SE LA TERRA PARLASSE

Se la terra parlasse chissà cosa direbbe. Verosimilmente nulla di piacevole per noi. Troppi conti in sospeso per sperare di farla franca. Se la terra parlasse come prima cosa farebbe una grande sfuriata, ci metterebbe dentro qualche accidente e darebbe sfogo alle tante questioni che si trascinano da millenni: come la pratica degli incendi per aprire aree coltivabili o i disboscamenti selvaggi. Entrambe modalità da rapaci utilizzatori che non poco hanno contribuito a cambiare il clima lungo i millenni. E poi avrebbe da ridire per le guerre, quelle che lasciavano sul terreno migliaia di cadaveri dopo cruenti corpo a corpo e quelle che del terreno facevano e fanno frantumi con bombe sempre più potenti. Alzerebbe la voce parlando dell’ultimo secolo e delle risorse incamerate nel sottosuolo che oramai sono state quasi tutte trasferite nell’atmosfera dopo un veloce passaggio dentro i cilindri di un motore. Farebbe forse notare l’assurdo di un ritorno indietro nel tempo che con veloce progressione stiamo raggiungendo, un tempo precedente alla presenza di forme evolute di vita nella terra, quando i gas serra oscuravano il cielo.

Se la terra parlasse forse prima di parlare emetterebbe un lungo sospiro, simile al vento caldo che arriva dall’Africa, lasciandoci così tutti attoniti per la grande potenza dimostrata. Scrollerebbe il capo e forse rimarrebbe senza parole, perché a parlare siamo tutti buoni quando abbiamo la pancia piena. Farebbe forse notare la faccenda degli sprechi e la fame che ancora morde tante popolazioni; poi si ritirerebbe in campagna, a coltivare un pezzettino d’orto. Proprio come sempre più spesso si ritorna a fare anche nelle città. Darebbe dimostrazioni magistrali sui modi per ricavare le zucchine e i pomodori senza impoverire il terreno. Ci spiegherebbe le azioni biologiche e le possibilità di coltivazioni.

Il Dipartimento della terra, in collaborazione con il nascituro dipartimento dell’aria organizza:


il 14 giugno pomeriggio – sera negli orti di via Erbosa.
SE LA TERRA PARLASSE
Programma:

H. 16 Nicola Laruccia – pedologo* – Performance di parole e musica “Se la terra parlasse”.

H. 17 Thé alla menta – offerto da ComuniMappe

H. 17.30 Carlo Bordini – poeta, costruttore di parole per richiamare il legame tra Natura e Cultura. (Prima realizzazione del Dipartimento dell’aria)

H. 18.30 Antonio Varano – presidente orti via Erbosa. Presentazione dei progetti in corso in collaborazione col Dipartimento della Terra.

H. 19 Giulio Marianacci – agronomo e ricercatore, terrà la seconda lezione su “la gestione degli orti urbani” ( la rima lezione si è svolta il 25 maggio).

H 20 Cena Cus cus con verdure e ceci e, solo a richiesta, brodo di manzo. (E’ gradita la prenotazione su comunimappe@gmail.com) 


H 21 Film – Madre Terra – Documentario di Ermanno Olmi. 
(pedologìa s. f. [comp. di pedo-2 e –logia]. – La scienza del suolo e, più precisamente, del terreno agrario (detta anche geologia agraria), che indaga la formazione, la struttura fisica, la composizione chimica, il contenuto in sostanze umiche, le proprietà fisico-chimiche dei diversi terreni, etc. – dizionario Treccani)



—————————————

Approfondimenti:

Il  costituente  Dipartimento dell’Aria si concretizza nella ritrovata

relazione materiale di poesia, canto, filosofia e letterature minori

(delle forme ricreate del mutante vivente  o della spiritualità

laica).

Tempo fa in un’intervista radiofonica -mi pare radio Tre Cultura- a Stephen Jay Gould, noto paleontologo docente di zoologia e geologia di Harward, veniva posto la seguente domanda: “lei, come ricercatore e studioso  autorevole di evoluzioni biologiche della terra e dei suoi innumerevoli esseri viventi, potrebbe indicarci la percentuale attendibile di natura e di cultura di cui è composta la nostra specie Homo Sapiens?” Stephen J. Gould per nulla imbarazzato anzi divertito della domanda rispose in modo perentorio: “L’homo sapiens o noi umani siamo composti dell’indifferenziato 100% di natura e 100% di cultura.”


………………………………………..

Cattive notizie

“L’umanità è una specie connessa al resto della natura vivente per
orgine e per destino, nella salute e nella malattia. Gli esseri
viventi sono collegati fra loro, scrive David Quammen nel suo
splendido studio, anche dal legame naturale delle infezioni, cioè
delle interferenze di una specie nell’altra all’interno degli edifici
biofisici dell’ecosistema.  Gli agenti delle infezioni sono
microscopici (batteri, funghi, amebe) e ultramicroscopici (i virus).
La storia è stata influenzata da epidemie di peste, colera, vaiolo,
tbc, influenza, come quella del 1917-1919 con 50 milioni di vittime… le
malattie non virali sono controllate con medicine e misure igeniche.
L’assedio preoccupante è posto oggi dai virus. Sorti contemporanemente
ai primi esseri viventi i virus, sostengono molti biologi,
contenegono un archivio che sta circolando da miliardi di anni, con
effetti sorprendenti. La coevoluzione ha portato, ad esempio, ad un
mescolamento genetico in seguito al quale il nostro genoma è
costituito pe l’8% di materiale virale. C’è chi motteggia che i virus
nel corpo umano si trovano a casa. Le nostre difese sono poco efficaci. Il
libro di David Quammen è il resoconto di strategie virali e delle
recenti epidemie in uomini ed animali. Per il biologo Peter Medawar,
premio nobel per la medicina nel 1960, “i virus sono frammenti di
cattive notizie avvolti in una proteina.”  ..
Quali “cattive notizie”, per usare le parole di Peter Medawar,
dobbiamo aspettarci?
I microbiologi paventano un next big one, cioè una pandemia virale,
probabilmente di tipo influenzale, con un massacro di proporzioni
inaudite. Che cosa la farà scoppiare? Quando la crescita di una specie
acquista dimensioni innaturali, essa si arresta lentamente o per
crollo improvviso. Una volta superati i sei miliardi di persone,
ammonì tempo fa il biologo Edward  O.Wilson ci si avvicina
all’incompatibilità con l’ambiente. Da allora la popolazione è
cresciuta di un miliardo e continua a crescere di 70 milioni di
persone l’anno.  La massa umana supera di oltre 100 volte il volume di
qualunque altra specie vivente e vissuta. Essa è estesa e continua a
dilagare in tutti gli angoli della terra, sconvolgendo ecosistemi
remoti e antichi di millenni, costruendo strade, estirpando e
asfaltando boschi e foreste, usando a profusione concimi
tossici, inquinando laghi, mari, fiumi e torrenti; trivellando in terra
ed in mare. Una delle conseguenze della devastazione ambientale è
l’attivazione di batteri e virus fino ad ora silenti. Le dimensioni e
la velocità della crescita umana depongono a favore dell’arresto per
schianto. Come avverrà? Molti epidemiolghi ritengono che i dati
convergano a favore dell’ipotesi del next big one, cioè la riduzione
derastica della popolazione, sarà provocata da una pandemia
influenzale di virus-Rna, facilitata anche dalla rapidità dei
collegamenti fra regioni lontanissime. I virus potrebbero essere nuovi
per mutazione oppure essere vissuti in altri animali e attaccare per
zoonosi l’uomo per la prima volta,  trovandolo privo di difesa in un
ambiente divenuto sfavorevole per eccessi di abitanti. Anche se
quersta previsione non dovesse pienamente avverarsi, per miliardi di
esseri umani la vita potrebbe diventare un inferno.
Da David Quammen Spillover – Animal infections and the next human
pandemic – Norton & Co, New York – London, pagg.586.
Alla fine un virus-Rna ci seppellirà (da sole 24 ore di Arnaldo
Bennini -9/06/2013)



Memoria paleontologa

(tratto da Quarto rospo freudiano di S.J. Gould)

Ho avuto spesso occasione di citare un’acuta, quasi rammaricata
osservazione di Freud, riguardo al fatto che tutte le maggiori
rivoluzioni nella storia della scienza, fra molte diversità, hanno un
motivo comune: aver spodestato via via, un pilastro dopo l’altro,
l’arroganza umana dalle sue cosmiche certezze.
Freud riporta tre di questi casi presentandole come le tre
prinicipali ferite narcisiste di quell’essere arrogante e presuntuoso
che è “l’uomo delle certezze assolute”;
una volta credeva di vivere al centro dell’universo limitato, finché
Copernico, Galileo e Newton non gli hanno rivelato che la terra è un
minuscolo satellite di una stella di secondaria importanza.
(Solo Pascal, il poeta ed il filosofo,  si misurerà per tutta la vita
con questa ferita producendo delle acute riflessioni sullo spaesamento
e sulla perdita di senso dopo questa  perturbante scoperta).
Dopo di che questo presuntuoso ed arrogante essere umano tra i viventi
si è consolato immaginandosi che Dio, in realtà, avesse scelto questa
collocazione periferica per creare l’unico organismo a Sua immagine,
finché non è arrivato Darwin che “ci ha relegato a discendenti di un
mondo animale.”

Abbiamo quindi – di cui anche noi in parte – cercato sollievo nelle nostre
menti razionali finché,  come Freud nota in una delle affermazioni
meno modeste della storia delle idee, la psicologia  ha scoperto
l’inconscio (cioè ha rovesciato quel secolare paradigma cartesiano
– cogito ergo sum – penso quindi sono – con  un altro, se vogliamo, per
parafrasare il primo – sentio ergo sum);
l’osservazione di Freud è acuta, ma trascura molte altre importanti
rivoluzioni iconoclaste (non voglio criticarlo: ha soltanto  cercato
di spiegare un processo, non ha preteso di fornire un elenco
esauriente);  in particolare omette il contributo fondamentale dato
dai miei campi di studi, geologia e paleontologia: il contraltare
temporale alle scoperte di Copernico sullo spazio.
Intesa letteralmente, la storia biblica era veramente confortante:
una terra di pochi migliaia di anni su cui l’uomo (maschio), tranne
che per i primi cinque giorni, è l’essere dominante. La storia della terra
era un tutt’uno con la storia dell’uomo (maschio) e quindi perché non
pensare di essere fine e causa dell’universo?
Ma i paleontologi hanno poi scoperto il deep time (tempo profondo),
per citare la felice locuzione Mc Phee. La terra ha miliardi di anni e
la sua età va tanto indietro nel tempo quanto l’universo visibile si
estende nello spazio. Il tempo da solo,  non solleva minacce
freudiane.
Se la storia umana fosse durata per tutti questi miliardi di anni.
La nostra arroganza, in virtù della più lunga egemonia sul pianeta,
sarebbe aumentata.
La  rivoluzione iconoclasta freudiana è avvenuta quando i paleontologi
hanno rivelato che l’esistenza umana occupa soltanto l’ultimo
“micro-momento” dell’età del pianeta: un centimetro cosmico, un minuto
o due dell’anno cosmico.
Questa estrema riduzione dell’epoca dell’uomo ha posto un’ovvia
minaccia alla nostra presunzione, specialmente in rapporto alla
seconda rivoluzione freudiana, quella darwiniana. Tale limitazione ha
una banale conseguenza, e in genere le affermazioni banali sono
corrette (anche se molte delle rivoluzioni intellettuali più
affascinanti celebrano la sconfitta di interpretazioni apparentemente
ovvie);
se noi non siamo altro che un minuscolo ramoscello del rigoglioso
albero della vita e se il nostro ramoscello ha gemmato soltanto un
momento geologico fa, allora forse non siamo il prevedibile risultato
di un processo intrinsecamente progressivo (la decantata tendenza al
progresso della storia della vita); forse, nonostante le nostre glorie
e nostri talenti, siamo un effimero accidente cosmico che non si
verificherebbe di nuovo neppure se si piantasse l’albero della vita
dallo stesso seme e lo si facesse crescere nelle stesse condizioni.
In occasione del centenario, nel 1959, della nascita di Darwin, il
grande genetista H. J. Muller ha smorzato i festeggiamenti con una
relazione intitolata Cent’anni senza Darwin sono abbastanza?
Muller ha affrontato il fallimento della rivoluzione darwiniana da due
fronti opposti: da una parte, il creazionismo che continua a
persistere largamente nella cultura popolare americana e dall’altra la
limitata comprensione della selezione naturale tra le persone istruite
che pure sono convinte della veridicità dell’evoluzione.
 Sono certo però che il maggiore impedimento al completamento della
rivoluzione darwiniana sia qualcosa di più grave, che non riguarda gli
atteggiamenti opposti.
Freud aveva ragione nell’identificare la soppressione dell’arroganza
umana come risultato comune alle grandi rivoluzioni scientifiche.
In termini freudiani, la rivoluzione non sarà completata finché Gallup
non potrà trovare che una manciata di detrattori o finché la maggior
parte degli americani non sapranno dare una definizione di selezione
naturale.
La rivoluzione darwiniana non sarà completata fino a quando non
distruggeremo il monumento dell’arroganza e non acquisiremo piena
coscienza delle semplici implicazioni dell’evoluzione, la non
prevedibilità e l’assenza di direzionalità nella vita (progresso), e
quando prederemo sul serio la topologia darwiniana, riconoscendo che
l’Homo Sapiens, per recitare la litania un’altra volta, è un sottile
ramoscello, nato ieri, nell’albero che, se piantato di nuovo, non
produrrebbe le stesse ramificazioni a partire dal seme. Noi ci
aggrappiamo al fuscello del progresso perché  esso rappresenta per noi
la migliore possibilità di conservare l’arroganza in un mondo
evoluzionistico. Solo in questi termini riesco a capire perché un
argomento così improbabile e debole mantenga su di noi un ascendente
tanto potente.
Tratto da – Gli alberi non crescono fino al cielo – paragrafo: “Come
ingoiare il quarto rospo freudiano.”


LA GESTIONE DEGLI ORTI

Comune Accademia – Dipartimento della Terra  

&


Associazione Ortolani di via Erbosa Bologna.


Presentano:

Progetto Orti

1° fase – Orto e ortolani, esperienze e gestioni a confronto.



SABATO 25 Maggio – ore 15.30

Zona ortiva di via Erbosa Bologna (nei pressi di Arcoveggio, ingresso da via F.lli Cervi) 
    «L’orto curato dal Dipartimento si è popolato di piante ed ha prodotto un vasto cumulo di esperienze da avviare a confronto. Non mancano erbe spontanee che si rifiutano di cedere il passo alle ortolane, coccinelle e roditori notturni all’attacco predatorio attratti dal tenero fogliame. Tutti gli ortolani limitrofi hanno suggerimenti e soluzioni, alcuni non condivisibili perché veicolati dalle insane pratiche nate nel connubio tra industria chimica e agricoltura. Altre esperienze sono interessanti perché intraprendono un cammino a ritroso verso un risanato rapporto con la natura, perché arrivano da persone anziane con una lunga esperienza di coltivazioni o perché sono un portato dei nuovi cittadini, giunti da diverse parti del mondo con i loro metodi e le loro piante da orto.»

Di tutto questo ci occuperemo nel primo incontro/seminario organizzato agli orti di via Erbosa.

– Giulio (Ricercatore presso la Facoltà di Agraria, Università di Bologna) 
terrà una lezione sulla gestione degli orti.
– Paolo (Dipartimento della terra, insegnante e da sempre coltivatore appassionato) 
presenterà le linee generali del Progetto Orti e gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

Progetto Orti – APPROFONDIMENTI: 


Il Dipartimento della terra ha ipotizzato una serie di interventi che nei prossimi mesi punteranno a coordinare gli ortolani più sensibili al fine di adottare un comportamento coerente e compatibile con l’ambiente.
Le iniziative che vogliamo sviluppare vanno dalla coltivazione biologica alla pratica del compostaggio per ottenere fertilizzante utilizzando gli scarti vegetali e la parte organica derivante dalla preparazione dei pasti a casa. 
Chi possiede un orto lo fa funzionare anzitutto perché appassionato, consapevole di utilizzare il proprio tempo libero in maniera soddisfacente poiché la cura di un orto non può essere intesa in maniera meccanica. Noi, inserendoci in questo contesto culturale, opereremo per avviare esperimenti e attività didattiche e momenti di socialità.
ORTO – NATURA – ESISTENZA
In questo maggio dal clima variabile (clima cangiante), il sole stenta a conquistare la prima fila nello spettacolo del mondo. Le giornate ortolane sono fatte di alberi appena svegli, di prati verdissimi con un tappeto di margheritine bianche su cui dispiace camminare e poi quadrati d’orti dai colori variabili. Vi si trovano pomodori alle prime armi, piselli e fave carichi di baccelli dai gusci giovani, fragole, patate, carote e sedani. La mente vola verso insalatone multicolori e verdure grigliate. Odori, in vasto assortimento, circondano le siepi: basilico e prezzemolo, origano, finocchietto, salvia, menta; per dire solo delle più popolari.
La natura è proprio esagerata nelle sue manifestazioni estetiche, non si contiene e non bada a spese… e l’ironia sta proprio qui: nessun conteggio, niente calcoli in entrate e uscite, nessun debito o accredito. Tutto si tiene. Tutto sembra perfetto e immacolato. Eppure se ti concentri sul particolare, se osservi una comunità di formiche intenta a riaprire l’ingresso alla propria dimora dopo le alluvioni dei mesi scorsi, noti un vibrare di sforzi e una frenesia lavorativa inusitate. Allora ci si chiede se la formica sia “individuo” (o individua?); non si può fare a meno di pensare alla sofferenza, alle fatiche erculee a cui è sottoposta, pur sapendo che può sollevare oggetti superiori al proprio peso perché la natura ha fornito le formiche di un impianto dalle meccaniche perfette. 
Oramai coperte dall’erba fresca, cumuli di frasche marcite e foglie compresse sotto il peso della neve di febbraio fermentano attaccate dagli organismi decostruttori (termine che rende l’idea della necessità di costruire e del suo contrario); sovviene l’idea del ciclo chiuso: alla morte si contrappone la vita, alla fine di qualcosa un nuovo inizio. 
La natura sembra stare tutta dentro questa formula; una formula che, ci piaccia o no, non prende in considerazione l’individuo. Così per noi umani, riscattati dall’esserci accorti di possedere un io, resta sempre incompiuta l’aspirazione di poter vivere in armonia con la natura. 
A noi il compito di creare un percorso perfettibile, da riaggiustare ogni qualvolta ci accorgiamo di essere fuori strada, ma sempre incompleto, difettoso; ed è già un miracolo quando si trova un accordo sulle modalità per aggiustare l’itinerario.
—————————–

FOTO DI Salvatore Di Cara

COMUNE ACCADEMIA – DIPARTIMENTO DELLA TERRA


Nel costituire il Dipartimento della Terra abbiamo operato in piena sintonia con lo spirito dell’associazione Comunimappe. Nelle intenzioni sociali c’è al primo posto il voler intraprendere qualsiasi indirizzo del sapere umano in maniera critica. Numerosi sono gli ambiti che appartengono al sapere della terra. La terra è uno degli elementi fondamentali identificati fin dall’antichità per iniziare a fare ordine, a fare chiarezza nella nostra nebbia esistenziale. Partire dalla terra è dunque garanzia di scoperte utili in tutti i sensi, dalla naturale garanzia di sopravvivenza al benessere psico-fisico frutto della conoscenza degli organismi viventi nella loro complessità.

Dalla coltivazione di un orto non si ricavano solo ortaggi, vi si possono trovare in aggiunta alcune risposte a domande che per disabitudine non vengono più poste. Come ad esempio una riflessione sul tempo, oppure questo strano fenomeno del creare dal nulla (apparentemente) cioè vita dalla vita; ma la risposta più importante è quella che chiarisce il principio del ciclo chiuso, ovvero l’equilibrio che permette di ottenere un profitto senza intaccare il capitale basico: la terra appunto.

Per ogni operazione nell’orto c’è un tempo giusto. Un tempo dettato dalle stagioni e mediato dalla luna. Assomiglia ai mezzi di trasporto pubblico un tempo sì fatto, sapendo a che ora è la corsa si può partire senza problemi.

Da un semino minuscolo si ricavano pomodori a chili, come è possibile? Si direbbe una creazione dal nulla, una gran bella invenzione che fa ben sperare in un arricchimento facile. Molte le similitudini con la creazione di denaro dal nulla, una tecnica copiata dalla natura e stravolta dall’economia di rapina in cui siamo. Stampare banconote di carta è creare dal nulla, piantare un semino è in realtà avviare il ciclo della vita, dare la scintilla, inseminare la terra. I frutti ricavati (a differenza delle banconote o dei lingotti) vanno consumati, non possono essere nascosti per poi speculare sul loro valore.

Infine il ciclo chiuso è quello che vediamo in funzione nelle foreste vergini. Il terreno si fertilizza con la propria produzione, dentro la rotazione vita /morte. Un vero paradigma filosofico. La natura è il più attrezzato laboratorio chimico, una serie continua di combinazioni garantiscono che nessuno paghi per tutti e che tutti abbiano un vantaggio.

Come ogni Dipartimento che si rispetti anche quello della terra affianca a concetti teorici, filosofici, storici, antropologici, conoscenze pratiche scaturite dall’esperienza. Così finite le piogge invernali, con il primo sole, è stata risvegliata la terra. Cercando di non fare troppo rumore le abbiamo preparato un condotto digerente dove inserire gli scarti vegetali per mettere in pratica il ciclo del nutrimento reciproco. Abbiamo preso un fusto di plastica, lo abbiamo privato del fondo e lo abbiamo messo al centro dell’orto. Riempito di erbacce e scarti vegetali, inumidito e chiuso da un coperchio, il tubo digerente ha iniziato a chiamare gli agenti addetti alla decomposizione per indurli a dividere il tutto negli elementi costitutivi. Sono arrivati puntuali e lavorano incessantemente.
A partire da aprile ci si ritrova tutti i mercoledì e i sabato (dalle sedici in poi) nella zona ortiva di via Erbosa (vicino l’ippodromo). 
Non è richiesta la presenza costante, al nucleo che gestisce il progetto si può aderire in qualsiasi momento scrivendo a: 
comuneaccademia@gmail.com
(Nei post che seguiranno metteremo il programma dettagliato di ogni iniziativa, gli argomenti che porteremo all’attenzione dei soci e i progressi concreti dell’orto).
Nei tempi dei tempi abbiamo umanizzato la natura. Ci siamo distaccati, da lontano l’abbiamo osservato per meglio addomesticarla. Ci siamo liberati dal giogo delle sue energie studiando e ipotizzando formule. Ci siamo ribellati alle sue regole e ne abbiamo create delle nostre, di rimando imponendole anche a lei. Non è stato un processo rapido, anzi, quasi un conflitto tra generazioni, tra madri, padri, figli, popoli, etnie. Sono state fatte tante cose, come armonizzare i fianchi delle colline, prosciugare le acquitrinose pianure, penetrare e disboscare foreste nere; si è dato sfogo a quel bisogno che è laboriosità ma anche follia e iperattività.
Si chiama agricoltura si legge semina, fecondazione assistita, innesto di mucose vegetali, fertilità. Si declina in tutto ciò che produce buoni frutti. La terra chiama a viva voce, inesorabilmente con gravità ci riconduce sempre ad essa; a chi sa ascoltare concede cibo e quiete. Le sue forme sono collirio per gli occhi, i colori luce armonizzata; la qualità dell’aria rinnova i polmoni agevolando lo sforzo necessario. Coltivando la terra si finisce col parlare alle piante, scoprirsi a osservare il cielo e sollecitare piogge e sole. Non è mai uguale al giorno prima un campo; invisibili animaletti nottetempo dissolvono i propri antagonisti, e il vento sposta spore e foglie secche. Piantine d’ogni genere, dalla linfa che risale radici e fusto, traggono crescita.
Dip Ter