Basta elettroshock! Urlata per mezzo secolo scorso da Edelweiss Cotti e Giorgio Antonucci, e tuttora ignorata ed inascoltata da una certa ottusa e crudele psichiatria che si scherma dietro ad un’oggettività fredda e manualistica.

Edelweiss Cotti e Giorgio Antonucci in un sodalizio alterno hanno costruito “zone temporaneamente liberate” ove far emergere in contesti mutanti:

impensabili relazioni umane e sociali ed autentiche soggettività all’interno di istituzioni di totale assoggettamento e anichilimento di ogni esistenza umana )

Basta “terapie” mutilanti elettrocompulsive!

Voglio mettere attenzione o far aprire gli occhi,

ai miei ormai più virtuali che presenti amic* e conoscent* per via di una combinata sindemia

( di problemi di salute , ambientali e sistemici eco-antropo-socio-economici ecc.) prodotti dall’interazione sinergica tra più pandemie: virali, diseguaglianze sociali e territoriali, ecocidi, crisi climatiche planetarie e genocidi delle popolazioni native e non solo) che ci travolgono tutt* in queste ere geo-culturali congiunte antropo-capital-ceniche,

a cui s’aggiunge un fenomeno ricorrente, silente e nascosto ai molti,

di una persistente, ottusa e violenta pratica psichiatrica, quale l’elettroshock,

in rari casi con il consenso dei pazienti, ma nella generalità degli altri casi con il consenso strappato a familiari inesperti e frastornati da traumatici eventi occorsi ai loro parenti depressi o con rilevanti problematiche psichiche,esistenziali e sociali.

Si tratta di cosiddette “terapie elettrocompulsive” praticate quotidianamente in centinaia d’indistinte strutture sanitarie pubbliche e private, sparse per l’Italia, e su migliaia di pazienti “psichiatrici” di ogni genere,orientamento sessuale e generazione.

Per illustrare ai miei contatti questa arcaica ed atroce pratica psichiatrica come del resto accade per il Tso (trattamento sanitario obbligatorio),

vorrei avvalermi di una voce autorevole dell’antipsichiatria il dott. Edelweiss Cotti, intellettuale specifico in senso gramsciano, cioè determinato a conoscere, scavare, ricercare, nello stesso tempo impegnato a contrastare-trasformare con saperi e perizie mirate ogni forma di disumanità ed alienazione sociale e mentale presente nelle istituzioni psichiatriche e nella società del suo tempo , da ritenersi a tutti gli effetti l’antesignano di ogni forma di dissidenza attiva psichiatrica nel nostro paese.

Alla fine degli anni ’50 del secolo scorso scandalizzò e preoccupò molti degli amministratori politici e tecnici, dei colleghi con formazione professionale legata a visioni ed approcci tradizionalisti di medicina bio-medica o di psichiatria organica,

colleghi che s’attardavano ancora a ritenere il malessere psichico ed esistenziale ( o quella che nel senso comune viene chiamata “pazzia” o “follia”) come una forma di “malattia mentale”,

con un suo tentativo tralaltro riuscito,

ed è proprio a Bologna che il dott. Edelweiss Cotti, nell’ottobre del 1954, fidandosi di quella disconosciuta, diffidata, disperata, agitata umanità,osa l’impensabile come aprire le porte del reparto, togliere le contenzioni meccaniche psichiatriche che utilizzano mezzi fisici (lacci, catene,camice di forza),ridurre i mezzi chimici (psico-farmici), e sospendere definitivamente i mezzi elettro-chimici (elettroshock,ed insulina);

contenzioni fisiche le prime che immobilizzavano i pazienti ai letti, le altre come le elettroconvulsioni(elettroshock) e i mezzi chimici (psicofarmaci ed insulina) che agiscono in modo passeggero e sintomatico, ma non sulle presunte cause organiche della cosiddetta “malattia mentale”, anzi tali terapie bio-tecno-mediche inducono illusioni di guarigione, che si traducono alla lunga in delusioni, che portano i pazienti-degenti ad auto-convincersi che, se tali terapie non funzionano su di loro, vuole dire proprio che sono dei malati inguaribili e che per questo hanno bisogno di dosi sempre più crescenti di psicofarmaci e elettroshock, fino alla tossicità e paralisi psico-corporea ;

Cotti e la sua equipe socio-sanitaria dopo aver tolto definitivamente le contenzioni fisiche e le terapia shock elettrica ed insulinica, passeranno alla progett-azione di una rapida limitazione progressiva delle terapie chimiche(psicofarmaci), che devono portare ad una riduzione totale di esse,che saranno sostituite via via da terapie attive- situazionali-relazionali (dialoghi duali, terapie di gruppo, attività creative,attività quale il prendersi cura degli spazi dentro e fuori del reparto come giardinaggio, manutenzione, cucina ecc.)

nientemeno che ai pazienti del reparto IX dell’Ospedale Psichiatrico F. Roncati, proseguendone poi o ripetedendone negli anni successivi l’esperimento, prima al neuropsichiatrico maschile di Villa Olimpia sui colli bolognesi, e poi a Cividale del Friuli, con l’amico Giorgio Antonucci, in qualità di medico assistente volontario, il dott. Tesi,in qualità d’aiuto, ed Annalena Capadelli,in qualità di assistente sociale, e tre assistenti sanitarie Franca Cattarinuzzi,Andreina Bruni e Miranda Tusulin,alcune di loro lo avevano seguito da Bologna e altre dalla Gorizia di Basaglia, accompagnandolo in queste esperienze pilota, formavano un équipe che si era aggregata e consolidata nel corso del tempo con buon coefficente di trasversalità , ” i titoli non avevano alcuna importanza tra noi, ci ritenevamo e lavoravamo alla pari, con ruoli perfettamente interscambiabili” , racconterà il dotot. Cotti, senza il quale non avrebbero potuto avere quella determinazione ed impegno a tutti e tutte comuni, che era liberare quelli esseri umani prigionieri di giudizi, stigmi e pregiudizi non solo psichiatrici ma anche antropogici e sociali.

Il dott. Cotti come un antico argonauta e timoniere di una “nave di folli” più correttamente di naufraghi provenienti da tempeste esistenziali, e da condizioni di alienazione sociale e mentale del nostro dopoguerra, giovandosi di un piccolo equipaggio di infermieri/e, assistenti sociali e sanitari, osò attraversare quel mare malinteso, temuto e sconosciuto della “follia”, mare che pochi altri argonauti e timoniere avevano intrapreso di navigare e conoscerne le oscure dinamiche in altri paesi europei:

F. Tosquelles a Saint-Alban, Francia -tra il 1939 e il 1945, David Cooper con Roland Laing a Londra -nel 1967-, e Basaglia a Gorizia -nel 1961; Thomas Szasz a New York negli anni sessanta, Giorgio Antonucci a Cividale ed Imola negli anni 60-90, Gisella Frontini ad Imola negli anni settanta e poi altri ed altre.

“la psichiatria” italiana è stata arricchita incalcolabilmente da Giorgio Antonucci. E’ possibile considerarlo un bravo psichiatra (qualunque sia il significato della parola): ed è vero. E’ anche possibile considerarlo un bravo antipsichiatra (qualunque sia il significato della parola): e questo è altrettanto certo. Preferisco considerarlo una persona rispettabile che mette il rispetto per il cosiddetto “pazzo” al di sopra del rispetto della professione. (Il pregiudizio psichiatrico, Eleuthera – 1989)

Queste esperienze porteranno a nuove conoscenze e a nuove modalità di relazione con la sconosciuta sofferenza e fragilità esistenziale che riguarda tutti gli esseri umani quali:

il considerare il malessere psichico ed esistenziale non alla stregua di una malattia organica o mentale;

l’empatia e la socialità che nasce nei dialoghi duali e nelle assemblee e collettivi di personale e pazienti come mezzo maieutico (attraverso il dialogo di giungere a verità, ma nel nostro caso anche ad auto-analizzare condizionamenti e false coscienze che alienano socialmente e mentalmente);

avviare terapie attive di trasformazione di una società che aliena socialmente ed mentalmente, ed infine discrimina ed esclude;

ritrovare nel nuovo spazio terapeutico e di cittadinanza attiva nuove autentiche soggettivazioni e col nuovo approccio situazionale e relazionale sfidare lo stigma e la discriminazione dentro e fuori le mura dei manicomi;

il concetto di empowerment

(la consapevolezza di sè e del controllo sulle proprie scelte, decisioni ed azioni, sia nelle relazioni personali sia nella vita politica e sociale; ed indica anche un processo di crescita dell’individuo sia nel gruppo basato sull’incremento della stima di sè e dell’autodeterminazione per far emergere le potenzialità latenti per appropriarsi di esse), mediato dal mondo femminista, il quale dà rilevanza alle capacità di autogestirsi anche per i pazienti di maggiore gravità, ed incoraggiare le persone con problemi di sofferenza mentale e disagio esistenziale e sociale, ad impegnarsi in attività che assecondino le loro inclinazioni ed orientamenti esistenziali e culturali;

La sua fu una lotta non violenta attiva all’orrore alle miserabili ed indegne condizioni umane che aveva trovato da giovane assistente medico all’ospedale Roncati, e le sue attività orientate alla trasformazione e de-istituzionalizzazione dell’ambiente psichiatrico paralizzante, custodialista, repressivo ed alienante,attività comparabile a quella di altri/e intellettuali impegnati altrove ad organizzare in quelli stessi anni la disobbedienza civile su altre mission, per esempio

Danilo Dolci a Partinico periferia siciliana,si batterà per per garantire abitazioni degne e per

costringere il Comune attraverso uno sciopero alla rovescia ed ad oltranza di allestire infrastrutture, quali fognature pubbliche, che vadano a sanare rigagnoli di fogna che scorrevano a cielo aperto negli spazi di gioco e di vita dei bambini,ma anche di attivare forme di pedagogia e politica attiva;

per questo s’avvalerà della psicologia umanistica rogersiana e della maieutica socratica nell’educazione degli adulti come dei bambini e giovani, inventando ed immaginando una forma circolare di democrazia di base mirata alla formazione civile e sociale, e capace di generare nuove relazione umane e sociali.

E lo stesso fece lo psicologo dello sviluppo umano Gerarde Lutte,

che operò in queste nuove periferie ove erano confluiti in massa migranti interni del sud nella Borgata romana di Prato Rotondo a Roma;

Lutte agì con altri/e della comunità dissidenti cristiane di San Paolo fuori le mura dell’Abate Franzoni, e le organizzazione di base e di lotta della nuova sinistra,

tra quelle baracche improvvisate, impegnandosi con bambini e giovani di strada a dare loro educazione ed organizzare con gli adulti lotte per il diritto all’educazione, istruzione, casa e lavoro.

Le mie vacanze erano sempre impegnate come attivista politico-sociale, ricercatore curioso ed indignato socio-analista per la miseria materiale e culturale crescente che vedevo attorno a me;

Nell’inverno del 1972 arrivai a Roma con una ‘500 bianca guidata dall’Abate Franzoni che avevo conosciuto in una di quelle conferenze dei dissidenti cristiani di Com – Nuovi Tempi a Padova sull’agire delle comunità cristiane di base e dissidenti nei confronti di una chiesa romana più osteggio dei potenti immobiliaristi padroni delle città che al servizio delle nuove povertà urbane, dell’educazione, della ricerca attiva e delle lotte sociali a fianco dei diseredati e migranti interni confluiti in massa in quelli anni di rapida industrializzazione nelle borgate romane.

Nel l’estate del 1973, ebbi modo conoscere Gerarde Lutte, di passare delle giornate con lui tra i ragazzi/e di quella borgata ed accompagnarlo in quelle sue estenuanti – gioiose attività psico-socio-pedagogiche (doposcuola ed altre attività di sostegno psico-sociale verso quei nuovi nuclei affettivi e familiari che disperavano di ogni bene materiale ed esistenziale).

Anche se Danilo Dolci, Gerarde Lutte ed Edelweiss Cotti non si conoscevano, con

certezza avevano in comune l’impegno attivo, pacifico e disobbediente contro ingiustizie e stigmi sociali, condizionamenti alienanti e le false coscienze che colpivano duramente quelle miserabili esistenze.

Entrambi avevano attraversato la guerra e la resistenza antifascista, Danilo Dolci anche rifiutandosi d’indossarne la divisa nazi-fascista di Salò e di riparare esule tra i pastori e i i monti abruzzesi.

.

Ed a proposito dell’elettroshock Cotti così si espresse nelle sue memorie “contro la psichiatria” : ” Vorrei precisare le mie idee sull’elettroshock. Questa scossa elettrica applicata alle tempie produce, tutte le volte che ne viene somministrata, un eccesso convulsivo simile a quello di cui soffre l’epilettico e sul cervello provoca la comparsa di numerosissime microemorragie cerebrali.

Gli effetti dell’elettroshock sembra risultati negli stati depressivi, comunque provocano notevoli disturbi della memoria ed una notevole diminuzione della capacità ideativa.

Non si conosce il meccanismo per cui produce spesso i benefici effetti momentanei nelle depressive;

che non si conosca il meccanismo d’azione è dimostrato anche dalle troppe teorie al riguardo.

A mio vedere l’elettroshock è sempre è sempre pericoloso, prima di tutto a causa delle microemorragia che distruggendo sostanza cerebrale vengono a diminuire il patrimonio mnemonico del cervello, in secondo luogo perché consolidano nel paziente il concetto di malattia mentale anche quando s’ottengono degli apparenti, buoni risultati.

In terzo luogo perché forse il miglioramento avviene per il deficit della memoria che ne risulta e che è non tanto passeggero come sostengono i suoi fautori, quanto spesso, definitivo, tale comunque che facendo dimenticare: problemi o parte di essi, permette un momentaneo sollievo al prezzo di un terribile inganno.

Infatti i problemi non sono stati affrontati, anzi addirittura vengono ignorati;

per forza di cose al primo accenno di burrasca, ci si ricasca in condizione peggiori delle precedenti.

Eseguire l’elettroshock significa dunque diminuire consapevolmente la sostanza organica del cervello, in più di cent’anni di ricerche sistematiche eseguite con ogni mezzo, nessuno ha mai dimostrato che in questi casi esista, in esso una sofferenza.

Per un altro paragone, sarebbe come desiderare e pretendere da un cervello elettronico delle risposte che non è in condizione di dare a causa della sua costruzione e, dopo inutili sforzi, applicargli una sorgente di corrente elettrica ad alto voltaggio nella speranza che la situazione si modifichi in meglio.

Certamente la situazione si modificherà ma non certo nel senso desiderato: si avrà solo qualche valvola in meno bruciata perché bruciata dall’eccesso di corrente.

Fare l’elettroshock ha lo stesso senso.

Non c’è dubbio che il problema dell’elettroshock quale mezzo terapeutico di larghissimo consumo dovrebbe essere affrontato anche dal Ministero della Sanità, a tutela della salute pubblica, così come avviene per ogni altro mezzo terapeutico farmacologia.

Perfino il suo inventore, il Prof. Cerletti, negli ultimi anni della sua vita si rese conto dei pericoli insiti in tale tecnica, fino al punto che a Napoli, durante un congresso di psichiatria, sostenne che sarebbe stato molto più tranquillo se non l’avesse inserito fra i mezzi terapeutici, dato l’uso o l’abuso che se ne faceva.

Ho già detto che danni provocati dalle microemorrogie.

Ho già accennato ai disturbi della memoria, c’è da notare in proposito che non si tratta di disturbi lievi come affermano i sostenitori dell’elettroshock;

per i ricordi recenti si hanno delle amnesie imponenti e quasi sempre definitive, come dimostra il caso di un giovane che studiava tedesco da un anno e che dopo una serie di dodici elettroshock non fu più capace di ricordare una sola parola in tedesco.

E’ noto come per la neuropsichiatria infantile e la pediatria la comparsa di accessi convulsivi spontanei nel bambino sia da combattere e prevenire ad ogni costo appunto per evitare danni dell’accesso convulsivo sullo sviluppo psichico del bambino, che come tutti sanno viene danneggiato in misura proporzionale al numero di accessi subiti.

Non mi si risponda che nell’adulto l’accesso convulsivo dall’elettroshock ha degli effetti meno importanti, perché ricorderei che l’elettroshock, se somministrato a dosaggi due-tre-quattro volte superiori a quelli medi (come fanno coloro che desiderano ottenere, per i cosiddetti scopi terapeutici, l’annichilimento del paziente), riduce il soggetto a vivere una vita quasi esclusivamente vegetale.

Se con un dato numero n di elettroshock si ottiene la scomparsa pressoché totale di ogni attività psichica, l’annichilimento, con un numero pari a N/2, N/3, N/4 , si otterrà in proporzione la distruzione di una parte più o meno grande del patrimonio psichico.

Se questa mutilazione artificiale fosse sostenuta da spiegazioni convincenti circa la sua utilità la si potrebbe accettare (come si accetta per forza maggiore un intervento chirurgico mutilante, nel caso, per esempio, di un tumore) ma nella situazione esistenziale nella quale viene somministrato l’elettroshock non c’è bisogno dell’azione mutilante che apparentemente sana la situazione.

C’è bisogno invece di capire, di aiutare a superare e a rompere l’isolamento, c’è solo da modificare una situazione esistenziale.

Forse, per onorare degnamente la memoria di Cerletti e in sostanza seguirne il desiderio, è bene limitare l’uso dell’elettroshock all’uccisione dei porci, come si faceva ai tempi in cui egli cominciò a studiare l’effetto proprio sui maiali.”

Voce “elettroshock” tratta dalle memorie “contro la psichiatria” -1970 -di Edelweiss Cotti-

Per me che sono divenuto un consapevole ecologista sociale e della mente ed un antispecista ed animalista, tali pratiche di tortura violenta e mortale sugli animali mi addolora quanto mi indegna quella sugli umani;

(ma ) usando una congiunzione avversativa molto presente nelle scritture- memorie di Cotti, per le conoscenze anche esperienziali seppur brevi con il dott. Cotti, per averlo conosciuto e soprattutto per il fatto che, attraverso i suoi rapporti di cooperazione e ricerca con la cattedra di Sociologia II,dell’Istituto di Scienze sociali e politiche di Padova,corso che in quell’anno 1973-74 frequentavo, e che trattava specificatamente delle istituzioni totali (manicomi, carceri, collegi minorili ecc), alla fine dell’anno ai noi frequentanti ci fu proposto dai docenti, se volevamo recarci ad Imola all’Ospedale psichiatrico il “Lolli” diretta dal dott. Cotti come volontari ricercatori attivi, ove era in corso nei reparti della dott.ssa Gisella Frontini un’attività di ri- umanizzazione e ri- socializzazioni di pazienti dei suoi due reparti, uno di maschi adulti ed uno di donne adulte. E fu proprio per questa circostanza- esperienza che mi recai ad Imola e poi a Bologna, ove attualmente risiedo.

Ed inoltre avendo avuto modo di conoscere la sua empatia ed umanità che riservava ai pazienti- degenti, o ospiti come lui preferiva chiamarli, le sue parole dal suono cinico quali:”è bene limitare l’uso dell’elettroshock all’uccisione dei porci, come si faceva ai tempi in cui egli (Cerletti) cominciò a studiare l’effetto proprio sui maiali”, sono da iscriversi più nel suo linguaggio pop, iperbolico ed ironico, che anche questo era una caratteristica della sua complessa personalità; di Cotti per semplificare “si potrebbe dire che non farebbe male neppure ad una formica”, figuriamoci a dei maiali.

Per approfondimenti :

Testo tratto da: centro relazioni umane/antipsichiatria-bologna.net

Roger Pycha, primario di psichiatria all’ospedale di Brunico e noto sostenitore dell’elettroshock, in un’intervista alla “Tageszeitung” sudtirolese (quella di Arnold Tribus) sostiene, contro tutti/e, almeno in Italia, la bontà dell’elettroshock, con argomenti “soft”, oltre a tutto: A) minimizzandone gli effetti, dove, a parte la pratica in sé, la narcosi/anestesia locale ha notoriamente effetti anche sul piano strettamente medico (ogni anestesia, anche locale, è comunque un problema, come noto, persino in sede odontoiatrica – ciò vale a fortiori per ogni intervento chirurgico, anche piccolo – di scarsa entità); B) la protesta anti-elettroshock sarebbe, Pycha dicit (ma anche il giornale avalla questa tesi), un fenomeno soprattutto italiano e di sinistra, il che, in un pubblico sudtirolese favorisce la classica associazione Italiani=comunisti, con le conseguenze ben note.  Anche se Pycha (diamogli ciò che è suo, pur se, riprendendo e contrario le famose parole, non è né Dio né Cesare, almeno finora…) usa toni “soft”, ammettendo che prima l’elettroshock aveva funzioni punitive-di controllo sociale (come se ora non ne avesse…), anche sul piano psichiatrico estende la terapia elettroconvulsivante a categorie comunque non omologate, in genere, come i “maniaci”. Ora, a parte la giusta contestazione delle tassonomie psichiatriche (qui Szasz e Antonucci docent, non Pycha, ovviamente), neppure la limitazione dell’elettroshock a persone con “depressione grave” (Giovanni Cassano, per es.) al primario dell’ospedale brunicense basta più…   Fate voi…    Eugen Galasso 

il lato oscuro dell’elettroshock di Andrea Capoci

https://ilmanifesto.it/il-ritorno-oscuro-dellelettroshock

Testo di ricerche e memorie attive elaborato da Pino de March per Comunimappe

www.comunimappe.org

Riflessioni critiche intorno alle molte “vibrazioni di pancia” nei commenti social all’ennesimo femminicidio, quello della profuga e pastora etiope Agitu da parte di un suo collaboratore di ascendenza africana.

“Riceviamo la notizia che il sorriso bello ed impegnato della nostra cara Agitu Ideo Gudeta ha smesso di splendere” (Rural Hack)

Breve itinerariodi lotte e progetti eco-sociali ed d’inserimento progressivo di una studente e poi profuga etiope nel tessuto culturale, sociale ed economico del nostro paese.

“Agitu era arrivata a Trento nel 2010 dove era scappata dalle violenze degli scontri in Etiopia e dopo aver ricevuto diverse minacce del governo del suo paese, dove il problema principale era ed è quello del land grabbing (nota zero), gli espropri forzati dei terreni agricoli dei contadini per essere poi dati in mano alle multinazionali, per l’impianto di grosse coltivazioni mono-culturali per prodotti destinati all’esportazione(anche le sottrazione di prodotti di auto-sussistenza delle popolazioni locali).

Ed è proprio da qui che Agitu, assieme ad un gruppo di giovani iniziò la propria lotta per denunciare l”illegalità degli espropri.

Una battaglia che l’ha portata a ricevere minacce ed intimidazioni tanto da costringerla a prendere la decisione di scappare dalla propria terra.

Avendo studiato sociologia a Trento torna in Italia nel 2010 dove viene ospitata da amici, e avendo notato moltissimi terreni in montagna abbandonati comincia ad elaborare un progetto per il recupero (dei medesimi).

E’ riuscita a realizzare le nostre idee d’innovazione rurale, con la costituzione dell’azienda biologica – la capra felice -.

Una innovazione inclusiva, progressista, militante e ricca di senso”.

Testo tratto da Rural Hack (vedi nota 1)

Nel 2017 Agitu dichiarava all’Intenzionale (settimanale) : “L’Etiopia è un paese agricolo e queste politiche del governo riducono alla fame i contadini che sono costretti a lavorare per le multinazionali a 85 centesimi di dollari al giorno.”

Alcuni anni fa Agitu aveva rilasciato altre interviste e tra queste anche a “Il Dolomite”, giornale locale ed indipendente di Trento ed in essa sosteneva:

“Ci sono tantissimi terreni che non vengono coltivati in queste montagne trentine e possono diventare un’occasione importante sia per i giovani migranti ma anche per i ragazzi italiani che stanno cercando lavoro.

Potrebbero mettersi assieme, creare piccole cooperative dove tutti possono offrire le proprie capacità, dalla forza fisica alla propensione al marketing.

E’ un progetto che voglio portare avanti e mi sono già messa al lavoro”.

Penso però che dei migranti non bisogna solo evidenziare l’aspetto passivo della manualità come lascia intendere, ma far risaltare l’apporto attivo di quelle abilità rurali o saperi di coltivazione dei terreni, presenti in popolazioni provenienti da zone del sud del mondo ove l’attività agricola è ancora rilevante.

E riprendendo altre considerazioni e vissuti di Agitu sul – il Dolomite –: “All’inizio le persone che vivevano nelle zone montane non avevano mai visto una ragazza di colore e c’era molta diffidenza ma un può alla volta sono riuscita a conquistare la fiducia di tutti”.

Però l’invidia e il disprezzo di qualcuno serpeggiava tra loro.

“Nonostante fosse amata ormai da un gran numero di persone della comunità dovette spesso subire frasi del genere: – Brutta Negra -, – Voi non potete stare qua, tornatevene al vostro paese -, -devi morire-.

Due anni fa un’aggressione in casa della quale non riuscì a salvarsi, e tanti attentati alla sua azienda agricola e alle sue capre.”
Testo tratto da Rural Hack (vedi nota 1)

Le prime notizie dicono che ad ucciderla sia stato un pastore suo dipendente per motivi economici.

Quello che sconcerta non è solo l’atrocità del delitto “uccisione a martellate con abuso e stupro” ma i commenti sui social molti dei quali riflettono: “dolore intenso”, “tristezza”, “stupenda persona”, “orrore” altri invece pur empatizzando con Agitu, manifestando rabbia e disprezzo verso il colpevole, sia prima che dopo l’accertamento dell’identità del medesimo, fanno emergere una incomprensione delle dinamiche contemporanee che intercorrono nelle relazioni di genere, a volte banalizzandole, altre volte negandone il conflitto e la violenza che le attraversa;

sempre più frequentemente negli ultimi decenni anche nei paesi del nord pianeta,

si sono riaffacciate forme arcaiche di violenza contro donne ed Lgbtqi, femminicidi e omocidi, linciaggi, gogne digitali nel modo di trattare dei “delittti e delle pene” , o forme proiettive, reattive e rancorose in vere proprie vibrazioni di pancia;

e questo avviene nel nostro paese come in quelli dell’Europa continentale ove da tempo s’erano affermati modi critici e dialettici di trattare le questioni di genere, culture e sociali, dalle forme consuetudinarie a quelle formali di riconoscimento di diritti di genere, come l’accettazione d’orientamenti affettivi e sessuali differenti.

Altre espressioni denotano superficialità, fatalità, malvagità e crudeltà maschile, persistente razzialità di visioni colonialiste al nord del mondo, o una non detta arretratezza culturale che coinvolge il maschile del sud del pianeta.

In pochi casi si coglie le perturbanti contraddizione di genere che attraversano il pianeta con impliciti colpi di coda o tentativi espliciti di riproposizioni di culture patriarcali, maschiliste, omofobe e sessiste.

“Non è questione loro” (Fraces Tenti) nè semplicemente di “maledetto merda di uomo” (G.Nicotra)

Ripropongo alcune chat da pagine Facebook non della destra fascista,sovranista e leghista ma tratte dalle pagine del nostro mondo virtuale della sinistra democratica e diffusa indicando in modo contratto “nome, cognome e genere tra parentesi:

G.N (M)

“Questo bastardo deve pagare caro, maledetto merda di uomo, povera donna, che dispiace”.

PDM (M)
“Non solo maschi di merda come molti interpretano i femminicidi , ma soprattutto trattasi di una rinnovata eteronormatività (reale o immaginaria normatività eterosessuale) maschilista.

Il ritorno di consuetudini patriarcali dell’antico “Ius vitae necisque (diritto di vita e di morte), espressione indicante un potere dispositivo assoluto del pater familias. Nel diritto romano era il diritto del pater familias , capo indiscusso (o padre-padrone)di tutto il clan che conservava per tutta la vita con amplissime facoltà insieme ad un potere punitivo che si estendeva finanche della vita e della morte (vitae necisque potestas) su tutti coloro che era soggetti al suo dominio(mogli, figli, schiavi ecc) come quello, se ritenva di venderli come schiavi. Cristallizzando nelle XII Tavole quello che era già l’antico costume tribale.

V.S (M)

“Porci maledetti, razzisti e chi li difende!/!!

A.F (F)

“Un asteroide che ci spazzi via tutti, non c’è niente da salvare”.

M.L.B (F)

Veramente dovrebbe spazzare facendo una selezione e ne troverebbe lo stesso molti”.

L.P (M)

“Troppi merdosi e fassista in Italia”.

F.S (M)

“Maledetti razzisti. In galera a vita”.

K.V. (F)

“Ma quali razzisti?

L’ha uccisa un africano tentando di stuprarla mentre era a terra agonizzante.

Un ghanese di 32 anni”.

P.D.M (M)

“Purtroppo la mano femminicida è riconducibile ad una cultura trasversale sul pianeta maschilista, sessista e patriarcale.”

P.D.M (M)

“Nell’Italia meridionale del dopoguerra ma anche in altre parti d’Italia era consuetudine esercitare un abominevole ‘vendetta malintesa come giustizia’ per offesa a reputazione della famiglia o a soggetti considerati nei fatti possessi-proprietà maschili.

Il delitto d’onore era un reato compiuto da un reo con il fine di tutelare il proprio onore e la propria reputazione, contemplato dal codice penale italiano fino al 1981. (Fino alla riforma del diritto di famiglia del 1975 che ne prevedeva la sua abrogazione (cancellazione).”

“L’omicidio d’onore regolato dall’art. 587 c.p. prevedeva la pena, decisamente clemente , della reclusione da tre a sette anni per chi uccideva il coniuge, la figlia o la sorella “nell’atto in cui ne scopre la legittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onore della sua famiglia”.

La stessa pena era prevista per chi uccideva, in tali circostanze, la persona che si trovava “in illegittima relazione carnale con il coniuge, la figlia o la sorella.”

Il delitto d’onore poteva essere commesso sia da un uomo che da una donna, senza alcuna differenza nel trattamento sanzionatorio. Però nella totalità dei delitti si documentata una prevalenza dei femminicidi sugli omicidi.

Le stesse consuetudini patriarcali e femminicide le troviamo non sanzionate ancora oggi in molte parti del mondo (dal Pakistan, passando per l’Albania, l’Iran, Palestina, paesi asiatici ecc).

A.T (F)

“Quel che è triste che si tratta di femminicidio, e non è trattato come tale”.

“Le prime notizie riferivano sì, che era stata uccisa da un suo collaboratore, dipendente, facendolo sembrare come una questione loro”.

M. B (F)

“L’avevo vista l’anno scorso ad un servizio di Geo&Geo …

Un esempio straordinario d’integrazione.

Mannaggia!.

Avevo pensato che fosse proprio una donna straordinaria.

Fanculo.

Ammazzata a martellate dopo essere stata stuprata, e proprio da un suo collaboratore.

Non è finita la strage di donne?

Non è possibile andare avanti così.

Basta!!

P.M (M)

“Stupenda persona!

Chi è stato abbia il massimo della pena”.

S.Z (M)

“Ergastolo e basta….riposa in pace Gudeta”.

PDM (M)

“Ergastolo. No!

(Se intendete per tutta la vita)

Sì ad una giusta sentenza di condanna. Il carcere nel nostro ordinamento costituzionale ha la funzione non solo di punire e sanzionare il colpevole, ma di far prendere coscienza al detenuto dell’offesa arrecata agli altri/e o per la vita sottratta ad altri/e, e poi per essere avviato a pena scontata, ad un inserimento nella vita civile da civile, e da umano tra umani.

(Ed in questo caso un lavoro analitico con altri uomini violenti e maltrattanti sulla violenza maschilista che li attraversa).

E’ necessario comunque avviare un processo diffuso di autoanalisi tra noi maschi per rimettere in discussione queste pratiche violente e visioni patriarcali che c’abitano”.

A.T (F)

“PDM sei troppo buono!”

G.R (M)

“Beh sì, la rieducazione è una delle funzioni della pena.

P.P (F)

“Che pena rieducativa?

Ergastolo a vita!.”

S.M (F)

“Per che fare?
Hai tolto deliberatamente la vita ad una persona, chi ti deve rieducare?”.

G.R (M)

S.M: Leggiti Beccaria. Non è che a me non vibri la pancia e venga voglia di fargli una sassaiola (linciaggio e lapidazione, sottinteso )

Ma la società civile è un pò più complessa”.

S.M (F):

“No! Non intendo quello (linciaggio e lapidazione), sono anch’io favorevole alla riabilitazione anche su altri campi, ma se uccidi una persona ossia gli togli la vita perchè tu hai deciso così, bé non rimani sempre in carcere a vita.. se poi dopo 30 anni sei un’altra persona allora se ne parla… non è che inneggio alla legge del taglione (dente per dente, occhio per occhio)”.

P.D.M (M)

“P.G in che senso omicidi e ragazzinicidi?”

P.G (M)

“Nel senso che scrivo molte donne usano violenza sugli uomini.. nel senso che esistono ominicidi e femminicidi e ragazzinicidi”.

P.G (M)

“Io forse ho prove”.

P.D.M (M)

“Se sei ancora vivo, questa è la prova casomai dell’esistenza del bullismo, delle prevaricazioni o dell’uso strumentale anaffettivo che possono riguardare anche il “femminile” come tu sotto-intendi, direi rovesciamento in forma modernista “femminile” dell’etero-normatività maschile, e questo ci sta

(ciò che stava sotto viene posto sopra senza cambiare i rapporti di dominio tra i generi),

domini entrambi che restano di natura o cultura primatista patriarcale o paritaria matriarcale ( anche se in molte di queste culture è coadivuata nell’esercizio del potere dalla figura del fratello della madre o dello zio), a differenza invece di quella pacifica matrista, e critica femminista o intersezionale transfemminista ,ove risalta la condivisione nelle relazioni materiali come esistenziali;

tutto si evidenzia nelle tue sofferte parole che esprimono sincera rabbia.

(Pater et mater +arché , parole composte che indicano l’origine del potere-dominio o sistema di antropologico di dominazione delle relazioni).

“Matrista” è invece in – concetto,affetto e percetto – che in qualche guppo di ricerca femminista (area la “Comune” e non solo) utilizza forse avvalendosi delle ricerche di un’antropologa lituana dell’est Europa, Marja Gimbutas, che indica con questa espressione l’esperienza dell’orizzontalità -non violenta e relazionale – delle donne nelle prime neolitiche -culture nell’Europa sud-orientale espansa poi verso Nord ed Ovest (della civiltà della dea).

P.D.M (M)

“Un conto sono le ferite d’amore che ragazze o donne, sanno fendere come gli uomini,

un altro conto sono la somma assoluta dei femminicidi da parte esclusivamente maschile;

non scambiamo esperienze esistenziali traumatiche che possono deprimere, ma molte volte anche aiutano a crescere, con tragici fatti che seppelliscono per sempre ogni esistenza d’amore e di vita possibile”.

P.D.M (M)

“La statistica non mente!”

P.D.M (M)

“Un abbraccio che curi le tue ferite, e come dice un proverbio: -non temere per le porte che si chiudono perché più in là c’è un portone semichiuso che non hai ancora visto o un portone apertissimo- per altre esperienze molto spesso più mature e significative “.

P.D.M (M)

“Esiste sì quello, cioè il bullismo tra le ragazzine come tra i ragazzini, peró questo è un maldestro tentativo delle ragazzine di imitare o superare in modo simmetrico l’inferiorità in cui le ragazzine vengono poste da una società che resta fortemente eteronormata in modo maschilista, in cui spinge i ragazzini a misurarsi fisicamente o muscolosa-mente e le ragazzine a subire, imitare, riconoscere la pre-potenza o il suprematismo dei maschi.”

P.G (M)

“P.D.M. Beh io adoro chi mi insegna cose”.

P.D.M (M)

“Più che insegnare ….io adoro raccontare esperienze, ricercare, fare approfondimenti su tematiche esistenziali e sociali.”

P.G (M)

“Oggi non soffro più .. io parlo dopo che ho sofferto non mentre soffro”.

A.T (F)

“Quel che è triste che si tratta di femminicidio, e non è trattato come tale”.

PDM (M)
“Non solo maschi di merda come molti interpretano i femminicidi , ma soprattutto trattasi di una rinnovata eteronormatività (come normatività eterosessuale) maschilista.

E’ necessario comunque avviare un processo di autoanalisi tra noi maschi per rimettere in discussione queste pratiche violente e visioni patriarcali che c’abitano”.

Negli ultimi anni si sono manifestate in piccoli gruppi una “maschilità consapevole”, un’intellettualità divergente e specifica dalla totalità degli uomini, come minoranza associativa denominatasi: “maschile -plurale” che dichiarano necessario immischiarsi nelle controversie di genere, e non solo limitarsi a solidarizzare con le vittime del femminicidio, ed innanzitutto prendere posizione contro “la cultura patriarcale che caratterizza la nostra società e della necessità di lavoro sugli uomini” e nel contempo analizzare le attuali asimmetriche dinamiche relazionali tra i generi.

Nella ricerca e nell’azione di contrasto alla violenza maschile e di lavoro tra i maschi emergono da tempo ormai riflessioni espresse nelle tracce costituenti di questo gruppo che desidero fare mio e riproporle a tutti i maschi in questa tragica circostanza:

Materiale tratto da Maschile -plurale (Nota 2)
“Fino a poco tempo fa in Italia non c’era nessuna realtà formata da uomini che assistono altri uomini che vogliono attuare un cambiamento, riconoscendosi responsabili degli atti di violenza che hanno commesso, cercando di comprendere loro stessi e capire il perché di questi comportamenti”.

Materiale tratto da Maschile -plurale (Nota 2)

“Maschile Plurale è un’associazione nata ufficialmente nel 2007 da una rete di uomini che già si conoscevano da molti anni e che, in maniera informale, lavoravano sulle tematiche di genere, sulla maschilità, sulle trasformazioni delle relazioni uomo-donna, sulla violenza maschile sulle donne. Nell’estate 2006 c’erano stati molti femminicidi . Da lì è stato lanciato il primo appello pubblico di uomini contro la violenza sulle donne che hanno sottoscritto tantissime persone. Siamo stati i primi uomini ad esprimerci pubblicamente sul tema della trasformazione delle relazioni tra uomini e donne e in particolare sul tema della violenza”.

Materiale tratto da Maschile -plurale (Nota 2)

E in quelli stessi anni al centro sociale “xm-24 ” con un altro compagno Valerio Dondini iniziatatore con me ed altre di “in-quiete-tempeste-poetiche (gruppo trans-poetico, indicante con trans non solo uno specifico orientamento sessuale ed affettivo ma anche una ricerca poetica che coinvolgesse altre espressioni umane nella ricerc-azione(filosofia, arte, musica, danza ecc.) oltre che ad esperimentare forme autogestione ed auto-determinazione culturale, politica e sociale dal basso),

durante il mercatino del giovedi sera abbiamo cercato (tra noi maschi) di sensibilizzare e prendere posizione sull’emergere di violenze maschiliste e sessiste anche in contesti “che non te lo

saresti aspettato” come quello “nostro” della sinsitra diffusa o sociale in città, oltre altrove e prevalentemente nelle “famiglie o coppie di fatto o di diritto”.

Perché l’associazione si chiama Maschile Plurale?
Perché rifiutiamo l’eredità di un’identità sessuale molto rigida, riferita a modelli di genere violenti, non solo nei confronti delle donne, ma anche verso gli uomini, perché certi ambiti di esperienza, di relazione, di rapporto con se stessi e con la sessualità sono da sempre limitati e repressi.”

Materiale tratto da Maschile -plurale (Nota 2)

Maschile Plurale significa quindi rivendicare la ricerca soggettiva di modelli di maschilità differenti da quelli che abbiamo ereditato. Cerchiamo di mettere in discussione i meccanismi del maschile di cui facciamo parte cercando di capire come ognuno di noi nel suo piccolo e nel suo intervento politico può fare questo percorso. Noi per primi che lavoriamo in questo campo non vogliamo sottrarci dal nostro essere uomini e dai meccanismi del maschile che ci riguardano e che vogliamo cambiare.”

Materiale tratto da Maschile -plurale (Nota 2)

La violenza contro le donne nasce dunque dai modelli sessisti e patriarcali che caratterizzano la nostra società?
La violenza maschile contro le donne nasce prevalentemente come risultato di una cultura patriarcale e gerarchica che in qualche modo attribuisce una sorta di differenza di valore alla figura femminile rispetto a quella maschile. Il patriarcato cresce su questa asimmetria, su questa logica che pone l’uomo al di sopra della donna. Da qui hanno preso il via tutte le battaglie per l’uguaglianza dei diritti e la liberazione sessuale.
Il patriarcato ha fondato tutta la sua visione sull’assunto che l’uomo può comandare. Quando parliamo di patriarcato non facciamo riferimento solo agli uomini. Una cultura patriarcale può essere anche abbracciata o fatta propria dalle donne. Penso alle donne che hanno sostenuto la mafia o un modello economico gerarchico. Noi non mettiamo in discussione solo il comportamento degli uomini né siamo femministi, mettiamo piuttosto in discussione un modello, a prescindere da chi poi lo sostiene.”

Materiale tratto da Maschile -plurale (Nota 2)
Come si combatte dunque la violenza contro le donne?
Non basta punire chi commette atti di violenza se non ci si rende conto che questi meccanismi sono dentro ognuno di noi. Spesso anche chi si pone come difensore delle donne ha una concezione asimmetrica del valore dell’uomo e di quello della donna. Se si agisce solo sul contenuto e non sul metodo non si produce un cambiamento. È un meccanismo profondo: se diciamo ad un bambino che non deve essere violento e, nel farlo ci rivolgiamo a lui con violenza, quale messaggio può percepire il piccolo? Il modo è molto più forte del contenuto.”

Materiale tratto da Maschile -plurale (Nota 2)

Bisogna rendersi conto che questo è un tema sociale di cui dobbiamo farci carico tutti, dal privato cittadino alle amministrazioni.

Materiale tratto da Maschile -plurale (Nota 2)

Tranfemminista lo possiamo essere perché tale movimento intreccia le molteplici affinità che desiderano mettere sotto e sopra l’eteronormatività,

che le comprime ed le opprime tutte, partendo da sé o dalle loro specificità e ricerche di autenticità intese come realizzazione della propria soggettività,sessualità ed affettività negata. E l’agire comune non si rivolge solo alle subordinazioni di genere,

ma in modo intersezionali anche altre forme dialienazioni quali quelle:di classe,di “razze” o culture o delle nature (speciste, antropoceniche e capitalceniche)

ed altri aspetti della soggettività negata da forme politiche autoritarie e liberiste-capitaliste(private,burocratiche e tecnocratiche).

Note:

Nota zero:

(da wikipedia:accaparramento di terra, discusso fenomeno economico e geopolitico di acquisizione di terreni agricoli su scala globale, venuto alla ribalta nel primo decennio del XXI sec)

Nota 1:

Che cos’è Rural Hack?

E’ un progetto di ricerca che indaga gli aspetti culturali e tecnologici che legano tra Open Hardware e l’agricoltura.

Lo scopo è quello di rendere la tecnologia (più) accessibile, trasformandola in uno strumento per l’agricoltura, così da permettere agli stessi contadini di creare e modificare progetti o infrastrutture da loro sviluppate.

Open Hardware, così come Open Data, è stato pensato per generare una nuova logica del produttore legata a principi etici e condivisi, evitando così l’abuso delle risorse del territorio e la logica delle licenze.

II workshop di Rural Hack si svolgono in giro per l’Italia e l’Europa in cooperazione con Officine Innesto e Rural Hub.

Nota 2: M.P. -Materiali tratti dal Home Page del sito: www.maschileplurale.it

Testo elaborato e dedicato Agitu Ideo Gudeta di Pino de march

www.comunimappe.org

GENERAZIONI DA SEDARE?

CESP – CENTRO STUDI PER LA SCUOLA PUBBLICA BOLOGNA                                                                                                                                                                                 
PROMUOVE
CONVEGNO NAZIONALE DI AUTO-FORMAZIONE PER IL PERSONALE DELLA SCUOLA

VENERDì 23 NOVEMBRE 2018
PRESSO – IIS -ALDINI VALERIANI -VIA BASANELLI 9/11 -BOLOGNA-BOLOGNINA

“Generazione da sedare? La scuola tra accoglienza, medicalizzazione, e trattamento chimico degli studenti/esse. (BES, DSA, ADHD, ecc…)”

DALLE O8 MATTINO ALLE 17.30 SERA
 Mattino, ore 8.30-13.30
Il seminario di aggiornamento si concentra sugli aspetti culturali, storico-sociali, normativi, alla base della diffusione dei Bisogni Educativi Speciali (BES) e sulle ricadute metodologico-didattiche che tale aspetto comporta. La giornata sarà dedicata in parte anche al ricordo della figura di Giorgio Antonucci, già direttore del manicomio di Imola di cui curò la dismissione, prospettando una relazione radicalmente diversa tra società e sofferenza psichica. Ampio spazio verrà dato nella parte laboratoriale all’analisi della normativa relativa al sostegno, agli alunni/e con DSA e con altri Bisogni Educativi Speciali. Un laboratorio musicale sarà dedicato ad esplorare le possibilità di ognuna/o di raccontarsi agli altri/e in uno spazio di libertà creativa.

Coordina Matteo Vescovi – CESP Bologna

“Se mi ascolti e mi credi”, visione di un estratto dal docu-film su Giorgio Antonucci (Protagonista nella lotta contro i manicomi a fianco e oltre Basaglia).
Anna Grazia Stammati (Presidente del CESP e del Telefono Viola), L’attività del Telefono Viola e le criticità della Legge 180;
Giovanni Angioli (Infermiere e coordinatore presso il reparto Autogestito Lolli):La chiave comune: esperienze di lavoro presso l’ ospedale psichiatrico di Imola;
Maria Rosaria D’Oronzo (Centro Relazioni Umane): L’eredità di Giorgio Antonucci e la questione psichiatrica;
Stefano Catellani (Psichiatra di Bologna):Lo standard umano: dalle pere del supermercato alla costruzione dell’uomo “a norma”

>>Pausa caffè, 11.00 – 11.15<<
Chiara Gazzola (Scrittrice – Antropologa): ADHD e altre diagnosi: trattamento chimico dell’infanzia e dell’adolescenza;
Sebastiano Ortu (Docente – Insegnante di Sostegno – CESP): Generazioni da sedare? – Il ruolo degli insegnanti contro la deriva medicalizzante nella scuola;
Domande e dibattito.

Pomeriggio, ore 14.30 – 17.30
Laboratori operativi:
“Musicalmente”: approcci differenti alla convivialità;
I questionari per la valutazione dello stato psichico, emotivo e comportamentale degli alunni/e
Analisi della normativa sui BES e stesura di PDP
Modifiche alla normativa sul sostegno e stesura del PEI
16.30: Restituzione dei lavori dei laboratori e conclusioni

CESP Centro Studi per la Scuola Pubblica, sede di Bologna
PER ISCRIVERSI:  info@cesp.it (referente matteo vescovi)

MESSAGGIO RICEVUTO SEVAM ARIETE -CESP -BO