autopoieticene : tempo di nuovi paradigmi, di nuove visioni di mondi di vita eco-poetica-sociale, di transculturazioni e nuove pratiche di relazioni liberazione intersezionali e trans-femministe (tra classi subalterne della produzione e della riproduzione).

In questa tragica età di Capitali predatori di mondi di vita(il capitalcene) e di tossica esistenza autodistruttiva umana (l’antropocene) dominata da paradigmi secolari euro-antropocentrici,dualismi cartesiani e relazioni umane narcisiste,utilitariste e liberiste a cui s’accompagnano sintomatiche manifestazioni apococalittiche e pestilenzilali:emozionali (populista,nazi-fascio-elettronica, fanatismi ed autodistruzioni “creative”), climatiche (ghiacciai millenari che si sciolgono, foreste native che bruciano,uragani e tempeste che si moltiplicano e s’abbattono come scure sue paesi e foreste, deserti che avvanzano,cavalette che divorano tutto ciò che incontrano di vegetale ) a pandemie virali (ebola,sars e altre silenti) e migrazioni ed esodi epocali),umane crisi di presenza che determina il disconoscimento di mondi e significati, la polarizzazione schizo-paranoniede tra grammatiche e sintassi digitali e semantiche relazionali umane e neo-umane.

SOLO

la poesia riflessiva singolare e comune , la ricerca attiva di significati, le culture umaniste (post-antropocentriche e post-coloniali) e le scienze (non dualiste) e non asservite ai sistemi dominanti, i nuovi saperi sociali forgiati nei nuovi conflitti e attraversati dalle maree di liberazione possono immaginare nuova era planetarie Costituente-Terra e Comune Cooperazione tra tutti gli esseri viventi : nuove sensibilità e alleanze tra umani, non umani ed artefatti (ed enunciare l’autopoieticene, emergente concetto per mutati affetti e percezioni terrestri ).


ETIMOLOGIA:

Antropocene coniuga la parola greca “antropos” con il suffisso “cene” che proviene dal greco kainos, con il significato di “nuovo”o “recente”, per suggerire l’ingresso in una nuova epoca dominata dall’attività umana.
Poieticene:

Coniuga invece la parola greca “poietikos”,derivata da poiesis, o ciò che viene creato attraverso l’attività poietica dell’élan vital(lo slancio vitale)dell’immaginale umano e sociale ed il suffisso “cene” che proviene dal greco kainos, con il significato di “nuovo” e “recente”, per suggerici invece l’ingresso in una nuova era di ricerca critica e di azione di corpi terrestri di liberazione contro tutte le forme di dominazione che si presentano complesse, non banalizzabili o semplificabili, di diversa intensità, trasversalità ed intersezionalità, nell’invisibilità di duplici, triplici o quadruplici oppressioni o sfruttamenti (di classi, culture, generi ed algoritmi-postumani). I significanti di nuovo sono importanti per rendercele visibili , nominarle ed orientarci ed innanzitutto per ricercare nuovi significati, stili e forme di vita che intrecciano il vivente (i molteplici mondi di vita) sempre singolari e sempre comuni.

E per contestare le tesi negazioniste “che il riscaldamento globale attuale è parte della naturale variabilità climatica” non alcun significato scientifico.

“Le persone che liquidano con sufficienza il cambiamento climatico spesso affermano che il riscaldamento della terra è solo parte di una “variabilità naturale del clima”. Però uno studio pubblicato a luglio 2109 su “Nature” (la più importante rivista scientifica) ha messo a tacere questa argomentazione. Gli autori hanno mostrato che nei 2000 anni passati, gli anni caldi e quelli freddi, si sono intervallati regolarmente e che addirittura i periodi più caldi e più freddi sono avvenuti solo in aree circoscritte e in un momento specifico, ma in tutto il globo simultaneamente. Il riscaldamento attuale, al contrario, sta avvenendo nel 98% del pianeta, contemporaneamente, dal 1900 circa fino ad oggi. “Ed è del tutto differente”, afferma Raphael Neukom dell’Università di Berna, in Svizzera, che ha diretto la ricerca. Tutte le regioni del Pianeta si stanno riscaldando senza sosta all’unisono(simultaneamente e di uguale intensità).
Mark Fischietti

Le Scienze – edito a novembre 2019

Antropocene -termine coniato dal premio nobel per la chimica atmosferica Paul Crutzen per definire l’era geologica in cui l’ambiente terrestre, inteso come insieme delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche in cui si svolge ed evolve la vita è fortemente condizionato a a scala sia locale che globale dagli effetti delle attività umane. In questo periodo l’impatto degli umani sugli ecosistemi si è progressivamente incrementato….traducendosi in alterazioni sostanziali degli equilibri naturali (scomparsa delle foreste tropicali e riduzione della biodiversità, occupazione di circa il 50% delle terre emerse, sovra-sfruttamento delle acque, uso massiccio dei fertilizzanti sintetici in agricoltura ed emissioni di grandi quantità di gas serra in atmosfera ecc..).
ANTROPOCENE O CAPITALOCENE? SULLE ORIGINI DELLA NOSTRA CRISI
(Parte I: estratto dall’ecologia e l’accumulazione del capitale ).
Jason W. Moore
Quando e dove è iniziata la relazione moderna dell’umanità con il resto della natura? La domanda ha acquisito nuova importanza con la crescente preoccupazione dell’opinione pubblica per l’accelerazione del cambiamento climatico. Negli ultimi dieci anni, una risposta a questa domanda ha affascinato sia il pubblico accademico che quello popolare: l’Antropocene.

i

l’autore
Jason W. Moore storico dell’ambiente e docente di economia politica presso il Dipartimento di sociologia della Università di Binghamton negli Stati Uniti, è membro del Comitato esecutivo del Fernand Braudel Center for the Study of Economies, Historical Systems and Civilizations. Capitalism in the Web of Life: Ecology and the Accumulation of Capital (Verso, 2015) è uno dei suoi ultimi lavori. Per i nostri tipi: Ecologia-mondo e crisi del capitalismo. La fine della natura a buon mercato (2015).
È, nella frase adatta di Paul Vooser, “un argomento racchiuso in una parola” (2012).
Ma che tipo di argomento è? Come per tutti i concetti di moda, l’Antropocene è stato oggetto di un ampio spettro di interpretazioni. Ma uno è dominante. Questo ci dice che le origini del mondo moderno si trovano in Inghilterra, proprio verso l’alba del XIX secolo (Crutzen and Stoermer, 2000; Crutzen, 2002; Steffen, Crutzen e McNeill, 2007; Steffen, et al , 2011a, 2011b; Chakrabarty, 2009; Davis, 2010; Swyngedouw, 2013). La forza motrice dietro questo cambiamento epocale? In due parole: carbone e vapore. La forza trainante dietro carbone e vapore? Non di classe. Non capitale. Non imperialismo. Neanche la cultura. Ma … hai indovinato, gli Anthropos . L’umanità come un tutto indifferenziato.
L’Antropocene è una storia facile. Facile, perché non sfida le disuguaglianze, l’alienazione e la violenza naturalizzate inscritte nelle relazioni strategiche della modernità di potere, produzione e natura. È una storia facile da raccontare perché non ci chiede di pensare a queste relazioni. Come metafora per comunicare il significativo – e crescente problema – posto dalle emissioni di gas serra e dai cambiamenti climatici, l’Antropocene deve essere accolto con favore. Ma l’argomento antropocenico va ben oltre. Per Will Steffen e i suoi colleghi (2011b), la grande ispirazione concettuale per le loro analisi della nostra congiuntura attuale – e come siamo arrivati a questo sfortunato stato di cose – non è Darwin o Vernadsky, ma Malthus. Il loro antropocene è quello in cui le crisi odierne sono inquadrate e spiegate dai panorami neomalthusiani della scarsità di risorse (picco di tutto) e della popolazione in aumento.
Da questo punto di vista, potremmo fare tutti un po ‘di tempo per fare un passo indietro e chiedere: l’argomento antropocenico oscura più di quanto illumini?
Quasi certamente. Soprattutto, l’argomento antropocenico oscura e relega al contesto, le relazioni effettivamente esistenti attraverso le quali donne e uomini fanno la storia con il resto della natura: le relazioni di potere, (ri) produzione e ricchezza nella rete della vita.

il libro

ANTROPOCENE O CAPITALOCENE?

Sulle origini della nostra crisi: di J.Moore
Che i drammatici cambiamenti climatici degli ultimi decenni siano dovuti alle emissioni antropogeniche di gas serra è un fatto acclarato, che non suscita serie controversie se non da parte di qualche sparuta setta negazionista. Quali siano le conseguenze di tale situazione è invece oggetto di discussione. Sempre più spesso si sente parlare, nei circoli accademici ma anche sui mass media, di “Antropocene”. Il premio Nobel per la chimica Paul Crutzen, che ha coniato il termine, intende con esso una nuova era geologica in cui le attività umane sono diventate il fattore determinante, decretando così la fine dell’Olocene. L’umanità come un tutto indifferenziato (e colpevole) da un lato, l’ambiente incontaminato (e innocente) dall’altro.
Jason W. Moore rifiuta questa impostazione e parte dal presupposto che l’idea di una natura esterna ai processi di produzione non sia che un effetto ottico, un puntello ideologico su cui si è appoggiato il capitalismo. Al contrario, il concetto di ecologia-mondo rimanda a una commistione originaria tra dinamiche sociali ed elementi naturali che compongono il modo di produzione capitalistico nel suo divenire storico, nella sua tendenza a farsi mercato mondiale. Il capitalismo non ha un regime ecologico, è un regime ecologico. Sfruttamento e creazione di valore non si danno sulla natura, ma attraverso di essa – cioè dentro i rapporti socio-naturali che emergono dall’articolazione variabile di capitale, potere e ambiente. Si tratta dunque di analizzare la forma storica di questa articolazione – ciò che Moore chiama “Capitalocene”: il capitale come modo di organizzazione della natura – per fronteggiare l’urgenza dei disastri ambientali che ci circondano.

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Per un’eco-sociale autopoieticenica

L’ecologia sociale ritiene che una visione ecologica della società permetta di escludere ogni tipologia di sfruttamento e di dominio dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura. Scrive Bookchin:
« …quando la natura può essere concepita o come uno spietato mercato competitivo, o come creativa e feconda comunità biotica, ci si aprono davanti due correnti di pensiero e di sensibilità radicalmente divergenti, con prospettive e concezioni contrastanti del futuro dell’umanità. Una porta ad un risultato finale totalitario e antinaturalistico: una società centralizzata, statica, tecnocratica, corporativa e repressiva. L’altra, ad un’alba sociale, libertaria ed ecologica, decentralizzata, senza Stato, collettiva ed emancipativa.».
L’individuo è quindi collocato all’interno del tutto («visione olistica dell’universo»), al di là di ogni visione antropocentrica della natura, caratteristica di quasi tutte le discipline sociali, che di par suo ha favorito lo sviluppo dell’idea di dominio e dell’oppressione dell’uomo sull’uomo e dell’uomo sulla natura.
L’antropocentrismo tende a rappresentare l’universo come oggettivamente gerarchico e autoritario, quindi necessariamente da dominare e “piegare” al volere umano. Ciò non è mai senza conseguenze, come ribadisce ancora Bookchin:
«Quest’immagine totalizzante di una natura che deve essere domesticata da un’umanità razionale, ha prodotto forme tiranniche di pensiero, scienza e tecnologia – una frammentazione dell’umanità in gerarchie, classi, istituzioni statuali, divisioni etniche e sessuali. Ha promosso odi nazionalistici, avventure imperialiste, e una filosofia della norma che identifica l’ordine con dominazione e sottomissione. La realtà, come vedremo, è diversa, una natura concepita come “gerarchica”, per non parlare degli altri “bestiali” e borghesissimi caratteri che le si attribuiscono, riflette solamente una condizione umana in cui il dominio e la sottomissione sono fini a se stessi e mettono in questione la stessa esistenza della biosfera»

Autopoiesi

Intorno al 1972, Humberto Maturana e Francisco Varela elaborano il concetto di autopoiesi, termine coniato unendo le parole greche auto (se stesso) e poiesis (creazione, produzione).

Il concetto è così definito da Varela:

“Un sistema autopoietico è organizzato come una rete di processi di produzione di componenti che produce le componenti che: attraverso le loro interazioni e trasformazioni rigenerano continuamente e realizzano la rete di processi che le producono e la costituiscono come un’unità concreta nello spazio in cui esse esistono, specificando il dominio topologico della sua realizzazione in quanto tale rete”

In sintesi un sistema autopoietico è un sistema che ridefinisce continuamente sé stesso ed al proprio interno si sostiene e si riproduce.

Maturana e Varela sono i primi a riconoscere l’autorganizzazione quale discriminante tra vivente e non vivente.

Referente comunimappe: pino de march

Per comunicazioni:comunimappe@gmail.com

per ricerc-azioni dettagliate:www.comunimappe.org


per

Pino de March – dipartimento alla terra di comunimappe

info: comunimappe@gmail.com

maree primaverili di marzo trans-umane,trans-nazionali e trans-femministe

Là dove c’è eros dispiegato in sensi multidimensionali (e multitudinari) c’è una vivente civiltà che incontra il suo futuro anteriore: tempestoso e gioioso; e non sono solo sogni ma segni dei tempi che mutano vorticosamente i codici culturali e il divenire dei mondi di vita, dei generi, delle esistenze e delle socialità.

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sotto miei scatti complici nella marea di VERONA

https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=2548014428561035&id=100000575071169&sfnsn=mo

)https://m.facebook.com/story.php?story_fbid=2548027308559747&id=100000575071169&sfnsn=m

Dopo le maree primaverili di marzo -(si) apri-le porte ad una comune trans-dimensionalità
che prova a chiudere con le banali uni-dimensionalità autoritarie sovraniste (emerse)di oggi come con quelle (sommerse )nazi-fasciste, razziste, sessiste di ieri, ma anche alle (ormai plurisecolari)distruzioni del vivente (ecocidi)e dell’umanità(genocidi).

E questo marzo ormai alle spalle è stato un sorprendente, stravagante e visionario contro-trans-fert ai nichilisti domini capitalisti, patriarcali e all’andro-cenica apocalittica era, in un’insorgenza generazionale di trasversali moltitudini in un’anticipata primavera. E le strade di nuovo rioccupate dai sogni e da empatiche ed erotiche relazioni trans-individuali, transnazionali, transfemministe, transculturali .

TRANS intesi come nuovi passaggi tempestosi di mutazioni del vivente e delle umane forme di vita empatiche e di relazione emergenti con altra separata/negata, ed ESODI verso un comune ed unico pianeta (non c’è un pianeta B, ne tanto meno umanità di serie B ), ma esseri viventi necessitati a convivere ed esseri umani liberi di scegliersi e di costruirsi
IN TRANS-NAZIONALI E TRANS- CULTURE MIGRANTI
IN TRANS-UMANE RELAZIONI TRA VIVENTI, UMANI E MACCHINE
IN TRANS-GENERI E CONVIVENZE NON BINARIE IN TRANS-INDIVIDUALI COOPERAZIONI TRA ESSERI UGUALI,SOCIALI ED UMANI
IN TERZI SPAZI D’AUTONOMIE E DI UGUAGLIANZE
CONSAPEVOLI CHE
LÀ DOVE C’È EROS DA SEMPRE PROSPERANO MULTIVERSE GIOIOSE CIVILTÀ

EMERSIONE DI NUOVE SAPIENS TRANS-UMANE E TRANS-FEMMINISTE

GRETA
MAREA TRANSUMANA

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NON UNA DI MENO
MAREA TRASFEMMINISTA
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NON UNA DI MENO ha aggiunto 148 nuove foto all’album: LA MAREA A VERONA PER IMMAGINI — a Verona.

Alcuni scatti per raccontare più di mille parole, la straordinaria giornata a Verona.150..000 persone e anche molte di più ad illuminare la città transfemminista

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NON UNA DI MENO
MAREA TRASFEMMINISTA
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MAREE TRANS-NAZIONALI
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SE LA TERRA PARLASSE

Se la terra parlasse chissà cosa direbbe. Verosimilmente nulla di piacevole per noi. Troppi conti in sospeso per sperare di farla franca. Se la terra parlasse come prima cosa farebbe una grande sfuriata, ci metterebbe dentro qualche accidente e darebbe sfogo alle tante questioni che si trascinano da millenni: come la pratica degli incendi per aprire aree coltivabili o i disboscamenti selvaggi. Entrambe modalità da rapaci utilizzatori che non poco hanno contribuito a cambiare il clima lungo i millenni. E poi avrebbe da ridire per le guerre, quelle che lasciavano sul terreno migliaia di cadaveri dopo cruenti corpo a corpo e quelle che del terreno facevano e fanno frantumi con bombe sempre più potenti. Alzerebbe la voce parlando dell’ultimo secolo e delle risorse incamerate nel sottosuolo che oramai sono state quasi tutte trasferite nell’atmosfera dopo un veloce passaggio dentro i cilindri di un motore. Farebbe forse notare l’assurdo di un ritorno indietro nel tempo che con veloce progressione stiamo raggiungendo, un tempo precedente alla presenza di forme evolute di vita nella terra, quando i gas serra oscuravano il cielo.

Se la terra parlasse forse prima di parlare emetterebbe un lungo sospiro, simile al vento caldo che arriva dall’Africa, lasciandoci così tutti attoniti per la grande potenza dimostrata. Scrollerebbe il capo e forse rimarrebbe senza parole, perché a parlare siamo tutti buoni quando abbiamo la pancia piena. Farebbe forse notare la faccenda degli sprechi e la fame che ancora morde tante popolazioni; poi si ritirerebbe in campagna, a coltivare un pezzettino d’orto. Proprio come sempre più spesso si ritorna a fare anche nelle città. Darebbe dimostrazioni magistrali sui modi per ricavare le zucchine e i pomodori senza impoverire il terreno. Ci spiegherebbe le azioni biologiche e le possibilità di coltivazioni.

Il Dipartimento della terra, in collaborazione con il nascituro dipartimento dell’aria organizza:


il 14 giugno pomeriggio – sera negli orti di via Erbosa.
SE LA TERRA PARLASSE
Programma:

H. 16 Nicola Laruccia – pedologo* – Performance di parole e musica “Se la terra parlasse”.

H. 17 Thé alla menta – offerto da ComuniMappe

H. 17.30 Carlo Bordini – poeta, costruttore di parole per richiamare il legame tra Natura e Cultura. (Prima realizzazione del Dipartimento dell’aria)

H. 18.30 Antonio Varano – presidente orti via Erbosa. Presentazione dei progetti in corso in collaborazione col Dipartimento della Terra.

H. 19 Giulio Marianacci – agronomo e ricercatore, terrà la seconda lezione su “la gestione degli orti urbani” ( la rima lezione si è svolta il 25 maggio).

H 20 Cena Cus cus con verdure e ceci e, solo a richiesta, brodo di manzo. (E’ gradita la prenotazione su comunimappe@gmail.com) 


H 21 Film – Madre Terra – Documentario di Ermanno Olmi. 
(pedologìa s. f. [comp. di pedo-2 e –logia]. – La scienza del suolo e, più precisamente, del terreno agrario (detta anche geologia agraria), che indaga la formazione, la struttura fisica, la composizione chimica, il contenuto in sostanze umiche, le proprietà fisico-chimiche dei diversi terreni, etc. – dizionario Treccani)



—————————————

Approfondimenti:

Il  costituente  Dipartimento dell’Aria si concretizza nella ritrovata

relazione materiale di poesia, canto, filosofia e letterature minori

(delle forme ricreate del mutante vivente  o della spiritualità

laica).

Tempo fa in un’intervista radiofonica -mi pare radio Tre Cultura- a Stephen Jay Gould, noto paleontologo docente di zoologia e geologia di Harward, veniva posto la seguente domanda: “lei, come ricercatore e studioso  autorevole di evoluzioni biologiche della terra e dei suoi innumerevoli esseri viventi, potrebbe indicarci la percentuale attendibile di natura e di cultura di cui è composta la nostra specie Homo Sapiens?” Stephen J. Gould per nulla imbarazzato anzi divertito della domanda rispose in modo perentorio: “L’homo sapiens o noi umani siamo composti dell’indifferenziato 100% di natura e 100% di cultura.”


………………………………………..

Cattive notizie

“L’umanità è una specie connessa al resto della natura vivente per
orgine e per destino, nella salute e nella malattia. Gli esseri
viventi sono collegati fra loro, scrive David Quammen nel suo
splendido studio, anche dal legame naturale delle infezioni, cioè
delle interferenze di una specie nell’altra all’interno degli edifici
biofisici dell’ecosistema.  Gli agenti delle infezioni sono
microscopici (batteri, funghi, amebe) e ultramicroscopici (i virus).
La storia è stata influenzata da epidemie di peste, colera, vaiolo,
tbc, influenza, come quella del 1917-1919 con 50 milioni di vittime… le
malattie non virali sono controllate con medicine e misure igeniche.
L’assedio preoccupante è posto oggi dai virus. Sorti contemporanemente
ai primi esseri viventi i virus, sostengono molti biologi,
contenegono un archivio che sta circolando da miliardi di anni, con
effetti sorprendenti. La coevoluzione ha portato, ad esempio, ad un
mescolamento genetico in seguito al quale il nostro genoma è
costituito pe l’8% di materiale virale. C’è chi motteggia che i virus
nel corpo umano si trovano a casa. Le nostre difese sono poco efficaci. Il
libro di David Quammen è il resoconto di strategie virali e delle
recenti epidemie in uomini ed animali. Per il biologo Peter Medawar,
premio nobel per la medicina nel 1960, “i virus sono frammenti di
cattive notizie avvolti in una proteina.”  ..
Quali “cattive notizie”, per usare le parole di Peter Medawar,
dobbiamo aspettarci?
I microbiologi paventano un next big one, cioè una pandemia virale,
probabilmente di tipo influenzale, con un massacro di proporzioni
inaudite. Che cosa la farà scoppiare? Quando la crescita di una specie
acquista dimensioni innaturali, essa si arresta lentamente o per
crollo improvviso. Una volta superati i sei miliardi di persone,
ammonì tempo fa il biologo Edward  O.Wilson ci si avvicina
all’incompatibilità con l’ambiente. Da allora la popolazione è
cresciuta di un miliardo e continua a crescere di 70 milioni di
persone l’anno.  La massa umana supera di oltre 100 volte il volume di
qualunque altra specie vivente e vissuta. Essa è estesa e continua a
dilagare in tutti gli angoli della terra, sconvolgendo ecosistemi
remoti e antichi di millenni, costruendo strade, estirpando e
asfaltando boschi e foreste, usando a profusione concimi
tossici, inquinando laghi, mari, fiumi e torrenti; trivellando in terra
ed in mare. Una delle conseguenze della devastazione ambientale è
l’attivazione di batteri e virus fino ad ora silenti. Le dimensioni e
la velocità della crescita umana depongono a favore dell’arresto per
schianto. Come avverrà? Molti epidemiolghi ritengono che i dati
convergano a favore dell’ipotesi del next big one, cioè la riduzione
derastica della popolazione, sarà provocata da una pandemia
influenzale di virus-Rna, facilitata anche dalla rapidità dei
collegamenti fra regioni lontanissime. I virus potrebbero essere nuovi
per mutazione oppure essere vissuti in altri animali e attaccare per
zoonosi l’uomo per la prima volta,  trovandolo privo di difesa in un
ambiente divenuto sfavorevole per eccessi di abitanti. Anche se
quersta previsione non dovesse pienamente avverarsi, per miliardi di
esseri umani la vita potrebbe diventare un inferno.
Da David Quammen Spillover – Animal infections and the next human
pandemic – Norton & Co, New York – London, pagg.586.
Alla fine un virus-Rna ci seppellirà (da sole 24 ore di Arnaldo
Bennini -9/06/2013)



Memoria paleontologa

(tratto da Quarto rospo freudiano di S.J. Gould)

Ho avuto spesso occasione di citare un’acuta, quasi rammaricata
osservazione di Freud, riguardo al fatto che tutte le maggiori
rivoluzioni nella storia della scienza, fra molte diversità, hanno un
motivo comune: aver spodestato via via, un pilastro dopo l’altro,
l’arroganza umana dalle sue cosmiche certezze.
Freud riporta tre di questi casi presentandole come le tre
prinicipali ferite narcisiste di quell’essere arrogante e presuntuoso
che è “l’uomo delle certezze assolute”;
una volta credeva di vivere al centro dell’universo limitato, finché
Copernico, Galileo e Newton non gli hanno rivelato che la terra è un
minuscolo satellite di una stella di secondaria importanza.
(Solo Pascal, il poeta ed il filosofo,  si misurerà per tutta la vita
con questa ferita producendo delle acute riflessioni sullo spaesamento
e sulla perdita di senso dopo questa  perturbante scoperta).
Dopo di che questo presuntuoso ed arrogante essere umano tra i viventi
si è consolato immaginandosi che Dio, in realtà, avesse scelto questa
collocazione periferica per creare l’unico organismo a Sua immagine,
finché non è arrivato Darwin che “ci ha relegato a discendenti di un
mondo animale.”

Abbiamo quindi – di cui anche noi in parte – cercato sollievo nelle nostre
menti razionali finché,  come Freud nota in una delle affermazioni
meno modeste della storia delle idee, la psicologia  ha scoperto
l’inconscio (cioè ha rovesciato quel secolare paradigma cartesiano
– cogito ergo sum – penso quindi sono – con  un altro, se vogliamo, per
parafrasare il primo – sentio ergo sum);
l’osservazione di Freud è acuta, ma trascura molte altre importanti
rivoluzioni iconoclaste (non voglio criticarlo: ha soltanto  cercato
di spiegare un processo, non ha preteso di fornire un elenco
esauriente);  in particolare omette il contributo fondamentale dato
dai miei campi di studi, geologia e paleontologia: il contraltare
temporale alle scoperte di Copernico sullo spazio.
Intesa letteralmente, la storia biblica era veramente confortante:
una terra di pochi migliaia di anni su cui l’uomo (maschio), tranne
che per i primi cinque giorni, è l’essere dominante. La storia della terra
era un tutt’uno con la storia dell’uomo (maschio) e quindi perché non
pensare di essere fine e causa dell’universo?
Ma i paleontologi hanno poi scoperto il deep time (tempo profondo),
per citare la felice locuzione Mc Phee. La terra ha miliardi di anni e
la sua età va tanto indietro nel tempo quanto l’universo visibile si
estende nello spazio. Il tempo da solo,  non solleva minacce
freudiane.
Se la storia umana fosse durata per tutti questi miliardi di anni.
La nostra arroganza, in virtù della più lunga egemonia sul pianeta,
sarebbe aumentata.
La  rivoluzione iconoclasta freudiana è avvenuta quando i paleontologi
hanno rivelato che l’esistenza umana occupa soltanto l’ultimo
“micro-momento” dell’età del pianeta: un centimetro cosmico, un minuto
o due dell’anno cosmico.
Questa estrema riduzione dell’epoca dell’uomo ha posto un’ovvia
minaccia alla nostra presunzione, specialmente in rapporto alla
seconda rivoluzione freudiana, quella darwiniana. Tale limitazione ha
una banale conseguenza, e in genere le affermazioni banali sono
corrette (anche se molte delle rivoluzioni intellettuali più
affascinanti celebrano la sconfitta di interpretazioni apparentemente
ovvie);
se noi non siamo altro che un minuscolo ramoscello del rigoglioso
albero della vita e se il nostro ramoscello ha gemmato soltanto un
momento geologico fa, allora forse non siamo il prevedibile risultato
di un processo intrinsecamente progressivo (la decantata tendenza al
progresso della storia della vita); forse, nonostante le nostre glorie
e nostri talenti, siamo un effimero accidente cosmico che non si
verificherebbe di nuovo neppure se si piantasse l’albero della vita
dallo stesso seme e lo si facesse crescere nelle stesse condizioni.
In occasione del centenario, nel 1959, della nascita di Darwin, il
grande genetista H. J. Muller ha smorzato i festeggiamenti con una
relazione intitolata Cent’anni senza Darwin sono abbastanza?
Muller ha affrontato il fallimento della rivoluzione darwiniana da due
fronti opposti: da una parte, il creazionismo che continua a
persistere largamente nella cultura popolare americana e dall’altra la
limitata comprensione della selezione naturale tra le persone istruite
che pure sono convinte della veridicità dell’evoluzione.
 Sono certo però che il maggiore impedimento al completamento della
rivoluzione darwiniana sia qualcosa di più grave, che non riguarda gli
atteggiamenti opposti.
Freud aveva ragione nell’identificare la soppressione dell’arroganza
umana come risultato comune alle grandi rivoluzioni scientifiche.
In termini freudiani, la rivoluzione non sarà completata finché Gallup
non potrà trovare che una manciata di detrattori o finché la maggior
parte degli americani non sapranno dare una definizione di selezione
naturale.
La rivoluzione darwiniana non sarà completata fino a quando non
distruggeremo il monumento dell’arroganza e non acquisiremo piena
coscienza delle semplici implicazioni dell’evoluzione, la non
prevedibilità e l’assenza di direzionalità nella vita (progresso), e
quando prederemo sul serio la topologia darwiniana, riconoscendo che
l’Homo Sapiens, per recitare la litania un’altra volta, è un sottile
ramoscello, nato ieri, nell’albero che, se piantato di nuovo, non
produrrebbe le stesse ramificazioni a partire dal seme. Noi ci
aggrappiamo al fuscello del progresso perché  esso rappresenta per noi
la migliore possibilità di conservare l’arroganza in un mondo
evoluzionistico. Solo in questi termini riesco a capire perché un
argomento così improbabile e debole mantenga su di noi un ascendente
tanto potente.
Tratto da – Gli alberi non crescono fino al cielo – paragrafo: “Come
ingoiare il quarto rospo freudiano.”


LA GESTIONE DEGLI ORTI

Comune Accademia – Dipartimento della Terra  

&


Associazione Ortolani di via Erbosa Bologna.


Presentano:

Progetto Orti

1° fase – Orto e ortolani, esperienze e gestioni a confronto.



SABATO 25 Maggio – ore 15.30

Zona ortiva di via Erbosa Bologna (nei pressi di Arcoveggio, ingresso da via F.lli Cervi) 
    «L’orto curato dal Dipartimento si è popolato di piante ed ha prodotto un vasto cumulo di esperienze da avviare a confronto. Non mancano erbe spontanee che si rifiutano di cedere il passo alle ortolane, coccinelle e roditori notturni all’attacco predatorio attratti dal tenero fogliame. Tutti gli ortolani limitrofi hanno suggerimenti e soluzioni, alcuni non condivisibili perché veicolati dalle insane pratiche nate nel connubio tra industria chimica e agricoltura. Altre esperienze sono interessanti perché intraprendono un cammino a ritroso verso un risanato rapporto con la natura, perché arrivano da persone anziane con una lunga esperienza di coltivazioni o perché sono un portato dei nuovi cittadini, giunti da diverse parti del mondo con i loro metodi e le loro piante da orto.»

Di tutto questo ci occuperemo nel primo incontro/seminario organizzato agli orti di via Erbosa.

– Giulio (Ricercatore presso la Facoltà di Agraria, Università di Bologna) 
terrà una lezione sulla gestione degli orti.
– Paolo (Dipartimento della terra, insegnante e da sempre coltivatore appassionato) 
presenterà le linee generali del Progetto Orti e gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

Progetto Orti – APPROFONDIMENTI: 


Il Dipartimento della terra ha ipotizzato una serie di interventi che nei prossimi mesi punteranno a coordinare gli ortolani più sensibili al fine di adottare un comportamento coerente e compatibile con l’ambiente.
Le iniziative che vogliamo sviluppare vanno dalla coltivazione biologica alla pratica del compostaggio per ottenere fertilizzante utilizzando gli scarti vegetali e la parte organica derivante dalla preparazione dei pasti a casa. 
Chi possiede un orto lo fa funzionare anzitutto perché appassionato, consapevole di utilizzare il proprio tempo libero in maniera soddisfacente poiché la cura di un orto non può essere intesa in maniera meccanica. Noi, inserendoci in questo contesto culturale, opereremo per avviare esperimenti e attività didattiche e momenti di socialità.
ORTO – NATURA – ESISTENZA
In questo maggio dal clima variabile (clima cangiante), il sole stenta a conquistare la prima fila nello spettacolo del mondo. Le giornate ortolane sono fatte di alberi appena svegli, di prati verdissimi con un tappeto di margheritine bianche su cui dispiace camminare e poi quadrati d’orti dai colori variabili. Vi si trovano pomodori alle prime armi, piselli e fave carichi di baccelli dai gusci giovani, fragole, patate, carote e sedani. La mente vola verso insalatone multicolori e verdure grigliate. Odori, in vasto assortimento, circondano le siepi: basilico e prezzemolo, origano, finocchietto, salvia, menta; per dire solo delle più popolari.
La natura è proprio esagerata nelle sue manifestazioni estetiche, non si contiene e non bada a spese… e l’ironia sta proprio qui: nessun conteggio, niente calcoli in entrate e uscite, nessun debito o accredito. Tutto si tiene. Tutto sembra perfetto e immacolato. Eppure se ti concentri sul particolare, se osservi una comunità di formiche intenta a riaprire l’ingresso alla propria dimora dopo le alluvioni dei mesi scorsi, noti un vibrare di sforzi e una frenesia lavorativa inusitate. Allora ci si chiede se la formica sia “individuo” (o individua?); non si può fare a meno di pensare alla sofferenza, alle fatiche erculee a cui è sottoposta, pur sapendo che può sollevare oggetti superiori al proprio peso perché la natura ha fornito le formiche di un impianto dalle meccaniche perfette. 
Oramai coperte dall’erba fresca, cumuli di frasche marcite e foglie compresse sotto il peso della neve di febbraio fermentano attaccate dagli organismi decostruttori (termine che rende l’idea della necessità di costruire e del suo contrario); sovviene l’idea del ciclo chiuso: alla morte si contrappone la vita, alla fine di qualcosa un nuovo inizio. 
La natura sembra stare tutta dentro questa formula; una formula che, ci piaccia o no, non prende in considerazione l’individuo. Così per noi umani, riscattati dall’esserci accorti di possedere un io, resta sempre incompiuta l’aspirazione di poter vivere in armonia con la natura. 
A noi il compito di creare un percorso perfettibile, da riaggiustare ogni qualvolta ci accorgiamo di essere fuori strada, ma sempre incompleto, difettoso; ed è già un miracolo quando si trova un accordo sulle modalità per aggiustare l’itinerario.
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FOTO DI Salvatore Di Cara

COMUNE ACCADEMIA – DIPARTIMENTO DELLA TERRA


Nel costituire il Dipartimento della Terra abbiamo operato in piena sintonia con lo spirito dell’associazione Comunimappe. Nelle intenzioni sociali c’è al primo posto il voler intraprendere qualsiasi indirizzo del sapere umano in maniera critica. Numerosi sono gli ambiti che appartengono al sapere della terra. La terra è uno degli elementi fondamentali identificati fin dall’antichità per iniziare a fare ordine, a fare chiarezza nella nostra nebbia esistenziale. Partire dalla terra è dunque garanzia di scoperte utili in tutti i sensi, dalla naturale garanzia di sopravvivenza al benessere psico-fisico frutto della conoscenza degli organismi viventi nella loro complessità.

Dalla coltivazione di un orto non si ricavano solo ortaggi, vi si possono trovare in aggiunta alcune risposte a domande che per disabitudine non vengono più poste. Come ad esempio una riflessione sul tempo, oppure questo strano fenomeno del creare dal nulla (apparentemente) cioè vita dalla vita; ma la risposta più importante è quella che chiarisce il principio del ciclo chiuso, ovvero l’equilibrio che permette di ottenere un profitto senza intaccare il capitale basico: la terra appunto.

Per ogni operazione nell’orto c’è un tempo giusto. Un tempo dettato dalle stagioni e mediato dalla luna. Assomiglia ai mezzi di trasporto pubblico un tempo sì fatto, sapendo a che ora è la corsa si può partire senza problemi.

Da un semino minuscolo si ricavano pomodori a chili, come è possibile? Si direbbe una creazione dal nulla, una gran bella invenzione che fa ben sperare in un arricchimento facile. Molte le similitudini con la creazione di denaro dal nulla, una tecnica copiata dalla natura e stravolta dall’economia di rapina in cui siamo. Stampare banconote di carta è creare dal nulla, piantare un semino è in realtà avviare il ciclo della vita, dare la scintilla, inseminare la terra. I frutti ricavati (a differenza delle banconote o dei lingotti) vanno consumati, non possono essere nascosti per poi speculare sul loro valore.

Infine il ciclo chiuso è quello che vediamo in funzione nelle foreste vergini. Il terreno si fertilizza con la propria produzione, dentro la rotazione vita /morte. Un vero paradigma filosofico. La natura è il più attrezzato laboratorio chimico, una serie continua di combinazioni garantiscono che nessuno paghi per tutti e che tutti abbiano un vantaggio.

Come ogni Dipartimento che si rispetti anche quello della terra affianca a concetti teorici, filosofici, storici, antropologici, conoscenze pratiche scaturite dall’esperienza. Così finite le piogge invernali, con il primo sole, è stata risvegliata la terra. Cercando di non fare troppo rumore le abbiamo preparato un condotto digerente dove inserire gli scarti vegetali per mettere in pratica il ciclo del nutrimento reciproco. Abbiamo preso un fusto di plastica, lo abbiamo privato del fondo e lo abbiamo messo al centro dell’orto. Riempito di erbacce e scarti vegetali, inumidito e chiuso da un coperchio, il tubo digerente ha iniziato a chiamare gli agenti addetti alla decomposizione per indurli a dividere il tutto negli elementi costitutivi. Sono arrivati puntuali e lavorano incessantemente.
A partire da aprile ci si ritrova tutti i mercoledì e i sabato (dalle sedici in poi) nella zona ortiva di via Erbosa (vicino l’ippodromo). 
Non è richiesta la presenza costante, al nucleo che gestisce il progetto si può aderire in qualsiasi momento scrivendo a: 
comuneaccademia@gmail.com
(Nei post che seguiranno metteremo il programma dettagliato di ogni iniziativa, gli argomenti che porteremo all’attenzione dei soci e i progressi concreti dell’orto).
Nei tempi dei tempi abbiamo umanizzato la natura. Ci siamo distaccati, da lontano l’abbiamo osservato per meglio addomesticarla. Ci siamo liberati dal giogo delle sue energie studiando e ipotizzando formule. Ci siamo ribellati alle sue regole e ne abbiamo create delle nostre, di rimando imponendole anche a lei. Non è stato un processo rapido, anzi, quasi un conflitto tra generazioni, tra madri, padri, figli, popoli, etnie. Sono state fatte tante cose, come armonizzare i fianchi delle colline, prosciugare le acquitrinose pianure, penetrare e disboscare foreste nere; si è dato sfogo a quel bisogno che è laboriosità ma anche follia e iperattività.
Si chiama agricoltura si legge semina, fecondazione assistita, innesto di mucose vegetali, fertilità. Si declina in tutto ciò che produce buoni frutti. La terra chiama a viva voce, inesorabilmente con gravità ci riconduce sempre ad essa; a chi sa ascoltare concede cibo e quiete. Le sue forme sono collirio per gli occhi, i colori luce armonizzata; la qualità dell’aria rinnova i polmoni agevolando lo sforzo necessario. Coltivando la terra si finisce col parlare alle piante, scoprirsi a osservare il cielo e sollecitare piogge e sole. Non è mai uguale al giorno prima un campo; invisibili animaletti nottetempo dissolvono i propri antagonisti, e il vento sposta spore e foglie secche. Piantine d’ogni genere, dalla linfa che risale radici e fusto, traggono crescita.
Dip Ter