Nuove relazioni di genere

Comuni-mappe: Libera comune Università pluriversità Bolognina, presenta:

Nuove relazioni di genere:
crisi, violenza in forma sessista, misogena ed omofoba
per una educazione alle emozioni
e per un soluzione non violenta dei conflitti interpersonali e sociali.
Accompagnamento e cura in primis delle donne violate e matrattate e degli omosessuali e delle lesbiche oggetto di pregiudizio e violenze,
ed in fine accompagnamento e progetti e di cura dei maltrattanti detenuti verso una rigenerazione personale e integrazione sociale.


 
 
Ricerc-azione-cambiamento attraverso
un seminario semestrale e lezioni interattive


 

 
 
Relator*:
Dott. Giuseppe Battaglia Vice-Presidente Istituto Psicoanalitico di orientamento culturale -Fromm -Bologna
 
Dott.ssa Giuditta Creazzo ricercatrice ed autrice di analisi su confilitti di genere e progetti con casa delle donne per protezione e cura delle donne maltrattate e progetti con “maschile plurale” di cura e accompagnamento dei maltrattanti detenuti con politiche sociali ed educative antisessiste ed antiomofobe.
 
Dott.ssa Gabri Covri -della Comune Accademia -Comuni-Mappe -filosofa critica e ricercatrice su : L’amore nella filosofia
 
Dott. Pino de March della Comune Accademia – Comuni-mappe – filosofo critico e ricercatore su: psico-analisi esistenziali, approcci psico-corporei e nuove neuroscienze sociali.
 
 
 
I SEMINARI E LE LEZIONI INTERATTIVE SI SVOLGERANNO PRESSO:
 
– HUB – VIA SERRA 2/F (BOLOGNINA)

VENERDI’ 19 DICEMBRE 2014
dalle 18 alle 20
 
LE VARIE FORME DEL NARCISMO SOCIALE TRA SANE ESTENSIONE DELL’IO AL SE’
E INSANE RESTRIZIONE DEL PROPRIO IO. (2° parte)
Dott. Giuseppe Battaglia
psiconalista e vice-direttore dell’Isituto Fromm di Bologna
 
(approfondimenti in calce)
Prossimi appuntamenti:

Lezioni 2015
1° lezione
16 gennaio 2015
mutazioni e dilatazioni dei generi in forme singolari e plurali
con Renato Busarello
antagonismo gay-cassero di santo stefano
2° lezione
23 gennaio 2015
nuovi ambiti di comunità
per una riflessione sui beni comuni
Zanchetta-del gruppo camminandodomandando
3° lezione
6 febbraio 2015
relazioni erotiche, conflittuali e complesse tra generi
Agnese Solo -sex-shop-

4° lezioni
13 febbraio 2015
Donne Maltrattate e Uomini Maltrattanti
Forme possibili di autodifesa sociale contro la diffusa violenza maschile e per altre forme di relazione tra generi:
– come prendersi cura delle donne maltrattate

– come ritrovare nuove forme di aggregazione maschile e di auto-coscienza 
– come contrastare atteggiamenti di complicità maschile
– come reinserire i maltrattanti in una società mutata.

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Eventi già realizzati:

VENERDI’ 28 NOVEMBRE 2014
dalle 18 alle 20
 
NARCISISMO E RELATIVE PSICOPATOLOGIE SOCIALI (1° parte)
Dott. Giuseppe Battaglia
 
VENERDI’ 5 DICEMBRE 2014
dalle 18 alle 20
 
LE TRE FERITE NARCISISTICHE E LA CRISI DELL’UMANESIMO E DELL’ANTROPOCENTRISMO
Dott. Pino de March
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Approfondimenti:
 
LE VARIE FORME DEL NARCISMO SOCIALE
Introduzione
“L’enorme cambiamento nell’atteggiamento della psicoanalisi verso il narcisismo, avvenuto grosso modo a partire dal 1970 non restringe più la normalità al superamento del narcisismo primario(*) bollando come patologia la sua persistenza [….]
Il narcisismo è oggi considerato da molti come qualcosa che dura tutta la vita e che può assumere modalità sane o patologiche a seconda delle situazioni.”
tratto da autori vari: A. Samuels, B.Shorter, F.Plaut, Dizionario di Psicologia analitica, Cortina, Milano,1987, p.100.
(*)
“narcisismo primario: è concepito come uno stadio intermedio tra -autoerotismo e -alloerotismo, in cui il bambino investe tutta la sua libido su se stesso prima di rivolgerla agli oggetti esterni. Rispetto
all’autoerotismo, dove ciascuna pulsione cerca il proprio appagamento legato al funzionamento di un organo, nel narcisismo primario l’appagamento è ancora autoerotico, ma con riferimento ad un’immagine unificata del proprio corpo o ad un primo abbozzo dell’Io. “
tratto dalle Garzantine -Psicologia – p.676, curata da Umberto Galimberti.
E’ merito di psiconanalisti non ortodossi come Fromm e Marcuse , o non allineati come Kohut o altre donne Psicoanaliste critche come Melain Klein se si comincia a intravvedere e lasciar emergere un dissidente narcisismo- affermativo di sè in relazione creativa con altri sè (peer to peer-tra pari, senza padri).
“il narcisismo marcusiano come legame col tutto, anzichè come separatezza, come possibilità creativa, artistica, panteistica, anzichè come morboso solipsismo, ha oggi varcato la soglia dell’ortodossia psicoanaltica in una data carica d’implicazioni.”
tratto da Klaus Strzyz , Narcisismo e socializzazione, trasformazione sociale ed il mutamento di dati
caratteriali, Feltrinelli, Milano 1981.
Negli anni sessanta e settanta “l’aleatorietà dei rapporti oggettuali e l’incremento di aspettative magiche nel doppio aspetto di dipendenza e diffidenza rispetto allo Stato ha universalizzato i processi narcisistici in parallelo alle nuove forme di produzione e consumo, la psicoanalisi non poteva che allargare i limiti della liceità dell’investimento libidico su se stessi come unica alternativa ad allinearsi su ipotesi di maggioranze devianti”:
Tratto da Heinz Kohut, narcisismo ed analisi di sè, Boringhieri, Torino,1976. e la guarigione del sè, Boringhieri,Torino 1980
“Ma questo nuovo narcisismo è poi così lontano da un auto-investimento dell’io, l’auto-legittimazione, da (di) tutte le forme di pensiero ed organizzazione che rimandano a auto-valutazione, auto-orgnaizzazione, auto-determinazioni, auto-regolazioni, auto-coscienza, che negano poteri di investitura a leggi esterne codificate in rappresentanza della totalizzazione del potere Statale?
Come se impercettibilmente il termine auto’ …., da negativo stesse virando al positivo, nelle accezioni che abbiamo già visto, come il ‘ sii assolutamente fedele a te stesso’ , della controcultura, che sostituisce la negatività esclusiva di ‘autoerotico’, ‘autistico’, ‘autarchico’ ecc.
In collegamento alla rivalutazione del narcisismo altri grossi fenomeni iniziati negli anni precedenti, hanno raggiunto uno sviluppo impensabile, come la psicoterapia delle psicosi che ha strappato queste affezioni da vecchie definizioni come ‘nevrosi narcisistiche’ che, insieme al narcisismo primario, le inchidavano inesorabilmente all’incurabilità, per impossibilità del transfert. Le difficoltà del rapporto terapeutico con la follia sono così passate da lei a noi, alle difficoltà ad accettare proprio l’eccesso di investimenti trasferali, a condividerne l’inriducibilità e l’eversività, la fusione dei contrari come infinita felicità e terrore infinito che sembrano sgorgare senza freni, senso immediato, sommergendo l’io, il rapporto terapeutico. Ma perchè questi processi diventassero capacità di rapporto l’accento si è dovuto spostare dai padri alle madri, su tragitti spesso ostacolati proprio dal patriacalismo dell’ortodossia, e favoriti invece dal lavoro di numerose analiste.”(1)
Freud aveva soppresso la distinzione tra autoerotismo e narcisismo perchè colloca il narcisismo primario ad uno stadio della vita, antecedente alla costituzione dell’Io, il cui modello è la vita intrauterina caratterizzata dalla relativa assenza relazioni oggettuali. Questa considerazione è stata rifiutata daMelain Klein inzitutto perchè il narcisismo come relazione con la propria immagine non può essere pensato in un contesto assolutamente privo di relazioni, e in secondo luogo perché anche il neonato esperisce relazioni oggettuali d’amore e di odio.
“Da qui la rivalutazione dell’empatia, la definizione dei border-line, gli stati intermedi, da accogliere nella terapia empaticamente come madri per poter accedere poi all’uso discriminante, paterno, dell’interpretazione, proprio come per le psicosi, anche se con tecniche diverse. Da qui lo spostarsi dell’accento dall’Io al Sè, pe includere più profondamente gli affetti, l’allargarsi di concetti. Se l’ empatia ci parla di contaminazioni, accoglimento magico, preverbale dell’altro attraverso l’immagine di se stessi, la riscoperta delle madri, l’importanza della simbiosi, allude all’incesto.-
E l’incesto ci porta a Tebe, a Edipo ….
Incesto che la nostra cultura teme come la morte, la regressione, il riassorbimento che rimanda all’indistinto, l’indifferenziazione, il divoramento come antagonista della continuità dll’Io. Incesto come contrapposizione ai nostri valori, al nostro Io allora. Certo, ma al nostro Io, ai nostri valori storici. E l’io matriarcale? (1)
[…….]
Per cui la paura dell’incesto è solo il prodotto del principio patriarcale che deve negare il ritorno al grembo, alla indifferenziazione del non vissuto, dell’inconscio, come perdita di sè e follia. Di questo ci parla Edipo, molto di più che del conflitto col padre. Per questo è stato assunto in cielo, come altri ero, e poi Maria nell’Olimpo cristiano, ma cieco, depotenziato, chiuso nella sua interiorità, colto esclusivamente come regressione, condannato solo a vedere narcisisticamente se stesso senza più vedere il mondo, ma costretto, proprio per questo anche a delegittimarsi. Cieco e depotenziato, dicevo, assunto in cielo per neutralizzare contrari minacciosi e antagonisti, divinizzandoli a patto di snaturarli, come Dioniso….(1)
[…]
Anche Antigone, figlia di Edipo, sangue di Labdacidi è di questo segno, minacciosa. Ma per lei il cielo resta vuoto, non ci sono dei che la proteggono, che la redimono anche a patto di trasfigurarla, sfigurala. Proprio per questo Antigone ritorna secolo dopo secolo: lo spettro dell’eticità della disubbedienza che perseguita l’eticità dello Stato. (1)
[….]
il narcisitico antigonico ‘non tradire te stesso’che dalla controcultura investe il pacifismo e utti gli aspetti non violenti della contestazione ha la stessa base, nucleo,matrice sucui l’estrema irriducibiole opposizione al sistema, allo Stato ha costruito la sua eticità.
[….]
 
E per questo senza togliere nulla alla condanna politica del terrorismo che non può essere che definitiva, perentoria, inequivocabile, per la violenza, il sangue versato, per le distorsioni a cui ha obbiligato l’opposizione al sistema, per l’arroganza di agire in nome delle masse
(qui il narcismo sano come autodeterminazione ed estensione del sè -sfera dei bisogni e dei desideri – diventa narcismo insano di un io egoico -trofo totalizzante- che soffoca ogni possibile affermazione di un sè aperto e cooperante con altri sè in rivolta contro l’interdetto -liberato dalle varie forme di oppressione dall’interno e dall’esterno.)
Ma la condanna politica e comprensione psicologica non sono dello stesso registro. (1)
[…]
Antigone è la continuazione della opposizone cosciente (della perdente ) perchè incarnandosi in una donna rende esplicita, senza maschera la sostanza della violenza che la sovrasta. Il cielo per lei è vuoto perchè nessun dio vuole diffendere la sacralità del suo diritto a seppellire il fratello(terrorista) , perchè gli dei sono tutti, ormai, omologhi alla legge scritta che la condanna. Non ci sono diritti per i vinti. Per questo il suo gesto di testimonianza senza trasfigurazioni: non può esserci pietà per lei come non ce ne stata in migliaia di anni per le madri, le donne uccise.(1)
[..[]
Solo un sistema globale di auto-determinazioni individualmente e universalmente responsabili, liberato per sempre dalla penuria e dai suoi perversi esiti psicologici e normativi, che non necessiti più della violenza della sanzione come unica alternativa all’auto-esclusione perchè in grado di gestire contrattualmente tutte le contraddizioni, non farebbe più tornare la figlia di Edipo. (1)
(1) frammenti tratti da Paolo Trachina, la rinascita delle dee, pp.209-214 -edizioni Metis-1991.
Presentazione a cura di Pino de March, docente e ricercatore della Comune Accademia -Comuni-mappe-
 
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Breve presentazione prime lezioni interattive:
 
LE TRE FERITE NARCISISTE E LA CRISI DELL’UMANESIMO ED ANTRO-POCENTRISMO           

Relaziona Pino de MARCH della Comune Accademia 
– Libera Comune Università Pluriversità Bolognina

“…Freud ha visto bene le implicazioni di questo portare l’inconscio in primo piano quando ha parlato delle tre grandi ferite narcisistiche che il pensiero moderno ha arrecato agli uomini. La prima ferita narcisistica è stata quella inflitta da Copernico: l’uomo non è più al centro dell’universo perché la Terra è semplicemente un pianeta che gira intorno al sole insieme ad altri pianeti; la seconda ferita è stata quella provocata da Darwin, che ha mostrato come l’uomo non sia una creatura che viene direttamente da Dio, ma piuttosto un animale che viene da una filiera biologica, da cui si differenzia per via evolutiva; la terza è che la coscienza non è la sovrana assoluta che voleva la tradizione – e in fondo anche quando noi guardiamo noi stessi, magari per giustificarci, ci rendiamo conto che le cose non stanno così, che c’è tanto di non conosciuto che ci determina e ci guida.”
Umberto Galimberti in Freud, Jung e la psicoanalisi
 

La lezione interattiva – le tre ferite narcisiste e la crisi dell’umanesimo e antropocentrismo- verterà su  un frammento delle lezioni di Sigmund Freud , “effettivamente tenute all’università di Vienna, come professor extraordinarius, tra il 1915-17 (Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse)  (leioni di introduzione alla Psicoanalisi).

Il frammento che sarà oggetto di commento è tratto dalla 18  lezione, parla della scoperta dell’inconscio e racconta di come lui e l’amico psichiatra dinamico(* ) Breuer arrivarono ad essa  attraversando l’isteria delle loro pazienti. Freud e Breur avviarono così il definitivo declino dell’umanesimo e dell’antropocentrismo dominanti, enunciando le tre storiche ferite narcisiste inferte dalla modernità e dalla scienza emergente all’uomo. Per uomo s’intende il maschio prima che la femmina, visto che le donne erano le vittime insconscie del suo dominio patriarcale incotrastato; tra le altre cose le stesse donne pazienti  saranno l’oggetto di un’infintà di terapie (dalla caccia alle streghe degli inquisitori ad una  certa psichiatria ipnotista e organicista. 
Bertha Pappenhein, era tra le  più note pazienti di Freud-Breuer celata sotto lo pseudonimo Anna O (il modo con cui venivano nominati i casi clinici).  
 
(*)Dinamici erano chiamati i medici-psichiatri della fine dell’ottocento  che abbandonavano la  settecentesca pineliana(Pinel è lo psichatra illuminista francese iniziatore della psichiatria determinsta-organicista) visione determinista della malattia mentale spiegata sulla base di una relazione di (causa-effetto) e  anche di quella  organicista  la quale associava ogni malattia del corpo alla patologia di un organo, allo stesso modo le malattie mentali venivano correlate alla patologia del sistema nervoso;  questi psichiatri  dinamici cominciavano ad intuire che i sintomi della cosidetta malattia metale non era associabile per causa ed effetto ad un organo di riferimento ammalato come poteva essere  inteso in quel tempo il cervello ma piuttosto  che  tali sofferenze dipendevano  da una afflizione psichica  o da dinamiche relazionali patogne familiari.
 
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NARCISISMO E RELATIVE PSICOPATOLOGIE SOCIALI
 
ERICH FROMM, da: PSICOANALISI DELL’AMORE , 1964.
A cura del Dottor. Giuseppe Battaglia.
Fromm afferma che: “ la fonte dell’irrazionalità e del male, non è nell’uomo ma nella società, in specie quella contemporanea”. Mette in rilievo tre fenomeni che formano l’aspetto più deviato e pericoloso della vita dell’uomo: “amore per la morte (necrofilia), narcisismo maligno e fissazione simbiotica”. Quest’orientamento, produce la “sindrome narcisistica di decadimento”, che spinge a distruggere per amore della distruzione e ad odiare per odiare, riducendo la coscienza al silenzio. Tutte le forme di autoritarismo in misura diversa, creano dipendenza e rientrano nella “sindrome di decadimento”, all’opposto vi è la “sindrome di crescita”, che promuove l’amore per la vita contro la morte, l’amore per l’uomo contro il narcisismo maligno, la ricerca di indipendenza contro la fissazione simbiotica e l’idolatria. La “sindrome di crescita”, promuove l’essere creativo, lo sviluppo e la democrazia.
Nel narcisista, esistono solo esperienze emotive soggettive, essi non reagiscono realisticamente al mondo esterno come succede nell’illusione paranoica. Paure e sospetti soggettivi nel paranoico si oggettivizzano nel mondo esterno, in tal modo si convince che gli altri sono dei cospiratori contro di lui e allora si predispone alla guerra. La differenza fra paranoico e nevrotico è data dal fatto che il nevrotico, ha paura di essere odiato e perseguitato e lo sa, per il paranoico, tutto ciò è verità, la paranoia è diventata un modello di funzionamento. Esempi storici di personalità narcisistiche collocabili nell’ambito della follia che hanno raggiunto un potere straordinario, sono stati: i faraoni d’Egitto, i cesari di Roma, Hitler, Stalin, ecc. Questi, convinti di essere Dei, hanno esercitato un immenso potere fondato sulla morte, Fromm direbbe che questi erano affetti dalla sindrome di decadimento maligno.
 
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TASSE DEBITI E ALTRE AMENITA’

Perché si pagano le tasse? Esiste una relazione tra tasse e debiti? A queste domande dare una risposta semplice è impossibile. Tante strade si aprono appena si prova a riflettere.
Le tasse si pagano perché in cambio si hanno dei servizi; così viene spiegata comunemente la questione. Con le tasse però si paga anche il debito pubblico, anzi, con l’aria che tira ai nostri giorni la tendenza è quella di pagare prima il debito e poi con le rimanenze far fronte ai servizi. E siccome di soldi c’è ne sono sempre meno, i servizi come istruzione e sanità si riducono qualitativamente. Di questo passo, se la logica ha ancora cittadinanza, e considerando l’accettazione supina della classe dirigente del concetto di debito composto o anatocismo, il destino già segnato è il fallimento sociale. 
Vediamo di dare uno sguardo alle nostre spalle. Nelle città stato dell’antichità si poteva finire facilmente schiavi per debiti. Da uomini liberi a schiavi il passo avveniva perché un individuo incominciava a non avere più la capacità di rimborsare il proprio debito. Ad esempio, un contadino poteva essere costretto da un’annata difficile a chiedere un prestito, se negli anni successivi aveva messi ricche, tutto si risolveva, ma se per qualche motivo si presentavano altre annate dannate dalla siccità, allora era facile entrare nel circuito infernale dei debiti insoluti che aumentano inesorabilmente. Lo stesso può dirsi di un commerciante o di un possidente che per vari motivi si trova in difficoltà e costretto a chiedere un prestito. Tutto ciò, se reiterato e generalizzato per un gran numero di cittadini, poteva portare alla dissoluzione di quella società. Infatti il contadino che si vedeva in difficoltà, difronte alla prospettiva di finire schiavo, preferiva smettere di coltivare, abbandonare in tempo il suo terreno e darsi alla macchia, magari affiliandosi a qualche banda che scorrazzava nelle aree impervie o nelle foreste, la conseguenza era che aumentavano i campi incolti. Il passaggio dalla civiltà alla barbarie in questo caso, se la faccenda dei debiti diventava generalizzata, era inevitabile. Aumentando il numero di cittadini che finivano schiavi e incrementandosi il numero di bande dedite al delitto e alla rapina, non poteva che aversi il disfacimento di quello che con molta fantasia è stato chiamato “contratto sociale”. La soluzione era quella di “metterci una pietra sopra”; periodicamente i debiti dei privati venivano azzerati, così molti briganti per necessità potevano tornare alle loro campagne e coltivarle, con il vantaggio per la collettività e la sola perdita di un singolo usuraio.

Nel passato, rimaniamo sul generico e ipotizziamo solo un’epoca grosso modo contemporanea alla storia di Roma (700 a.c. – 400 d.c.), per costituire e mantenere un esercito vi erano enormi difficoltà. Per potersi permettere un esercito, cioè avere a disposizione ad esempio ventimila uomini armati, ad un monarca era necessario destinare almeno altrettanti occupati al loro mantenimento. Diversamente un esercito poteva ripagarsi e dunque riprodursi con il diritto di saccheggio concesso a loro da chi li assoldava. Ma il saccheggio, a parte le violenze e gli stupri e l’immediato banchetto successivo alla battaglia, voleva dire portarsi dietro animali e cose piuttosto ingombranti; a meno che non si trattasse di metalli ed oggetti preziosi. Vi era un modo molto semplice per ovviare a queste difficoltà: pagare un esercito di mercenari direttamente con una moneta con il conio del re. Il sistema trovava il suo equilibrio nel momento che quest’ultimo accettava la moneta come modalità per pagare le tasse; questo permetteva al re di stipendiare l’esercito che a sua volta poteva rifornirsi tranquillamente e senza altre questioni logistiche di tutto il necessario dalla popolazione. Cosa ci dice questo? Che emettendo una moneta e accettandola come pagamento delle tasse era possibile costituire un esercito. La forma primordiale dello stato si completava in un potere in mano a pochi, un esercito e un territorio sottoposto all’autorità (ma anche alla protezione). Inoltre, e non è secondario, si avviava una forma di mercato, dove tutti, e non solo gli stipendiati militari, si scambiavano merci e servizi con la stessa moneta circolante. Forse il re non aveva pensato a questa seconda conseguenza, ma ciò non significa nulla. Le faccende che noi consideriamo storiche, in fondo, sembra che siano frutto di un misto di casualità e contingenza; si mischia sempre, nelle dinamiche umane, un poco di caos con la determinazione di qualcuno. Quello che poi avviene a volte è prevedibile, a volte no.
Supponiamo che in un territorio vi sia uno stato un tantino assente (tanto per rendere più credibile il tutto immaginiamo un’isola di forma triangolare) dove alcuni, che si sono costituiti in gruppo e sono disposti ad usare la forza, impongano il pagamento di un pizzo. Questi signori del pizzo, con la ricchezza accumulata dovranno pur fare qualcosa, anche se inizieranno con il migliorare la propria qualità della vita, facendosi costruire piscine e carrozze, avranno comunque redistribuito quanto estorto alla collettività ad artigiani e portatori d’acqua. Avranno inoltre questi signori la necessità di reperire gli artigiani competenti se non ci sono in loco. Forse dovranno mandare i loro figli a studiare, per poi erigere scuole dove formare quelli che dovranno costruire gli oggetti e quanto serve perché sia resa la loro esistenza gradevole. In tutti questi casi avranno comunque stimolato la nascita di un mercato, avranno acceso il motore che strapperà dalla tendenziale inerzia gli individui. 
Può sembrare questo un discorso che legittima le associazioni malavitose e sminuisce l’autonoma capacità degli individui di intraprendere iniziative che migliorino se stessi e la collettività. Oppure si può cogliere in quanto detto una sorta di genesi, un possibile inizio di una qualsiasi entità statuale. In questo caso dovrebbe dedursi che gli stati possono anche nascere a partire da un gruppo malavitoso. Vi è pure un’altra faccia della medaglia:  i soldi accumulati col pizzo potranno essere dati in prestito; la forza del gruppo, la possibilità di riscuotere il debito in ogni caso, renderà facile avere il prestito perché a garantire non ci sarà la solvibilità del soggetto ma la certezza di poter disporre della sua vita se necessario. Comunemente ai giorni nostri questo si chiama strozzinaggio, ma il confine tra prestiti “legali” e prestiti “strozzini” non sempre è segnato in maniera netta. E siccome non tutti saranno insolventi o per contro non si potranno uccidere tutti i debitori, bisognerà prima o dopo far girare la ruota e rimettere in piedi un nuovo stato, oppure un esercito o stabilire delle regole per evitare di scivolare nel caos; questa ultima ipotesi oggi, in cui tutto ha dimensione planetaria e non più locale, significherebbe l’auto-distruzione dell’umanità, il suo dissolvimento, anche se individualmente nessuno lo vuole.
Esiste un legame indissolubile tra tasse, debiti, stato e regole condivise. Quando questi elementi incominciano ad avere valori incompatibili o muore la società che li ospita o essi elementi andranno ridefiniti. Una faccenda facile a dirsi ma complessa in misura della complessità in cui si aggroviglia la società.
Paolo Bosco
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P.S. questo articolo è stato scritto grazie ad un debito contratto dall’autore con un libro di David Graeber, Debito, ed. italiana Il Saggiatore. Inoltre piccole quote di debito si possono far risalire a qualche insegnate dei tempi andati, ad altri libri letti, alle discussioni tra adulti ascoltate negli anni dell’adolescenza etc. etc. – Esistono debiti estinguibili, altri, come quelli che costituiscono il nostro bagaglio culturale, non è possibile ripagarli. Essi ci suggeriscono semmai di essere a nostra volta generosi verso gli atri. A dispetto di chi pensa che le relazioni siano delle transazioni contabili, che tutto sia misurabile ed anche che esista una reciprocità perfetta.
IMMAGINE TRATTA DA http://nickcernak.com/2011/10/27/occupy-inspired-art-posters/

IL GIOCO DEL MONOPOLI E QUELLO DELLA REALTA’

                                                                       
Tutti conoscono il gioco del Monopoli, gioco ritenuto con qualche approssimazione ispirato alle regole del capitalismo. Ma definire cosa sia il capitalismo non è cosa semplice, forse è possibile sintetizzarlo nella formula denaro – merce – denaro, il che vuol dire che comprando una merce col mio denaro ne ricavo una quantità maggiore nel momento in cui rivendo quella merce. C’è però un’altra questione affine al capitalismo: il denaro che produce altro denaro, cioè la speculazione, cioè guadagnare il diritto di comprarsi da vivere senza lavorare (a meno che speculare venga considerato un lavoro). Ma di questo parleremo tra poco.

Tornando al gioco del Monopoli e alla sua relazione con il capitalismo salta subito agli occhi una considerazione,  la quale è di una ovvietà tale che assomiglia a quelle evidenze talmente plateali da non essere riconoscibili (come una mosca fatica a capire di essere sul dorso di un elefante quando si posa su di esso), l’evidenza è questa: vince a Monopoli chi manda in rovina tutti gli altri giocatori, vince chi possiede tutto. Ma nel momento che possiede tutto un solo giocatore finisce il gioco. Così è presumibile che il gioco del capitalismo finirà quando un solo mega super riccone, o una famiglia, o una corporazione manderà tutti gli altri in rovina avendo acquistato tutto. Bisogna però aggiungere che per attenuare questo fenomeno (che altrimenti si sarebbe forse già realizzato) chi ha vinto molto, per evitare la fine del gioco, presta il suo capitale in cambio di un interesse agli altri giocatori – denaro che produce altro denaro – rimandando la fine a un tempo indeterminato.
Il Monopoli sembra che abbia radici che prendono linfa da più sperimentazioni di singoli individui ma le basi del gioco si rifanno alla teoria economica di Henry George, il così detto georgismo. Questa teoria parte dalla considerazione che tutto quello che si trova in natura (terra e beni immobili creati nel tempo) appartiene all’intera umanità, mentre il frutto del lavoro individuale appartiene al lavoratore. Da qui l’idea che il prelievo fiscale dovrebbe avvenire su chi ha in uso o in comodato beni naturali, mentre il lavoro dovrebbe essere privo di tassazione. Infatti nel Monopoli si versa ad ogni giro una tassa su quanto posseduto.

Ma adesso lasciamo il gioco e affrontiamo la realtà, a partire da quella storica. Nei secoli i beni naturali sono stati oggetto di appropriazione, di accaparramento, di privatizzazione. E ad esse sono seguite guerre per difendere o appropriarsi di quanto altri avevano conquistato. Con la stabilizzazione della proprietà privata (epoca della borghesia) si è passati a ritenere quest’ultima come un dato naturale e la sua regolamentazione attraverso le leggi come la soluzione a tutti i mali. Anche la nascita degli stati nazionali segue la stessa logica, ed anche la costituzione dei catasti per avere una certezza sui possedimenti e sui possessori. 
Il capitalismo prende piede da questi processi, tra la razionalizzazione analitica dei processi produttivi (grazie anche alle scoperte tecnologiche), facendo evolvere il lavoro artigianale in lavoro operaio guidato da un imprenditore, e il loro utilizzo per generare ricchezza: l’economia reale ad uso della speculazione finanziaria.
Una domanda sempre valida è la seguente: a cosa serve la finanza e la speculazione? A cui si può rispondere in molti modi, astrusi se derivano da addetti ai lavori, semplici se ricercate nell’osservare le vicende e i fatti. Il mondo finanziario è nato con la costituzione delle assicurazioni, cioè la possibilità di assicurare un bene contro la sua perdita accidentale. Già i veneziani, per evitare le rovine che potevano avvenire dalla perdita di una nave carica di spezie provenienti da oriente, avevano inventato lo stratagemma di assicurare la nave. Conveniva a tutti i mercanti pagare una cifra per ogni carico e non rischiare la perdita di un intero carico anche una sola volta, evento che significava la rovina della propria impresa commerciale. Ugualmente gli artigiani che lavoravano i metalli preziosi (siamo sempre verso la fine del medioevo) si erano trasformati in depositari delle ricchezze di coloro che temevano a lasciarli incustoditi nelle loro abitazioni. In entrambe i casi abbiamo un accantonamento di risorse, un patrimonio che certamente dispiaceva lasciare inoperante e che smuoveva grossi appetiti. Lo stratagemma appena descritto era nato per garantire tutti senza distinzione, come la creazione dei magazzini per accantonare le scorte alimentari nelle società precedenti i Grandi Imperi, era utile per superare senza gravi conseguenze i periodi di carestia.
Questo è il solo utile scopo che giustifica l’esistenza del mondo della finanza. Ed è talmente prezioso che ha fatto gola a coloro che delle risorse finanziarie erano grandi detentori. Un tale sistema per la sua natura sociale dovrebbe essere controllato dal pubblico, poiché è l’equivalente di un potente strumento tecnologico, simile a una bomba atomica, che se dato in mano ai privati può essere usata contro l’umanità. Purtroppo da sempre in mano ai privati, lo strumento finanziario è il principe dei sistemi per sfruttare e governare in maniera assoggettante le popolazioni. Il controllo dei magazzini determinò la nascita di una casta di privilegiati e la figura del re/imperatore; il controllo della finanza e la speculazione, tramite grandi masse di ricchezza monetaria (compresa la moneta virtuale), ha creato la grande borghesia e le ristrette famiglie di potentissimi banchieri. 
La leva finanziaria ha la capacità di stimolare l’economia reale (come una sniffata di anfetamina) ma esagerando si cade nella dipendenza; il che vuol dire nella possibilità di fluttuare tra un up e un down, che è l’andamento tipico delle crisi a cui siamo abituati. Se la leva della finanza fosse sotto il controllo pubblico si potrebbe evitare questo alternarsi di alti e bassi dell’economia, poiché non ci sarebbe nessuna necessità di speculare. Infatti la speculazione serve per trasferire nei momenti “down” ingenti ricchezze dalle mani di tanti a quelle dei pochi speculatori. Ma il controllo pubblico non è di per se una panacea, specie se il pubblico poi equivale ad un controllo di gruppi ristretti e di massonerie che dietro le quinte muovono le pedine e gestiscono concretamente la macchina statale. Il pubblico significa bene supremo, in quanto appartiene a tutti, e perciò dovrebbe essere circondato da una considerazione sociale di altissimo profilo. Il pubblico non significa una cosa che, non essendo di nessuno nello specifico, è a disposizione del primo prepotente approfittatore. Il pubblico dovrebbe essere curato e gestito in maniera controllata e diretta dal basso, come la più sofisticata strategia democratica. Dovrebbe essere preservato da ogni appetito privato, coscienti che appartiene all’umanità nel suo insieme, passata, presente e futura, e non di volta in volta al rapace di turno. La gestione del pubblico è oggi la misura del grado di democrazia raggiunto e di quello che si vuole raggiungere. 

Non ci deve essere posto per il mercato quando si tratta dei beni comuni fondamentali alla vita di tutti, quando rappresenta la garanzia per la dignitosa sopravvivenza di una umanità sempre più in pericolo di estinzione o, nel caso migliore, a rischio di guerre e carestie per la pressante crisi ambientale dentro cui ci troviamo.

fonte foto:  http://www.oltrelacoltre.com/public/uploads/2013/05/borse-giu.jpg

Paolo Bosco

METTIAMO IN MOTO LA ZUCCA



Mettiamo in moto la zucca potrebbe essere una raccomandazione, il consiglio dato da un padre o una madre, il senso comune portato a sistema per auto-governarsi.

Mettiamo in moto la zucca è un libero comitato nato a Bologna, nel quartiere Bolognina, promosso da un gruppo di genitori preoccupati del cattivo stato del parco della Zucca.

L’inizio di questa storia assomiglia a tanti altri casi simili: prima di tutto appare la parola degrado.

Il parco, come purtroppo avviene in tanti altri luoghi pubblici, rischiava il degrado a causa della scarsa manutenzione; nonostante fosse il luogo dove tanti bambini e genitori vi passano le ore pomeridiane diventava gradualmente meno sicuro. Il taglio alla spesa pubblica riducendo gli interventi rischiava di lasciare questo, come tanti altri luoghi della città, in balia del caso e privo di progettualità. Ad aggravare la situazione la crisi economica e la disoccupazione crescente che colpisce le fasce più deboli e gli immigrati.

Se un parco tende a degradarsi per motivi economici e sociali cosa si può fare per cambiare rotta? 

Alcuni chiederanno più controlli, più polizia. Appello all’apparenza ragionevole. Ma è possibile per qualsiasi amministrazione pubblica soddisfare questa richiesta? E soprattutto, è possibile militarizzare per dare più sicurezza? A guardare negli archivi della ragione (e della storia) la sicurezza militare di un territorio si può dare solo attraverso il coprifuoco. Se le persone che si trovano in giro sono solo coloro che disattendono un provvedimento di coprifuoco, allora è possibile il controllo di quel territorio. In un ambiente dove non circola nessuno, chi lo fa è palesemente un potenziale colpevole.

Altri (ed è il caso dei genitori associati) hanno pensato di usare una strategia opposta: si sono messi in movimento (felice il connubio tra nome del parco e il doppio senso che acquista come nome per associarsi) rimboccandosi le maniche e hanno proposto all’amministrazione di assecondare la loro azione risanatrice. Questo è un caso emblematico di gestione condivisa di un bene comune.

Mettiamo in moto la Zucca ( qui il link ) da oltre un anno promuove insieme alle realtà sociali del territorio iniziative che puntano a rendere fruibile lo spazio pubblico, sicuri i giochi per i bambini, aperta e solidale la fruizione del parco.

ComuniMappe partecipa con un proprio contributo all’iniziativa che si terrà il prossimo


31 maggio

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Una breve cronistoria del comitato Mettiamo in moto la Zucca!
L’idea del comitato Mettiamo in moto la zucca! è nata in un assolato pomeriggio del settembre 2011 quando un piccolo gruppo di cittadini/e del quartiere della Bolognina che da tempo si ritrovavano al Parco con i/le propri/e bambini/e, ha sentito l’esigenza di cominciare a ragionare su come rendere questo piccolo ma prezioso spazio verde un luogo dove fosse sempre più piacevole incontrarsi, giocare, chiacchierare e creare momenti di socialità e condivisone fra tutti e tutte. Ai primi di ottobre abbiamo lanciato l’idea di un incontro pubblico per discutere insieme ad amministratori locali, altre realtà da tempo attive sul territorio (Centro Sociale Montanari, Casaralta Che Si Muove, Museo di Ustica) ed abitanti del quartiere su come valorizzare il Parco.
Nel volantino scrivevamo:
Piuttosto che solo lamentarci del “degrado” e trovare facili capri espiatori, vogliamo rimboccarci le maniche e lavorare insieme affinché il Parco diventi un luogo che sia sempre più piacevole frequentare. Vogliamo partire da piccole cose: la cura del verde, il potenziamento dell’area giochi e dell’arredo del parco (cestini per la raccolta differenziata dei rifiuti, panchine, tavoli per pic-nic …) e l’organizzazione di iniziative, ludiche e culturali, che favoriscano una gioiosa e serena partecipazione di tutti gli abitanti del quartiere alla vita della Zucca.
Ed è da queste “piccole” ma importanti cose che abbiamo cominciato a lavorare, trovando l’adesione entusiasta di altri frequentatori del parco che nel corso dei mesi si sono uniti a noi e l’appoggio di altre realtà attive nel territorio, come il Centro Sociale Montanari e Casaralta Che Si Muove, realtà con le quali il 18 dicembre 2011 abbiamo animato l’iniziativa C’è una zucca sotto l’albero!

Nell’ambito della Festa di Primavera organizzata tutti gli anni dal Centro Sociale Montanari, il 30 aprile 2012 abbiamo organizzato un incontro pubblico con gli amministratori del Quartiere e rappresentanti dell’Ufficio Verde del Comune per porre loro la questione del rinverdimento del Parco.

Il 6 giugno 2012 abbiamo organizzato la prima festa di Mettiamo in moto la Zucca!al Parco della Zucca, in collaborazione con il Centro Sociale Montanarie con il patrocinio del Quartiere Navile. Il ricavato della festa, che ha visto la partecipazione di tantissime famiglie, è stato destinato all’acquisto di nuovi giochi ed arredi per il Parco.
Nel corso del tempo abbiamo potuto contare sulla disponibilità del Quartiere che, nonostante la cronica mancanza di fondi, è venuto incontro ad alcune nostre proposte per migliorare la vivibilità del parco: piccoli interventi di manutenzione su giochi in precarie condizioni, l’ aggiunta di una nuova rastrelliera per le biciclette e soprattutto, in corrispondenza dell’uscita pericolosa su via Ferrarese, la posa di barriere di protezione che hanno molto migliorato in termini di sicurezza la frequenza del parco di genitori con bambini/e. Inoltre a luglio 2012 sono stati collocati nel Parco due nuovi giochi frequentatissimi dai bambini più grandi.

Durante il week-end del 21-22 ottobre 2012 abbiamo organizzato l’iniziativa Streghe, scope e colori, patrocinata dal Quartiere Navile.  Sabato 21 ottobre, nei locali del Centro Sociale Montanarisi è tenuto un laboratorio di streghe: piccole mani di bambini/e aiutate da mani di adulti, hanno impastato, steso, tagliato la pasta per fare delle buonissime streghette poi infornate e portate a casa in deliziosi sacchetti con la ricetta. Il giorno dopo – una bellissima domenica di sole – abbiamo organizzato insieme con Legambiente Bologna una pulizia del Parco della Zucca . Insieme a tanti bambini/e e adulti abbiamo raccolte montagne di cicche, carta, plastica ed anche vetri di bottiglia così pericolosi in un parco in cui bambine e bambini corrono, giustamente spensierati,  senza il timore di poter cadere su oggetti che possono mettere a rischio la loro incolumità. Infine un pranzo conviviale e campestre con tutti/e coloro che hanno accolto il nostro invito ha concluso la giornata.
Dopo la pulizia del Parco abbiamo chiesto al Quartiere e all’Ufficio Verde del Comune di Bologna di verificare la possibilità di installare il più celermente possibile nuovi cestini con posacenere, ed abbiamo dato la disponibilità a contribuire alla spesa attingendo dal ricavato della festa del 6 giugno.

Durante l’inverno 2012-2013 abbiamo proposto e realizzato una serie di laboratori presso lo Spazio Bimbi delle Officine Minganti.

Il 14 aprile 2013 abbiamo organizzato un’altra giornata di pulizia straordinaria del Parco, sempre in collaborazione con LegaAmbiente Bologna.

Infine il 31 maggio abbiamo organizzato, in collborazione con tante altre realtà operanti in Bolognina (Bolognina Sociale, Centro Sociale Monatanari, ComuniMappe, Dojo Equipe, Leggere Strutture, Piazza Grande) una grande festa nel parco che mostra la ricchezza e la vivacità del nostro quartiere.

IL FLOP DI TUTTO L’ARCO ANTICOSTITUZIONALE

Il sindaco di Bologna, la diocesi cattolica e tutte le autorità religiose non solo cittadine, l’economista Zamagni, Prodi, Matteo Renzi e tutto il pd, il pdl, il papa, l’intero arco che una volta si chiamava costituzionale e che oggi marcia contro la Costituzione ha dato indicazione per smentire ciò che dice l’articolo 33 ed hanno perso. 
Un gruppo di genitori, partiti dall’indignazione nel vedersi esclusi dal diritto di accesso per i propri bambini alle materne pubbliche, è riuscita ad aggregare forze politiche e sociali e portare dentro le urne referendarie più votanti della grande coalizione di cui sopra.
Il referendum di Bologna, consultazione popolare prevista dallo statuto comunale, chiedeva senza ambiguità di esprimersi su come utilizzare le risorse pubbliche dedicate all’istruzione. Poteva essere solo un esercizio di democrazia diretta, poteva anche vedere su diverso fronte soggetti politici di uguale appartenenza, poteva dare un contributo su come si amministrano le risorse in maniera condivisa e aprire ad una partecipazione delle realtà sociali più interessate alla questione. Ed invece si è risolto tutto sul piano delle contrapposizioni, si è buttata “in politica” l’intera faccenda portandola all’attenzione nazionale, si sono cercate vittorie dal sapore disperatamente confermativo di tutto l’insieme delle intese larghe, dalle forze politiche alla chiesa universale. Questa mole mastodontica è riuscita a mobilitare un numero di cittadini misero, ed ora si schermisce e vorrebbe mettere in carico anche coloro che a votare non sono andati. Mentre i vincitori, il 60% dei votanti ha dato indicazione con il dettato dell’articolo 33, dovrebbero sentirsi perdenti. 
Mettiamo in chiaro una faccenda che lo stesso Prodi ha rilevato: a votare sono andati tutti coloro interessati alla questione. Sono andati a votare le famiglie con figli in età scolare, le suore e il personale religioso, gli incalliti portatori dell’ideologia di ciascuno dei fronti. I primi han votato rivolti al fatto concreto (i figli da mandare a scuola senza doversi impiccare) i secondi han votato per salvare i soldi pubblici che ricevono annualmente (sfido chiunque a rinunciare senza battersi al dio denaro) e infine i terzi han votato per marcare il piano delle idee di entrambe le schiere.
Hanno votato per l’opzione A oltre cinquantamila persone, per la B trentacinquemila. Chi ha vinto?

Il referendum è un modo per raccogliere l’opinione dei cittadini. Ci sono questioni che riguardano tutti, problematiche settoriali che per la loro tecnicità non raccolgono l’attenzione di molti, domande rivolte in maniera incomprensibile, decisioni che viaggiano più nelle convenienze che nell’interesse pubblico, scelte che vanno ben oltre i limiti propri del problema posto. Quello che deve sopravvivere alle competizioni tra idee è il metodo con cui si raccoglie l’orientamento generale. Chi non vota ha semplicemente rinunciato a dire la sua, non lo si può tirare da una parte o dall’altra (sempre dalla parte di chi perde, chissà perché). Per migliorare la pratica del referendum, oltre ad abolire il quorum, si dovrebbe evitare l’utilizzo di argomenti e di logiche esterne al quesito. Probabilmente, come diceva Simon Weil, bisognerebbe prima abolire i partiti politici e poi dare corso alla libera fluttuazione degli schieramenti a seconda del problema posto.
«La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. E’ perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi. I candidati non direbbero agli elettori: “Ho quest’etichetta” – il che dal punto di vista pratico, non spiega rigorosamente nulla al pubblico sul loro atteggiamento concreto relativo a problemi concreti – ma: “Penso tale, tale e tale cosa riguardo a tale, tale e tale grande problema”. Gli elettori si assocerebbero e si dissocerebbero secondo il gioco naturale e mobile delle affinità. […] Questa soppressione estenderebbe la propria virtù di risanamento ben al di là degli affari pubblici, perché lo spirito di partito è arrivato a contaminare ogni cosa. In un paese le istituzioni che determinano lo svolgersi della vita pubblica influenzano sempre la totalità del pensiero, a causa del prestigio del potere. Siamo arrivati al punto da non pensare più, in nessun ambito, se non prendendo posizione “pro” o “contro” un’opinione e cercando argomenti che, secondo i casi, la confutino o la supportino.»
(da: “Manifesto per la soppressione dei partiti politici” – Simon Weil).

UNIVERSIDAD DE LA TIERRA

A Oaxaca, la capitale dello Stato più meridionale del Messico, Gustavo Esteva e Sergio Beltrán hanno fondato un’università piuttosto bizzarra. 
Nella Universidad de la Tierra non ci sono insegnanti né esami, non ci sono programmi da rispettare né libri definiti da leggere. I ragazzi non rivendicano il diritto di studio ma esercitano la libertà di studiare. 
A Unitierra la conoscenza e la vita di ogni giorno non sono due mondi separati e si prova ad andare oltre l’educazione e il suo rito di iniziazione alla società dello sviluppo. Il sapere ha più valore se non viene certificato ma è una libera relazione con il mondo e con gli altri. La costruzione dell’autonomia è un cammino da percorrere. Per questo Unitierra non è un progetto con un piano prestabilito e degli obiettivi ma un processo di liberazione. 

per approfondire il discorso sarà a Bologna il 10 aprile Gustavo Esteva
Xm24, Via Fioravanti 24 
Antistasis. L’Insurrezione in corso

Presentazione del libro omonimo con l’autore, Gustavo Esteva
Crisi sociale e alternative dal basso: difesa del territorio, beni comuni, convivialità. La degenerazione autoritaria del capitalismo, di cui gli Stati-nazione stanno diventando meri esecutori, rimane inalterata dai sempre più vuoti esiti della democrazia elettorale. Dall’America Latina all’Europa, dal movimento No-Tav alle comunità autonome Zapatiste in Messico, la difesa e riscoperta dei commons, gli ambiti di comunità, come spazi di resistenza e insurrezione, anticipa le alternative e le forme possibili della società in divenire.

– Dalle 19.30 – Aperitivo e cena vegetariana.
– 20.30 – Presentazione e incontro
– 22.30 Concerto Benefit : AlphaSud – Musiche popolari di tradizione orale – Giacomo Bertocchi, Clarinetto 
– Giusi Lumare, Percussioni – Michele Murgioni, Basso Tuba – Salvatore Panu, Fisarmonica – Carmine 

Scianguetta, Flauto.

Il ricavato della serata andrà in sostegno alle attività della Universidad de la Tierra de Oaxaca, Mexico. 
(Organizzano: Rete Ivan Illich, Associazione InterCulture)

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Gustavo Esteva, 76 anni, è attivista sociale e “intellettuale deprofessionalizzato” messicano, cofondatore 

dell’Università della Terra di Oaxaca, diffusore del pensiero di Ivan Illich, consulente dell’EZLN nella stesura 

degli Accordi di San Andrés, partecipante nel 2006 nell’assemblea popolare dei popoli di Oaxaca – APPO. 

E’ autore di vari libri e innumerevoli articoli, attento osservatore delle articolazioni assunte dal capitalismo 
contemporaneo in America Latina e nel mondo, interprete della molteplicità di risposte che dal basso, dai 

movimenti sociali, dal mondo indigeno-campesino e dai marginali urbani, oppongono resistenza e costruiscono 

alternative sociali alle relazioni di potere imposte dal mercato e dallo Stato. 

L’Universidad de la Tierra di Oaxaca da 12 anni è uno spazio di apprendimento libero e di produzione 

autonoma di saperi, radicata nei movimenti sociali, nel fermento delle comunità indigene e nei barrios della 

città di Oaxaca. E’ gratuita, non richiede alcun titolo di studio per potervici accedere, non ha insegnanti. Al 

suo interno si impara collettivamente il cammino per la costruzione di alternative politiche e sociali, sia 

attraverso attività pratiche – dalla comunicazione autonoma delle Radio Comunitarie allo sviluppo di tecnologie 

appropriate (bici-macchine, forni solari, bagni secchi) – sia attraverso la riflessione su politica, istituzioni e 

movimenti sociali, in circoli e seminari.


Esteva sarà a Venezia il 4 aprile, a Torino il 5, in Val di Susa il 6 e 7 matt., di nuovo a Torino il 7 sera, a Milano l’8, a 
Padova il 9, a Bologna il 10, a Lucca 11, a Firenze il 12, a Roma il 13 e il 14. 


(programma completo: QUI)

Per approfondimenti:

INTERVISTA A GUSTAVO ESTEVA

Articolo su Università della terra 

SULLA DEMOCRAZIA DIRETTA








Più che un’indicazione di governo con il voto gli italiani hanno espresso la volontà di autogovernarsi. Come se il potere pubblico sia stato tolto a chi lo possedeva (i partiti) per consegnarlo al controllo diretto e a coloro che di questo controllo si sono fatti portavoce.

Nella nuova realtà creatasi dopo il voto in Italia sembra ci siano le condizioni per sperimentare una qualche forma di democrazia diretta. Mai come questa volta tante persone comuni sono state elette in parlamento, nonostante una legge elettorale dove è totale il controllo dei partiti sui candidati, anzi forse proprio in risposta ad essa, sia il pd (non per vocazione ma per marketing) che 5 Stelle hanno promosso la selezione dei candidati a partire dai territori.

Come ulteriore evoluzione, la rete potrebbe permettere la realizzazione di un canale per quel rapporto, quella corrispondenza, tra società e nuovi eletti nelle camere.  Già adesso è possibile facilmente entrare in contatto con loro tramite i profili pubblici.

Si tratta dunque di mettere in essere una intellettualità organica, sociale, popolare, che dialoghi con quei nuovi parlamentari che il 15 marzo si insedieranno. Oggi non è molto difficile fare leva su alcuni argomenti che limitino, per quanto possibile, la dipendenza dei parlamentari dai propri partiti di riferimento. Non si tratta di fare richieste o pressioni, ma chiedere loro il rispetto anzitutto del vincolo di lavorare per il bene e l’interesse generale. Certo sono parole generiche, ma chiare. Come chiare sono alcune parole della Costituzione. Come quelle che dicono: «Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.» (titolo IV, art. 50). Sempre della Costituzione non va dimenticato l’articolo 71 : «L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli». L’identificazione dell’interesse generale potrebbe avvenire regolando al meglio lo strumento referendario per poi utilizzarlo per temi come l’ambiente, la scuola, alcuni beni fondamentali che chiamiamo comuni etc.

Se le elezioni sono generalmente un gioco che dura poco, perché sostanzialmente si chiede di mettere una croce e poi tornarsene a casa, oggi ci sono le condizioni perché questo non avvenga, perché la parte attiva della società apra e mantenga viva la corrispondenza con i parlamentari. Quelli che vogliono starci, almeno. 

Ma serve un linguaggio chiaro e un sistema informativo libero, che non veda attori predominanti che attuano un sistematico inquinamento informativo. Serve una regolamentazione del flusso comunicativo tra i due estremi: gli eletti e gli elettori. Sia i parlamentari che la società attiva devono comunicare in maniera efficace, sta in questo punto preciso la possibilità che si accenda la funzionalità della democrazia diretta.

Deputati e senatori disposti a lavorare con questo spirito, attuando un comportamento pubblico e inter-diretto con la società, non sarebbero lasciati soli, isolati e dunque raggiungibili dalle sirene dei corruttori. La parte di parlamento pulita renderebbe più visibile quella parte lercia e portatrice di interessi di parte, di privilegi oramai insopportabili.

In regime di democrazia diretta bisogna limitarsi a provvedimenti strutturali, demandando l’ordinaria amministrazione al Governo. Governo che giustamente non può non avere la fiducia, ma che può anche non avere la pretesa di essere il protagonista unico della ristrutturazione dello Stato e dell’indirizzo economico generale. D’altra parte si dice “potere esecutivo”, cioè esecutore di provvedimenti che altri hanno costituito (il parlamento).

Lasciamo correre per un attimo la fantasia: come lo immaginate voi il dialogo costante tra chi “dentro” vota i provvedimenti e le leggi mentre “fuori” una vasta platea di associazioni, blog, appelli correlati da firme e quant’altro, modulano un vasto dibattito sociale?

Democrazia rappresentativa significa comunicazione di massa unidirezionale, dal vertice alla base, come ci insegna tutta  la storia del Novecento. Mentre democrazia diretta significa comunicazione orizzontale e finalizzata non a convincere ma a permettere di decidere. 

La democrazia diretta è certamente di difficile attuazione, per riuscire deve tener presente le elaborazioni che arrivano dai movimenti sociali, dai forum di discussione dove i temi vengono affrontati con il dialogo più che attraverso votazioni a maggioranza. Le tecnologie possono facilitare ma anche ostacolare un progetto di democrazia diretta, i quanto non sempre la regola “una testa un voto” è il migliore dei sistemi possibili:  chi organizza al meglio l’esposizione di un argomento, anche se può non essere la soluzione migliore, può avere il maggior consenso. Dunque l’abitudine a documentarsi dovrebbe diventare la norma principale.

Serve uno sforzo collettivo, con anche risorse organizzative prelevate dalle istituzioni rinnovate. Servono giornali, radio, organizzazioni sociali che lavorino per convocare assemblee pubbliche nel territorio e per creare inchieste da riversare poi su una piattaforma pubblica e progettata per rispondere alla richiesta di facilitare la partecipazione. Lo stesso sito di camera e senato potrebbe, sulla scorta dell’esperienza di radio parlamento, essere la sede dove si depurano, si sintetizzano nel rispetto delle differenze, i temi da trattare e da indirizzare ai parlamenti corredati dagli orientamenti emersi dal basso.

… ma tutto quanto detto fin qui è pura utopia. Naturalmente non interessa a nessuno attuare un simile progetto. Nemmeno a chi, a parole, lo sventola come una bandiera.
Non interessa a Grillo, alle prese con manovre per non farsi schiacciare dal variegato mondo che lui stesso ha messo insieme. Non interessa al pd, da sempre dedito a cucire una sua tela fatta di banche, apparati, consorzi, società per azioni camuffate da cooperative.

Quelle espresse sopra sono fantasie di intellettuali visionari che si immaginano mondi perfettibili (anche il nostro sito lo fa). Infatti questo articolo in buona parte è frutto di un “taglia e cuci” ottenuto prendendo in considerazione diversi articoli di autorevoli personalità del mondo della cultura.

Paolo Bosco

PATRIMONIO IMMOBILIARE PUBBLICO

La difficoltà abitativa dovuta alla precarietà e allo sperpero del patrimonio immoiliare pubblico, spesso abbandonato e destinato al degrado, rivela le due facce della stessa medaglia. Da una parte redditi sempre più esili e dall’altra edifici vuoti, palazzi chiusi perché invenduti o in attesa di un compratore che trovi i margini per speculare: La caserma Sani di via Ferrarese a Bologna ne è un esempio.

Le questioni dell’abitare, del consumo di suolo, delle devastazioni ambientali e della privatizzazione/valorizzazione del patrimonio pubblico, al tempo della crisi, si intrecciano tra loro 
in modo indissolubile. Il modello di sviluppo che ha un orizzonte basato sul cemento, sull’azzeramento del welfare e sulle produzioni nocive non può essere ancora tollerato. Una politica di riduzione del danno, semmai praticabile, sarebbe poca cosa nella realtà attuale. Serve una voce collettiva che amplifichi un sentire comune, che dia vigore alla resistenza, di fatto ampia ma frammentata, di coloro che dicono no alla svendita del patrimonio immobiliare comune, no alla speculazione privata quando costruisce fuori dai bisogni reali.