee.
Lingue minori alla maniera di Proust, che come lo leggevano i nostri amici e filosofi Deleuze e Guattari ha saputo inventare una nuova lingua straniera dentro alla lingua francese.
Lingue minori anche alla maniera di Kafka che scrivendo in tedesco ha saputo inventare una nuova lingua tedesca attraversata dalle inquietudini della sua vita, dalla cultura ebraica appresa dalla madre e da quella ceca della sua città.
Lingue queste tutte minori non certo minoritarie.
L’europa minore nel suo divenire-ricombinante degli europei
Nella letteratura minore si iscrivono i movimenti di creazione dei vari divenire della vita e dei desideri.
I movimenti migranti nel divenire europei (flussi migratori) e i movimenti europei nel divenire mondo (flussi degli alterglobal), determinano un doppio movimento fuori-dentro-dentro-fuori, che ricrea nuovi passaggi comunicativi e di ricchezza non solo per l’Europa minore ma anche per i mondi minori attraversati dai flussi bidirezionali.
Il pensiero critico e minore si trova a fronteggiare oggi sia contro gli stati clinici locali e globali euro-americani con le loro guerre umanitarie e sicuritarie, con i loro no-tollerance, con il loro fondamentalismo economico liberista ma anche contro gli stati clinici neo-localisti  e fondamentalisti extraeuropei con il loro terrorismo, con le loro guerre etniche, con le loro segregazioni, con le loro guerre religiose.
Stati clinici psicotici occidentali bloccano i passaggi di vite alle soglie delle loro fortezze, lasciando passare solo degli schiavi a termine di lavoro e stati clinici nevrotici globali mercificano le forme di vita umane e naturali nello loro stressanti borse valori, dove tutto viene ridotto a merce.
Gli aggregati politici, sociali e culturali spontanei dell’Europa-minore e gli aggregati degli altri mondi minori con cui si è in relazione dopo Seattle e Porto Allegre non sono differenze o minoranze irriducibili nell’identità, come qualcuno continua a presentarci mediaticamente nella versione noglobal, ma singolarità comunicanti e disposte alle mutazioni (alterglobal o alterlocal).
L’europaminore non è l’europa delle differenze identitarie alla maniera dei Baschi, dei Bretoni, dei Celti-padani etc o dei vari separatismi) ma neppure l’Europa dei fondamentalismi religiosi in qualsiasi forma si presentino ( cristiani, ebraici, mussulmani, induisti, testimoni di geova etc), economici(liberismi moderati o radicali) o politici(terrorismi, razzismi, nazionalismi, localismi, xenofobia, omofobia).
L’europa minore non è la semplice europa delle differenze ma un’europa complessa delle singolarità comuni (differenza della differenza della differenza).
Ci sono delle differenze date storicamente e dal dominio(classe, genere, etnico etc) ma queste differenze comuni nei loro processi di liberazione(movimenti specifici) danno origine ad altre differenze(singolarità).
E queste singolarità si concatenano con altre singolarità(movimento dei movimenti) per dare vita ad una sfera pubblica comune delle singolarità.
Il dominio globale contemporaneo riconosce solo le differenze sociali, politiche, antropologiche e comunitarie ipostatizzate nella forma del benettonismo, del corporativismo, dei localismi, e dei nazionalismi e le individulità ipostatizzate in forma consumistica ed imprenditoriale ma disconosce qualsiasi forma di singolarità comune che aspiri all’autogoverno locale-comunalista o all’autorganizzazione economica e sociale nella forma della cooperazione politica o nelle pratiche dell’autovalorizzazione.
Singolarità comuni o comuni singolarità che si costituiscano in sfere comuni per ricreare rapporti di cooperazione autonoma al fine di aprire conflitti con i poteri dominanti per creare nuove possibilità di socializzazione della ricchezza socialmente prodotta(reddito), per rendere autonomi e produttivi socialmente i saperi, per lasciare ibridare le culture e permettere a queste di inventare nuove forme di società.
L’europa minore è l’europa delle città autogovernate che immagina e pratica la moltiplicazioni delle forme di vita ricombinate dal desiderio di vita, di una vita.
L’europa minore allude a forme di vita dis/identitarie e dis/topiche.
L’europa minore non è un luogo o un non luogo ma un passaggio,
l’europa minore non ha una identità definita e neppure una identità indefinita ma è una concatenazione comune in divenire creolo o ibrido di singolarità desideranti che si lasciano contaminare dai flussi umani e culturali che vengono dai vari fuori.(altri mondi).
L’europeo in divenire è un europeo complesso, non semplicistico e afasico alla maniera di Bossi –Fini-Berlusconi, è un intra-comunitario-extra (afro-europeo, euro-asiatico, euro-americano etc)
L’europeo in divenire porterà con sé non un segno bloccato(trattino) di separatezza metafisica(extra-comunitario) ma un segno nomade (trattino) di legame complesso(extra-comunitario-intra).
C’è un trattino linguistico che blocca i flussi desideranti di vita (frontiere-fortezze)-/-/–/–/
C’è un trattino linguistico che lascia passare i flussi desideranti di vita (passaggi) —-____——-__
Europa minore immaginata e il suo futuro anteriore
L’europa minore non allude a forme di vita alienate e mercificate dal capitale economico -finanziario .
L’europa minore crea nuovi passaggi di ricchezza tra nord e sud e tra ovest e est, crea nuovi passaggi culturali che ci permettono di pensare un’europa minore ed impensata, un’europa dove la vita scorre dentro di essa.
Nelle frontiere tra l’europa e il mondo, l’europa minore intende far parlare l’indicibilità dei migranti e degli europei in movimento nei due sensi.
L’europa minore immaginata è terra di passaggio, come del resto l’europa è stata nei secoli per gli invasori, i nomadi, i pellegrini e gli umani in cerca di nuove terre.
Tutti questi flussi deterritorializzanti nel bene e nel male hanno permesso all’europa geografica di divenire storia, alla natura europea di divenire cultura europea attraverso quella greca, romana, fenicia, romano-barbarica, normanna, araba, ebrea, asiatica etc.
L’europa e gli europei sono il prodotto di ricombinazioni genetiche e linguistico-culturali disparati.
Se si vuole fare una storia dell’europa, questa storia la si deve riscrivere perché è storia di attraversamenti e contaminazioni.
Testo elaborato da pino de march  per un’azione teatrale di strada dentro all’European Social Forum di Firenze 2001

OSSERVATORIO SULLA DEMOCRAZIA PARTECIPATA

Tra i progetti della Comune Accademia vi è anche quello di dar vita ad un Osservatorio che si propone di monitorare i comportamenti degli attori politici in quegli atti riconducibili al tema della democrazia partecipata. 
Lo scenario di queste ultime settimane, già manifestatosi in forme diffuse (dalle primarie alle quirinalie), ha dato vita a scampoli di democrazia specificatamente caratterizzati dalla partecipazione tramite votazioni on line e nel diffuso opinionismo della rete, oltre che nell’appuntamento elettorale di febbraio.
Alcuni contributi al dibattito, proposti dall’Osservatorio, sono presenti nel sito e percorrono il periodo tra le elezioni di febbraio e oggi.
Di questo e altro si parlerà venerdì 10 maggio h.20 

presso HUB – via Serra, Bologna, Bolognina.
Dibattito – Invito / aperto a tutti i comunardi e loro vicinato – 
Pino De March – commenta Simon Weil, 
dal testo “Manifesto per la soppressione dei partiti politici”

Simon Weil, con il suo manifesto per la soppressione dei partiti  politici (intendendo con essi tutte le istituzioni  reificanti ed alienanti le forme della vita  del Novecento) proponeva la creazione “di spazi condivisi di  ricerca ed azione che dovrebbero essere mantenuti sempre in uno stato costituente di fluidità “(mantenere una lingua e una prassi attiva ispirata semanticamente al participio presente – o del partecipare presente – mai  farsi catturare dalle paura nei partecipi passati). 
Animano il dibattito
Paolo Bosco – su democrazia partecipata e partecipazione alle scelte.
Marco Trotta – su democrazia partecipata e alfabetizzazione dei movimenti nella società digitale. 
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A seguire appunti per approfondire:
Il Concetto di Democrazia Partecipata preso nella sua più ampia accezione indica tutte le democrazie possibili, in tutte le diverse forme, non tanto per rappresentarle in contrapposizione le une con le altre, ma in cooperazione.  Partecipare significa esserci e la democrazia non può esimersi dal sollecitare ad esserci, a partecipare. Vista da questa prospettiva la democrazia partecipata comprende quella rappresentativa, infatti con l’andare a votare si partecipa ad una scelta. Ed una delle critiche più accese contro la democrazia rappresentativa è proprio quella di chiamare ad una partecipazione sporadica e distante nel tempo, tanto da non creare un legame tra eletto ed elettore tale da garantire una continuità, una vera partecipazione. 
Forme di democrazia tendenti ad ampliare il grado di partecipazione si sono avuti per tutto il Novecento. Anzi si può dire che nell’ultimo secolo abbiamo assistito ad una varietà infinita di forme di democrazia; valutare queste forme  significa inserirle in una scala di merito che misuri il grado di partecipazione che realizzano. A seconda della frequenza con cui si viene chiamati ad esprimersi, si definisce l’efficacia delle forme di partecipazione e si può parlare di democrazia partecipata riuscita.
Per una sintesi generale della questione Democrazia Partecipata si potrebbe ripercorrere la storia della democrazia nata nel XX° Sec. come un cammino nelle varie architetture istituzionali e delle forme democratiche abbozzate. La sintesi di tutto il processo è riducibile ai due estremi della questione (massimo e minimo di partecipazione) con le forme del Presidenzialismo e del Parlamentarismo. Nella prima forma si elegge il capo a cui si demanda di fare tutto (o quasi). Nel parlamentarismo si è obbligati a trovare delle maggioranze (che poi siano variabili o fisse cambia parte del contesto ma non lo stravolge nel suo principio). 
Anche nella lotta tra Napolitano e Rodotà si può intravedere questo binomio e le aree politiche e sociali che le due figure rappresentavano.
Frammenti dal manifesto di Simon Weil

“La democrazia, il potere della maggioranza, non sono un bene, sono mezzi in vista di un bene.”

“… per Rousseau la ragione sceglie sempre la giustizia, la passione  sta all’origine di qualunque crimine. Inoltre la ragione si ripropone negli individui in maniera uguale, le passioni differiscono da persona a persona. L’unione degli individui di una comunità (nazione, popolo) se basata sulla ragione può creare una unità (forza, potere) che faccia trionfare verità e giustizia, se basata sulle passioni (si intende quelle collettive) non darà che ingiustizia e falsità. Un volere ingiusto, anche se sottoscritto da una maggioranza, rimane un volere ingiusto. 

“… a determinate condizioni il volere del popolo [ha] maggiori possibilità di qualsiasi altro volere di essere conforme alla giustizia.”

– “Quando in un paese esistono i partiti, ne risulta prima o poi uno stato delle cose tale che diventa impossibile intervenire efficacemente negli affari pubblici senza entrare a far parte di un partito e stare al gioco. Chiunque si interessi alla cosa pubblica desidera interessarsene efficacemente. Così, chiunque abbia un’inclinazione a interessarsi al bene pubblico o rinuncia a pensarci e si rivolge ad altro, o passa dal laminatoio dei partiti.”
– “Si deve ammettere che il meccanismo di oppressione spirituale e mentale proprio dei partiti è stato introdotto nella storia dalla chiesa cattolica, nella sua lotta contro l’eresia.”
– “Ne è risultata, dopo un certo intervallo, la nostra democrazia fondata sul gioco dei partiti, ognuno dei quali è una piccola chiesa profana armata della minaccia della scomunica.” 
[senza partiti] “Gli elettori si assocerebbero e si dissocerebbero secondo il gioco naturale e mobile delle affinità” 
– “Siamo arrivati al punto da non pensare quasi più, in nessun ambito, se non prendendo posizione pro o contro un’opinione e cercando argomenti che, secondo i casi, la confutino o la supportino.”

IL PASSATO CHE RITORNA COME FARSA

Stefano Rodotà è stato l’estensore del referendum sull’acqua. Senza la necessità di fare troppi passaggi logici si può dire che 26 milioni di italiani hanno approvato l’enunciato da lui elaborato per esprimere un’opinione di rilevante valore politico. Meglio di così per dare inizio ad un’esperienza democratica partecipata non si poteva avere. Da presidente della Repubblica, senza aspettarsi svolte rivoluzionarie, avrebbe probabilmente dato vita ad una nuova stagione democratica sensibile a istanze decisionali dirette. (Anche lo statuto della nostra associazione si ispira a suggestioni giuridiche di tutela dei beni comuni stilate da Rodotà per il teatro valle occupato.) Oggi, con la riconferma di Napolitano, questa schiarita istituzionale apparsa per un attimo lascia spazio ad una tetra e grigia nuvolosità diffusa.  

Tanti sono i modi di intendere la democrazia; che non è, sia chiaro, un bene in sé. La democrazia semmai, parafrasando le parole di Simon Weil, può essere un veicolo verso il bene comune, a certe condizioni. Vi sono democrazie che fanno cose immonde (vedi in Palestina), che non per questo diventano accettabili. La democrazia che avrebbe fatto seguito ad una presidenza Rodotà sarebbe indubbiamente stata in grado di stimolare un riavvicinamento dei movimenti, delle opinioni sociali più rappresentative, alla vita politica. Quello che succederà da domani in Italia avrà poco di condiviso con una vastissima opinione pubblica. Ipocritamente si tornerà a parlare di “riavvicinare la gente alla politica”, magari mobilitando i pifferai magici che si spacciano per giornalisti o con provvedimenti di facciata. 

La memoria di quanto successo in questi giorni, destinata a cancellarsi col tempo (questo sperano gli asserragliati nel palazzo – ed ancora saranno chiamati i pifferai a provvedere), bisognerà tenerla viva e farne ricorso per non dimenticare la plastica immagine del terrore transitato nel volto di tutti quei figuri, dirigenti partitici, che si sono per un attimo visti perduti se fosse collassato il pd. Tutto il sistema dei patiti li avrebbe seguiti a ruota, evidenziando dunque che il sistema si regge vicendevolmente: senza il pd non avrebbe retto il pdl, così senza il pdl non esisterebbe il pd (di conseguenza anche monti e lega sarebbero finiti nel tritacarne). Bruciando anche Prodi il pd ha gettato la mascherina: una parte dei deputati (i famosi cento) non potevano accettare nemmeno la figura dell’anti-berlusconi in salsa moderata, figuriamoci Rodotà. Il pd è un partito di ingegneri disegnatori di strategie, travestiti da riformatori, posizionati nelle retroguardie e incaricati di entrare in azione ogni qual volta il sistema va in crisi. Per loro l’ambientalismo, la dignità di chi fatica a campare, la democrazia diretta, i beni comuni, sono opzioni da usare al massimo quando serve (per i grillini Bersani pensava ad un mix di belle intenzioni, magari da buttare sul tappeto e poi lasciarle sciogliere come neve al sole). Anche le primarie le hanno considerate un momento fine a se stesso: mica dopo si prevedeva il persistere di un legame tra elettori ed eletti. Anche lo slogan “Italia bene comune” non era altro che uno schizzo propagandistico, volutamente confuso, di nazionalismo e comunitarismo. 

Ieri, 20 aprile, mentre ri-eleggevano Napolitano, un violento acquazzone con tuoni e fulmini si è abbattuto su Bologna. L’aria adesso si sta schiarendo, i contorni della realtà si definiscono meglio di prima. I grilli canteranno monotoni, rimuginando sugli errori (enormi) commessi.
Le scuole popolari hanno tanto lavoro dinanzi per costruire sapere critico e una nuova schiera di intellettualità diffusa. 

Comune Accademia – Osservatorio sulla democrazia diretta e di base.

SULLA DEMOCRAZIA DIRETTA








Più che un’indicazione di governo con il voto gli italiani hanno espresso la volontà di autogovernarsi. Come se il potere pubblico sia stato tolto a chi lo possedeva (i partiti) per consegnarlo al controllo diretto e a coloro che di questo controllo si sono fatti portavoce.

Nella nuova realtà creatasi dopo il voto in Italia sembra ci siano le condizioni per sperimentare una qualche forma di democrazia diretta. Mai come questa volta tante persone comuni sono state elette in parlamento, nonostante una legge elettorale dove è totale il controllo dei partiti sui candidati, anzi forse proprio in risposta ad essa, sia il pd (non per vocazione ma per marketing) che 5 Stelle hanno promosso la selezione dei candidati a partire dai territori.

Come ulteriore evoluzione, la rete potrebbe permettere la realizzazione di un canale per quel rapporto, quella corrispondenza, tra società e nuovi eletti nelle camere.  Già adesso è possibile facilmente entrare in contatto con loro tramite i profili pubblici.

Si tratta dunque di mettere in essere una intellettualità organica, sociale, popolare, che dialoghi con quei nuovi parlamentari che il 15 marzo si insedieranno. Oggi non è molto difficile fare leva su alcuni argomenti che limitino, per quanto possibile, la dipendenza dei parlamentari dai propri partiti di riferimento. Non si tratta di fare richieste o pressioni, ma chiedere loro il rispetto anzitutto del vincolo di lavorare per il bene e l’interesse generale. Certo sono parole generiche, ma chiare. Come chiare sono alcune parole della Costituzione. Come quelle che dicono: «Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.» (titolo IV, art. 50). Sempre della Costituzione non va dimenticato l’articolo 71 : «L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli». L’identificazione dell’interesse generale potrebbe avvenire regolando al meglio lo strumento referendario per poi utilizzarlo per temi come l’ambiente, la scuola, alcuni beni fondamentali che chiamiamo comuni etc.

Se le elezioni sono generalmente un gioco che dura poco, perché sostanzialmente si chiede di mettere una croce e poi tornarsene a casa, oggi ci sono le condizioni perché questo non avvenga, perché la parte attiva della società apra e mantenga viva la corrispondenza con i parlamentari. Quelli che vogliono starci, almeno. 

Ma serve un linguaggio chiaro e un sistema informativo libero, che non veda attori predominanti che attuano un sistematico inquinamento informativo. Serve una regolamentazione del flusso comunicativo tra i due estremi: gli eletti e gli elettori. Sia i parlamentari che la società attiva devono comunicare in maniera efficace, sta in questo punto preciso la possibilità che si accenda la funzionalità della democrazia diretta.

Deputati e senatori disposti a lavorare con questo spirito, attuando un comportamento pubblico e inter-diretto con la società, non sarebbero lasciati soli, isolati e dunque raggiungibili dalle sirene dei corruttori. La parte di parlamento pulita renderebbe più visibile quella parte lercia e portatrice di interessi di parte, di privilegi oramai insopportabili.

In regime di democrazia diretta bisogna limitarsi a provvedimenti strutturali, demandando l’ordinaria amministrazione al Governo. Governo che giustamente non può non avere la fiducia, ma che può anche non avere la pretesa di essere il protagonista unico della ristrutturazione dello Stato e dell’indirizzo economico generale. D’altra parte si dice “potere esecutivo”, cioè esecutore di provvedimenti che altri hanno costituito (il parlamento).

Lasciamo correre per un attimo la fantasia: come lo immaginate voi il dialogo costante tra chi “dentro” vota i provvedimenti e le leggi mentre “fuori” una vasta platea di associazioni, blog, appelli correlati da firme e quant’altro, modulano un vasto dibattito sociale?

Democrazia rappresentativa significa comunicazione di massa unidirezionale, dal vertice alla base, come ci insegna tutta  la storia del Novecento. Mentre democrazia diretta significa comunicazione orizzontale e finalizzata non a convincere ma a permettere di decidere. 

La democrazia diretta è certamente di difficile attuazione, per riuscire deve tener presente le elaborazioni che arrivano dai movimenti sociali, dai forum di discussione dove i temi vengono affrontati con il dialogo più che attraverso votazioni a maggioranza. Le tecnologie possono facilitare ma anche ostacolare un progetto di democrazia diretta, i quanto non sempre la regola “una testa un voto” è il migliore dei sistemi possibili:  chi organizza al meglio l’esposizione di un argomento, anche se può non essere la soluzione migliore, può avere il maggior consenso. Dunque l’abitudine a documentarsi dovrebbe diventare la norma principale.

Serve uno sforzo collettivo, con anche risorse organizzative prelevate dalle istituzioni rinnovate. Servono giornali, radio, organizzazioni sociali che lavorino per convocare assemblee pubbliche nel territorio e per creare inchieste da riversare poi su una piattaforma pubblica e progettata per rispondere alla richiesta di facilitare la partecipazione. Lo stesso sito di camera e senato potrebbe, sulla scorta dell’esperienza di radio parlamento, essere la sede dove si depurano, si sintetizzano nel rispetto delle differenze, i temi da trattare e da indirizzare ai parlamenti corredati dagli orientamenti emersi dal basso.

… ma tutto quanto detto fin qui è pura utopia. Naturalmente non interessa a nessuno attuare un simile progetto. Nemmeno a chi, a parole, lo sventola come una bandiera.
Non interessa a Grillo, alle prese con manovre per non farsi schiacciare dal variegato mondo che lui stesso ha messo insieme. Non interessa al pd, da sempre dedito a cucire una sua tela fatta di banche, apparati, consorzi, società per azioni camuffate da cooperative.

Quelle espresse sopra sono fantasie di intellettuali visionari che si immaginano mondi perfettibili (anche il nostro sito lo fa). Infatti questo articolo in buona parte è frutto di un “taglia e cuci” ottenuto prendendo in considerazione diversi articoli di autorevoli personalità del mondo della cultura.

Paolo Bosco

RI/SOLUZIONE CIVILE

UNA – Lettera ad Ingroia e ai 4 lords della sinistra extra-parlamentare (cioè rimasta fuori dal parlamento per mancato quorum) come testimonianza di una preannunciata sconfitta della lista 4° stato – EDUN Elogio  alla generosa presenza attiva del M5S (ma nessuna complicità con la  diarchia rivoluzionaria di Grillo)


In un testo scritto il 13/12/12, era il giorno dopo la fatidica data (12/12/12) che i Maya avevano preconizzato come giorno della fine del mondo, ipotizzai il fallimento del progetto che stava delineando il magistrato e un variegato arcobaleno di sigle. Le cose per il mondo e per l’umanità  sono andate molto meglio  di quanto sono andate oggi (27 febbraio 2013 ) al 4° Stato di Ingrioia e dei suoi complici suicidi novecenteschi (suicidi per la terza volta).
La mia lettera con tono ironico mal celava la rabbia per le scelte fatte da Ingroia di risuscitare i 4 lords (come appellavo ironicamente  i quattro leader della sinistra exparlarlamentare: Ferrero per rifondazione comunista,  Diliberto per comunisti italiani,  Bonelli per i verdi e Di Pietro per  Italia dei valori) e di mettere all’angolo la diffusa rete di cittadinanza  attiva fatta di nodi (aggregazioni spontanaee) e di assemblee estese in tutto il territorio (in particolare “cambiare si può”) … e dei vari comitati dell’acqua come Bene Comune, dei No Tav, no Ponte, dei movimenti per i Beni Comuni della città,  della cultura ecc.
Per amor di verità fra questi solo Ferrero si era reso disponibile per fare un passo indietro, come chiedevano le assemblee diffuse e cittadine – e di lasciar passare i prescelti cittadini/e delle assemblee territoriali.
Poi le cose andarono diversamente perché la maggioranza del partito di R.C. decise  di seguire gli altri aristocratici leader della sinistra extra-parlamentare; e qui l’intervento di Ingroia fu deecisivo, con un colpo da mago scelse di costruire una lista a pettine: un cittadino comune / un aristocratico lords.
Dopo questa decisione le assemblee territoriali implosero e la maggioranza scelse il riflusso e  l’attesa fine delle elezioni 2013; altri, una piccola minoranza di realisti – lealisti – di sostenere Ingroia e pochi altri, come me,  scelsero di rimanere attivi nei nodi sopravissuti di A.L.B.A e di continuare a sostenere mobilitazioni e lotte contro la riprivatizzazione dell’acqua da parte delle amministrazioni locali e per il referendum che si farà a maggio a Bologna per una  ripensata scuola pubblica di tuttti e tutte (statale, comunale e regionale)  e contro il finaziamento ad una scuola paritaria e privata.
La presenza di Grillo e delle sue assemblee (preannunciata primavera italiana) non mi erano risultati indifferenti, condividevo molte delle proposte e della filosofia di cittadinanza attiva, attivazione attraverso i new media di una certa democrazia diretta e parteciapata, di prediligere i Beni Comuni  contro una visione liberista e di individualiasmo proprietario indifferente e cannibale delle comunità umane.
Una delle cose che mi tratteneva dal sostenere apertamente il movimento di Grillo era la verticalità  dell’organizzazione – diarchia – un certo dispotismo rivoluzionario, e la proprietà del logo del Movimento 5 stelle; diverso sarebbe stato il mio atteggiamento se al posto di trovarmi in Italia con M5S mi fossi trovato in Germania con il Piraten – dove tutta l’organizzazione è orizzontale assieme alle decisioni (lì siamo in presenza di una vera rete di iter dipendenza e di cittadianza attiva, responsabile di orgnaizzazione e decisione. Più interattiva, comunarda e libertaria). 
Ma la storia con i suoi eventi traumatici e con lo scherzo dell’omino gobbo (direbbe Benjamin), è  portatrice di verità  anche indigeste e di trasformazioni inaudite di cui non si può negare la presenza.
Quel 1/3 di gente comune, elettrice del 5 stelle, proveniente da varie aree politiche, ha determinato qualcosa di straordinario e di cui non si può far a meno di riconoscerne la valenza rivoluzionaria e civile (anche il movimernto di liberazione dal fascismo raccolse la gente migliore di ogni parte politica che non sopportava più quello spettacolo indecente, quelle guerre  e quella miseria e morte  diffusa che il fascismo aveva provocato); così oggi tutti noi non riusciamo più a sopportare Berlusconi e tute quelle forze che per anni non hanno saputo distinguersi eticamente e culturalmente.
Il 5 Stelle si deve emancipare dalla sua diarchia benefica e generatrice – per assumere quella responsabilità ed autonomia pirata.
Penso che i padri generatori non dovrebbero limitare la crescita dei loro figli e figlie e nemmeno la crescita autonoma della società: restino garanti del processo orizzontale e conflittale ma non soffochino la primavera sul nascere.
Va comunque riconosciuto il valore straordinario di Grillo. Come in tutte le piazze d’Italia non manca una statua a cavallo di Garibaldi non mancherà l’Italia di riconoscenza per Grillo giù da cavallo tra la gente comune. Grazie Garibaldi grazie Grillo; non è finito il tuo contributo all’Italia! Dei tuoi “giovani” cittadini in Parlamento e nel Paese sento che non potremmo farne più a meno,  neppure noi movimento diffuso di trasformazione per i Beni Comuni e per una società umana ecologica e sociale in un tempo di globalizzazione.
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Lettera aperta del 13/01 ad Igroia come testimonianza di una sconfitta preannunciata
Ad Ingroia e ai 4 lords della sinistra extra-parlamentare

« Ho partecipato a tutte le istanze assembleari di Cambiare si può– bologna – come alle molte altre di a.l.b.a (alleanza lavoro beni comuni ambiente), mi aspettavo una reale rivoluzione civile che nel suo significato manifesto o latente sta per… mettere la cittadinanza e le comunanze attive e volontarie emerse dalle lotte sociali nella condizione di emancipazione/liberazione attraverso quelle istanze dirette e partecipative che mirino a cambiamenti possibili-
« ad una desiderata autonomia e dignità... per uscire fuori dall’attuale sistema (dx, centro, sx) che tende ad infantilizzare, trasformando i cittadini in sudditi dipendenti clienti …
« sedurre – illudere e non istruire, informare, creare vere condizioni di vita attiva al fine di dare pieno valore a quella aspirata sovranità popolare
« ci aspettavamo da lei (Ingroia) una maggiore ascolto delle istanze di base ed invece ci siamo trovati nelle liste locali ancora degli alieni alla cittadinanza e alle nostre assemblee …
« come soggettività precarie liquide depresse oppresse e deluse sofferenti che aspiravano a nuovi livelli di responsabilità e a cambiamenti reali nelle condizioni di vita e sociale, ci aspettavamo un’altra cosa.
« ci siamo sentiti scippare e prosciugare le nostre istanze di base costruite in mesi di fatica ed impegno..
« non so cosa pensare della sua rivoluzione!!!
« la mia non è una lamentazione ma una denucia alla tradita fiducia in primis dal sistema dei micropartiti …
« proprorei per i 4 noti rappresentanti della sx … 4 seggi di senatori a vita come i lords inglesi (come riconoscimento definitivo) per farla finita una volta per tutte con queste istanze verticali.

« alle prossime elezioni orizzontali…

– uno dei comuni o della camera dei comuni- Pino De March


LA SOCIETA’ DEI TRE TERZI

Al di là di tutto le elezioni sono uno specchio fedele per capire come si orientano, nel marasma delle chiacchiere politiche diffuse dai  media, coloro che hanno deciso di andare a votare.

Sono andati a votare trentacinque milioni di elettori alla camera e trentuno al senato. Poco più di dieci milioni hanno votato la coalizione del pd, poco meno di dieci milioni la coalizione del pdl, otto milioni e mezzo le 5 stelle; al senato sempre le stesse proporzioni ma con qualche numero in meno per tutti. Poco più di due milioni hanno votato Monti. Tutto il resto si è spartito gli spiccioli. Si può dire che c’è stata una tripartizione negli orientamenti, con in più (ma senza contare molto) una sparuta compagnia di liberisti alla “monti tecnocrate”. 
Significa che: un terzo dei votanti è con il pd, un terzo con il pdl e un terzo con 5 stelle. Una tripartizione così chiara e leggibile non l’abbiamo mai avuta. Proviamo a immaginarci da dentro queste tre società. Sono tre componenti non riconducibili a settori ben definiti socialmente, per intenderci, non ci sono solo operai da una parte e imprenditori dall’altra, oppure studenti e operai uniti nella lotta contro i padroni. Non ci sono i precari da una parte e gli altri dall’altra. Sembra come se tutti siano immersi in una società liquida dove non più le appartenenze ma solo la percezione individuale ha la funzione di collocare nel mondo. In molti probabilmente alla domanda “cosa vuoi ?” risponderebbero di non saperlo ma di sapere per contro cosa NON vogliono.
Questa tripartizione probabilmente si è prodotta dentro alle stesse famiglie, tra padri, madri, figli, cugini. Si tratta allora di una separazione su idee e speranze e paure e tentativi di affidarsi a colui che si sente più degno di fiducia. Cerchiamo allora di individuare le categorie più importanti delle tre parti sociali emerse dal voto di questi giorni.
Gli elettori del pd sono persone serie (come il loro leader Bersani), sicuramente ci tengono alla sanità pubblica, all’istruzione, ai beni comuni, alle regole anti conflitto di interesse, ad una legge anti corruzione che sia seria etc. Spesso invece il vertice del partito ha dimostrato ambiguità su questi stessi temi, e proprio questo atteggiamento gli ha fatto perdere consensi. Vorrebbero stare dentro e fuori i palazzi del potere, dentro la finanza ma anche nelle piazze degli indignati.
Gli elettori del pdl… è difficile capirli, ma ci proviamo. Sono pensionati, casalinghe e gente che vede molta televisione, che ha bisogno di capire affidandosi a degli esperti, sono giovani cresciuti con la tecnologia e pieni di edonismo, figli di genitori desiderosi di rimanere per sempre giovani; poi ci sono anche i benestanti che hanno grandi interessi a rimanere in uno Stato inefficiente che lasci loro nell’assenza di regole la prerogativa di fare come meglio credono. La decantata libertà dei ricchi sappiamo cosa significa, produce privilegi per chi è già potente. Storicamente i ricchi e i potenti, essendo numericamente pochi, si affidano a dei ben remunerati imbonitori e ad azioni caritatevoli per avere la simpatia e l’appoggio degli ultimi, di coloro che, non aiutati da una sufficiente capacità critica personale, puntano sulle figure carismatiche abbracciate come modelli irraggiungibili eppure desiderati, come i divi, le star, “quelli che hanno avuto successo”.
Infine gli elettori del 5 stelle sono coloro che, molto delusi e schifati da tutti i politici, danno credito ad una narrazione affascinante, oramai consolidata da anni di interventi e discussioni e da una valanga di materiale variegato sparso per la rete. Vogliono la legalità, la trasparenza negli atti pubblici, la fine degli sprechi ambientali. Al seguito di pochi esperti di comunicazione hanno costruito un apparato fragile ma complesso, numeroso, poco organizzato, che si prova a fare politica. Si tratta di una fetta di società non strutturata, che parla un linguaggio comune fatto di pochi termini. La loro forza sta nell’entusiasmo, la fragilità nel non essere attrezzati a resistere a ipotetiche campane e a magie che isolano e attraggono con fascinazioni ad personam i singoli fino a corromperli. Bisogna sperare che facciano gruppo, che siano sempre seguiti e supportati da fuori, da un’opinione pubblica attiva e protettiva. 

Da questo quadro si può facilmente intuire che tra il primo gruppo (gli elettori del pd) e il terzo (gli elettori di 5 stelle) ci siano molti punti convergenti. Parlo di elettori e non di dirigenti, perché penso che nel pd molti vorrebbero disintegrare subito Grillo e i grillini (se potessero). Ma in questo momento gli elettori sembrano sopravvivere alle elezioni e continuare ad avere (c’è sempre lo spauracchio di un ritorno a breve alle urne) un peso nelle decisioni. Un contributo ulteriore lo da anche la stessa natura del 5 stelle che ha introdotto (bisogna dargliene merito) scampoli di democrazia diretta nel panorama politico.
Dunque in questo momento (e per i mesi a venire) abbiamo un esperimento di grande importanza da condurre tutti quanti: provare a fare alcuni provvedimenti strutturali che capovolgano gli assetti dello Stato italiano, che rompano con il passato (e con le cancrene tipicamente italiane) per dare vita ad una realtà nuova, in grado di fare un paese con regole certe e chiare, regole uguali per tutti, azzerando i privilegi di casta e di parentela, di famiglie abbarbicate a grandi associazioni clientelari e mafiose.
Oggi è possibile per la prima volta dalla nascita della Repubblica avere un governo con alle camere una maggioranza del 66% in grado di pulire velocemente gli ingranaggi istituzionali incrostati dalla sporcizia della corruzione, dall’avidità di personaggi per nulla interessati (anche se saldamente collocati in ruoli importanti) al bene comune.
Bisogna che un movimento di opinione e insieme politico, presente nelle piazze e attento a seguire ogni fase istituzionale, affianchi i prossimi passaggi dentro i palazzi del potere. La parola fondamentale deve essere TRASPARENZA.

Paolo Bosco

Le mani sulla città – Francesco Rosi

Al terzo tema, che proponiamo per osservare le dinamiche elettorali nate dopo il suffragio universale, dedichiamo una finestra italiana, il celebre film di Francesco Rosi. Non sono però le vicende specifiche narrate nel film ma il loro significato a fare da pretesto per una narrazione storica che vuole indagare sulla osannata volontà popolare che si esprime durante le elezioni. Al tema però serve avvicinarsi con qualche precisazione. Sulla conquista del diritto di esprimersi delle masse, sulla formula “una testa un voto” come momento di emancipazione, non si possono sollevare dubbi; ma è altrettanto indubbio che molto è stato fatto per anestetizzare l’indipendenza di scelta, la possibilità di esprimere giudizi e preferenze frutto di una opinione personale. Gia il film proposto in precedenza (Quinto Potere) mostrava quanto fosse poco autonomo l’orientamento del pubblico legato alla televisione.
In Italia il suffragio universale è stato conquistato con la nascita della Repubblica, ma si è velocemente modificato nella formula della “sovranità limitata”, ovvero il protettorato occidentale contro il rischio comunista. Questo fenomeno, nato in una realtà sociale complessa come è quella italiana, dove una grande varietà di interessi ha affiancato gli aspetti più squisitamente ideali, ha bloccato qualsiasi ipotesi di progresso democratico. All’attivismo del più grande partito comunista dell’occidente si è contrapposto un fitto processo di acquisizione del consenso delle masse popolari attraverso, e non solo, la chiesa e le pratiche familiste.
Un discorso a parte riguarda i sistemi elettorali che sono il vero meccanismo che traduce un certo consenso espresso con il voto in potere legittimato. Ed i sistemi elettorali, come è noto, sono costruiti da ingegneri della politica che hanno piena padronanza dei congegni matematici, delle ripartizioni percentuali, delle dinamiche finalizzate comunque a mantenere una certa idea di partecipazione politica. Difficile immaginare quanto sia garantita, in un tale quadro, l’effettiva volontà popolare. 
Un altro problema sfugge alla osannata volontà popolare espressa nel chiuso delle urne: è il sistema delle alleanze, ovvero tutto il pullulare di accordi sottobanco non privi di lotte incrociate e interessi contrastanti con l’indirizzo complessivo espresso dall’elettorato. Di questo aspetto ci occupiamo con l’aiuto del film di Rosi. 
Non si è mai fatto mistero, nell’Italia repubblicana, della tendenza ad accaparrarsi pacchetti di voti alla stregua di pacchetti azionari. Grazie anche al boom economico, che ha ampliato gli appetiti di molti, il controllo di porzioni di elettorato si è tradotto nella nascita di grandi ricchezze e di gruppi di pressione che hanno se non bloccato almeno anestetizzato qualsiasi forma di trasformazione sociale tramite la volontà degli elettori.
Ci interessa qui sviluppare una riflessione che possa rappresentare un punto di partenza per futuri studi storici: la corrispondenza tra i sistemi elettivi democratici di stampo occidentale e la proprietà privata. Il processo non presenta camuffamenti, anzi risulta evidente la simbiosi tra proprietà privata e democrazia rappresentativa poiché entrambe si poggiano su una precisa idea di individuo. Un individuo che grazie al proprio egoismo garantisce il funzionamento dell’insieme. 
Siamo così arrivati ai giorni nostri, al bivio che contraddistingue gli attuali anni e che  rende oramai palese la necessità di dare vita a forme collettive di protezione di alcuni fondamentali beni comuni. Se la democrazia elettiva ha convissuto perfettamente con una certa idea di proprietà privata, oggi una democrazia partecipata dovrebbe fare da battistrada ad una società dei beni comuni. 
Ne “le mani sulla città” un imprenditore edile chiarisce un principio fondamentale della democrazia elettiva, rivolto ai propri soci dice: “I nostri voti contano, non la bandiera sotto la quale stiamo”. Una affermazione questa valida per dare i contorni alla storia del Novecento e alla democrazia che rimane corretto, al di là delle mode espressive, definire borghese. 

Paolo Bosco

TRE FINESTRE SUL NOVECENTO

Jessie Boswell, LE TRE FINESTRE, 1956


Raccontare il Novecento nel suo insieme è impossibile. Troppo vicino a noi per poterne avere una visione sintetica. Scegliamo dunque tre temi, tre aspetti fondamentali per inoltrarci nel secolo appena passato. Tre questioni che lo hanno caratterizzato in maniera definitiva: la diffusione dell’energia elettrica, la comunicazione divenuta un fenomeno di massa ed infine il suffragio universale, visto dalla prospettiva dell’accaparramento dei consensi. Tre punti nodali legati da un filo da cui si dipana la storia. Lo facciamo proponendo tre film rappresentativi dei temi scelti, accompagnati da una riflessione che del film prende spunto per inoltrarsi nelle implicazioni storiche collaterali.

PROGRAMMA:
Ore 19 – aperitivo conviviale. 
Ore 20 – presentazione 
Ore 20.30 – film


Venerdi 8 febbraio 2013

– Cos’è l’energia elettrica? corrente alternata o alternativa?

“Il segreto di Nikola Tesla”

regia di Krsto Papic .

Venerdi 15 febbraio 2013

– Il potere della televisione.

“Quinto potere” 
regia di SidneyLumet


Venerdi 22 febbraio 2013

– Accordi sottobanco all’ombra delle elezioni.

“Le mani sulla città”
regia di Francesco Rosi


                    HUB – Via Luigi Serra 2/2 – Bologna