AUTOEDUCAZIONE EMOZIONALE DI GENERE E TRANS-GENERE


LA  LIBERA COMUNE UNIVERSITA’  PLURIVERSITA’  BOLOGNINA




PRIMUOVE 


RICERC<AZIONE<CAMBIA<MENTE<ATTRAVERSO<LEZIONI E DIALOGHI INTERATTVI




SEMINARIO SEMESTRALE  
AUTOEDUCAZIONE EMOZIONALE DI GENERE E TRANS-GENERE





Lezione e  dialoghi interattivi 

VENERDI’  06  FEBBRAIO 2105 

                    dalle 18,15  alle 20,30



NUOVE GENERAZIONI:  
DESIDERI, CORPI, RELAZIONI E MODELLI CULTURALI DI FEMMINILITA’ E MASCHILITA’ 


RELAZIONA: 
MAIO MARIA AGNESE <FORMATRICE  EDUCAZIONE AL GENERE (GENERI/TRANSGENERI)

ACCORDA: 
PINO DE MARCH <RICERCATORE DELLA  COMUNE ACCADEMIA – COMUNIMAPPE


SPAZIO COMMUNIA <FREE  SMOKE <
SERRA 2/F -HUB 57 /TRAVERSA TIARINI 

(AUTOBUS 11-17-27 <fermata via matteotti<bolognina)



CONTATTI: COMUNIMAPPE@GMAIL.COM 


ENTRATA LIBERA  
CONTENUTI OPEN SOURCE < COMUNE UMANITA’
Presentazione alla lezione e dialoghi interattivi .                                    
 Nuove generazioni: desideri, corpi, relazioni e modelli culturali di femminilita’ e maschilita’


Come premessa e nello stesso tempo presentazione della lezione interattiva nel percorso tracciato di educazione al genere, vorrei partire da alcune riflessioni metodologiche scelte dalla ricercatrice-formatrice AgneseMaria Maio, tratto da una miscellanea di ricercatori/trici :
“Note dal campo: riflessioni metodologiche e strumenti per fare educazione al genere”(capitolo 9- paragrafo 9.2 del testo Educare al genere-Carocci editore).

L’autrice A.M:Maio premette: per metodologia didattica indico come le docenti o gli educatori articolano una serie di apprendimenti, e poi prosegue nel tracciare come questi avvengano attrraverso:
a) la ricerca ed elaborazione di materiali;
b) la conduzione della didattica
c) la scelta delle tecniche utilizzate per comunicare
d) la predisposizione dei setting o ambienti di appredimento
e) i linguaggi appropriati

Tra questi indicatori di apprendimento voglio approfondire quello sui “linguaggi appropriati“,  non perchè gli altri indicatori non siamo importanti ma perchè questo è quello che a me sembra influenzi maggiormente la formazione delle opinioni e dei comportamenti delle nuove generazioni attraverso la riproposizione di pregiudizi e stereotipi, arcaismi incarnati in quello che K. Jung chiama archetipi dell’inconscio collettivo, inconscio di cui siamo parlati direbbe Lacan, che condiziona pesantemente il vissuto dei singoli e il vivere comune nel tempo. E questo linguaggio incoscio viene utilizzato a piene mani da parte dei pubblicitari; in questo tempo molto dell’inconscio giovanile è elaborato e presente in modo implicito a volte anche molto esplicito pubblicità; si parla che un ragazzino o ragazzina nel corso dell’età evolutiva abbia assorbito ore ed ore di pubblicità presente ad ogni piè sospinto.
Anche l’autrice nei suoi interventi non sottovaluta nè trascura di analizzare ed approfondire questo punto, che anche per lei svolge un ruolo cardine per una appropriata educazione al genere.

Ora voglio riportare il punto di vista dell’autrice, commentarlo e ad esso aggiungere altri sguardi: “la predisposizione per svolgere un’appropriata educazione al genere è quello di porre attenzione a quale linguaggio usare nella relazione in classe con i propri/e studenti/esse” (o nei contesti allargati della quotidianità educativa, quali famiglia e società, aggiungerei).
Il testo virgolettato e tratto da A.M.Maio -“Note dal campo:riflessioni metodologiche e styrumenti per fare educazione al genere”(capitolo 9- paragrafo 9.2 deldel testo Educare al genere-Carocci editore)

Poi proseguendo nella dissertazione l’autrice approfondisce ed esemplifica il ruolo della lingua italiana:  “diversamente da quanto si pensi, la lingua italiana non è un liguaggio sessista perchè è una lingua sessuata. Come ricorda (la filosofa femminista) Luce Irigaray, ‘parlare non è neutro’ e quindi porre attenzione alla differenza di genere nel linguaggio non significa intensificare le differenze, ma semplicemente non silenziarle con l’utilizzo di un linguaggio apparentemente neutro, ma in realtà androcentrico“(note 1 a piè pagina).                                                                    Per esemplificare : “non è corretto utilizzare il genere maschile nei nomi dei mestieri, delle professioni e delle cariche, nel caso ci si riferiscano a donne. Declinare solo al maschile significherebbe creare situazioni ambigue(controverse), che non lasciano spazio per immaginare una professione adatta ad una donna, ma solo di pertinenza dell’uomo(inteso come maschio). Declinare al maschile e al femminile è per questo motivo una ‘buona prassi’ che dà visibilità linguistica anche alle donne. Questa attenzione in altri termini, porta a valorizzare il rapporto che esiste tra parola, valori e costruzioni della realtà.

La diversità non dev’essere occultata, ma riconosciuta come luogo particolare che implica per uomini e per donne, modalità diverse di esperienza, percorsi non simmetrici e non riducibili gli uni alle altre. Dato che l’obiettivo dell’educazione al genere non è semplicemente ampliare le conoscenze d base di studenti e studentesse (il piano dei saperi) ma portarli/le alla cosapevolezza della propria identità di genere (nota 2 a piè di pagina) e offrire strumenti critici di analisi e de-costruzione, in secondo luogo è importante stimolare non solo le loro capacità cognitive e razionali, ma anche quelle emotive e relazionali. Bisogna quindi saper valorizzare anche i paini del ‘saper fare’ ovvero sviluppare competenze (tecniche) comunicative e relazionali, e il piano del ‘saper essere’ , indirizzato ad una maggiore conoscenze del sè, dei propri valori, dei condizionamenti culturali, dei propri vissuti e delle proprie aspettative [….]capace di integrare i piani del ‘sapere’ e del ‘saper essere’ ed attivare fra questi un circolo virtuoso. Se è infatti necessario fornire conoscenze, informazioni e nozioni offrendo una preparazione multidisciplinare a partire dal genere (sia essa storica, sociologia, antropologica e filosofica), bisogna soprattutto saper costruire luoghi all’interno dell’ambiente scolastico in cui sia possibile apprendere competenze comunicative e relazionali a partire dall’esperienza, dove sia permesso apprendere mentre si opera e mentre si svlgono attività. E’ quindi indispensabile, infine facilitare una maggiore consapevolezza nei ragazzi e nelle ragazze propri vissuti e sugli attegggiamenti che riguardano la maschilità e la femminilità.”.
Il testo virgolettato e tratto da A.M.Maio -“Note dal campo:riflessioni metodologiche e styrumenti per fare educazione al genere”(capitolo 9- paragrafo 9.2 deldel testo Educare al genere-Carocci editore).

Altri elementi che contribuiscono all’educazione al genere: infine l’autrice A. M. Maio sottolinea che fare una appropriata educazione di genere oltre alle metodologie didattiche considerate, va integrata la prospettiva di genere sia all’interno delle materie di insegnamento, sia nel predisporre attività complementari al percorso scolastico. Ed inoltre ribadisce come del resto aveva già fatto Elda Guerra, un’altra co-autrice all’interno di questa miscellanea a più mani, ricordando che la lezione frontale era stata superata negli anni settanta da lezioni interattive e laboratori ove studenti e studentesse; ed in questi mutati contesti d’apprendimento si evidenzia che gli studenti/essesi sentono maggiormente coinvolti/e.                   Aprofondimenti: per esperienza posso dire che bisogna integrare nell’educazione piani e contesti differenti d’apprendimento:                                                                              
la lezione frontale per fornire informazioni, materiali e conoscenze di base, e questi d  evono sempre esporre la complessità e la pluralità di visioni sull’argomento;                                                                                                                        
la lezione interattiva come momento dell’ elaborazione comune delle conoscenze là dove sono presenti, altrimenti bisogna procedere ad immetterne nella classe o gruppo da parte del/la docente, formatore/trice o dal/la esperta, ,                             
il momento laboratoriale per claonfrontare contenuti esperti con contenuti appresi nella scuola o da altre fonti di informazioni-conoscenza (famiglia, territori sociali, biblioteche e social-network)-
Come anticipavo volevo aggiungere alcuni commenti e riflessioni sul ruolo della lingua quando viene prosciugata e sterilizzata e banalizzata col finire per perpeturate stereotipi e fobie sociali (omo, lesbo, trans ecc.).                                                                                                                                           
 Agnese Maio afferma: diversamente da quanto si pensi, la lingua italiana non è un linguaggio sessista, perchè è una lingua sessuata.
A questo proposito condivido quanto espresso da Agnese Maio però voglio annotare alcune mie riflessioni in proposito.
La lingua italiana ma anche la sua grammatica è aperta plastica e per questo permette un uso progressivo, mutante, creativo ed includente; forse in modo più accentuato l lingua tedesca con la possibilità di concatenere parole per ritrovarsi con nuove parole e significati, oppure trasformando verbi in sostantivi o viceversa.
La lingua e la grammatica italiana però ha una caratteristica molto partiolare, non è esclusivamente la diffusione e la pratica in tutto il territorio italiano del dialetto fiorentino, oppure una lingua calata dall’alto, ma l’invenzione della medesima fatta nel trecento da Dante e non solo, è la fusione di parlate geografiche italiofone in una forma di meticciato antropologico e di altri fattori complessi come emozioni e valori; una lingua direbbe Kafka minore, non minoritaria perchè in essa le minorità trovano spazio per esprimere la loro singolare e molteplice forma della vita e delle espressioni delle genti del la Penisola; genti latine e barbariche si sono fuse,confuse e rigenerate per secoli in volgari forme linguistiche romano-barbariche.  Però stessa aperta lingua e grammatica italiana la si può far regredire fino a diventare afasica e fobica soffocando con i suoi utilizzatori;                                                                                           

  la lingua in sè non neutrale e può esprimere l’eros e le molteplici forme del vissuto sessuato, ma i suoi uitlizzatori possono a volte censurarla, banalizzarla, mutilarla, malttrattarla ed allora essa diventa misogena, omofoba o xenofoba, piegata e violentata e resa sessista (vi ricordate le uscite di Bossi, o di Berlusconi entrambi indegni senatori della nostra Repubblica ).                                       La lingua italiana è sessuata perchè quando si vuole comporre una frase bisogna sempre per prima cosa pensare al soggetto della frase che si vuole esprimere, e il sesso del soggetto non lo si può facilmente neutralizzare e nemmeno celare; a volte capita di parlare genericamente di umanità o di uomini sottointendendo i diversi generi in essa celati, ma tale occultamento non sempre è possibile. Una volta individuato il soggetto bisogna cercare il verbo che generalmente come sostiene Roland Barthes indica le possibilità dell’agire o non agire, e qui emerge la libertà o l’interdizione del soggetto ad agire, e poi si cerca un aggettivo che qualifichi il soggetto e le sue azioni o non azioni.  E in questa complessa composizione il soggetto può articolare libertà, autonomia, espressioni, immaginazione, passioni e progetti ma anche subire il dominio ed esprimere servilismo.  Nell’uso non sterotipato della lingua e nella resistenza al dominio dei movimenti liberazioni dei soggetti emergenti si può parlare di enpowerment (invenzione concettuale e linguistica della femminista Barbara Solomon, 1976) che indica concretamente affermazione di sè, autodeterminazione, prendere autonome decisioni o atrattamente acquisizione di nuovi diritti.


Archetipi patriarcali depositati nella lingua
Ora voglio raccontare un aneddoto (un’esperienza poco nota, vissuta tra il privato ed il pubblico) che permette ulteriori approfondimenti sull’uso della lingua ma nello stesso che fa emergere il dominio sotterraneo in forma di archetipi pratriarcali presenti nella lingua; alcuni anni fa ero stato invitato al Festival europea della poesia di Francoforte sul Meno per parlare in uno dei workshop, di quelli serali sparsi nei caffè della città, della poetica civile o dell’impegno poetico e civile di Pier Paolo Pasolini(dalla scomparsa delle lucciole ad Alì dagli azzurri, pasando attraverso quella sottile distinzione tra progresso e sviluppo. (nota 3 a piè di pagina)
A tarda notte, al termine della prima giornata che prevedeva solo letture di poeti/e europei/e invitati al Festival, che si svolgevano nella grande sala, che è stata a suo tempo sede del primo Parlamento nazionale tedesco-1848- , sala su cui volteggiava sospesa dall’alto una gigante aquila a due teste, che metteva una grande soggezione ma anche incuteva quel rispetto dovuto che nasce dalla paura e non quello riconosciuto della libertà, ci siamo trasferti in una Gasthaus (osteria con cibi tedeschi)che si trovava a pochi passi, sempre nella piazza del Municipio – il Roemer-Palazzo – edificato in stile gotico tedesco che è sede da 600 anni della municipalità di Frankfurt am Main e a pochi passi dal Fiume Reno che attraversa la città.               Una volta che tutti/e (-10 persone circa) ci siamo seduti attorno ad un tavolo rettangolare, la poeta, animatrice e invetrice del Festival Marcella Continanza, come tradizione mediterranea, appena seduti ha ordinato un buon vino bianco tedesco Riesling e subito dopo ci ha presentato e chiesto ad ognuno di parlare della propria vita attiva ed esperienza di impegno civile e poetico nella sua città.
Quando è arrivato il mio turno mi sono presentato come ricercatore filosofico sociale e poeta civile e che per poesia non intendevo solo quel esercizio quotiiano di espressione e di scrivere versi in senso letterrario ma anche in senso lato di immaginare attraverso scrittura e versi, nuovi immaginari sociali e visioni di mondo capaci di ricreare dissidenti opinioni pubbliche e trasformazioni sociali;                                                           
  e aggiunto che nelle mie poetiche tengo sempre come riferimento o bussola:                                                                                                                                     
 a) il mondo delle minorità sociali (non in senso puramente minoritario ma capaci di aprire varchi, paesaggi , mondi nuovi abitabili e sostenibili socialmente e ecologicamente all’interno della lingua);
b) le periferie delle città con le loro popolazioni glo-cali, antropologimente meticciate e precarizzate in senso materiale ed esitenziale, meticciate da presenze migranti interne ed esterne, con tutto quel faticare a divenire mondo di umani ed uguali;
c) le dissidenti destrutturazioni inter-culturali in contrasto con l’omologante neo-lingua dello sviluppo(economico-finanziario) e con vetero-lingua arcaica delle passioni tristi e risentite che si manifestano nelle quotidiane paronoie e fobie sociali, costanti nella reattività al progresso e complici dello sviluppo);
d) l’invenzione di una tras-lingua della minorità emergente tra i fori aperti dalla presenza di soggettività consapevoli e da occupazioni di spazi nei territori dominati dalle lobbies(spazi sociali autogestiti territoriali).
E che l’autorialità pubblica con cui mi concateno agli altri è da anni Versitudine(parola valigia che indica la relazione tra versi e moltitudini, tra versi e latitudini, versi e longitudini e tra versi nuove consuetudini sociali dal basso).
E poi ho parlato delle iniziative con il gruppo di poete 98 – donne e poesia (Serenella Gatti Linares e Loredana Magazzeni e altre), e ho evidenziato che loro sempre sottolineano in ogni pubblica iniziativa di essere poete e non poetesse.
Su questa mia sottolineatura Jaqueline Risset (morta 3/9/14 a Roma), italianista, poeta, saggista e tradutrice nelle due direzioni italiano verso francese e francese verso italiano, colei che fece conoscere Dante Alighieri ai francesi e i filosofi critici di Tel Quel a noi italiani (tra J. P. Sartre, P. Sollers, Kristeva, R.Barthes, M. Foucault e altri),
prende parola affermando che:  ogni volta che nella lingua si usano sufissi,  elementi che si combinano alla base delle parole per crearne delle nuove e rappresentano le suffissazioni una delle principali risorse per arricchire la lingua ma per indicare delle derivazioni da entità (soggettività) originali.
Infatti e qui torno a inserirmi : è il modo più comune per ottenere (o far derivare) il femminile dei nomi: aggiungendo la desinenza (a) al maschile(o,e);                                                                                                                 esempio:                                                                                                                                   
 cuoco /cuoca                                                                                                           
 signore/signora
e qui praticamente mi pare ci sia ancora differenza ed eguaglianza tra il maschile e il femminile;
là dove invece il femminile perde la sua autonomia linguistica ed espressiva è proprio nei suffissi essa-e, come nel caso in questione di Poeta/poetessa.
E’ che questa ultima suffissazione tende a ricondurre il generare evolutivo spontaneo della lingua ad una dimensione gerarchica patriarcale e creazionista.
A questo punto si prende di nuovo la parola JaquelineRisset e dice: come raccontano le scritture bibliche nella Genesi Dio dopo aver creato Adamo prese una sua costola per creare Eva (nota 4 a piè di pagina).
E qui mi riserisco, l’evoluzione della specie come della lingua viene rovesciata nel suo contrario, in quanto l’uomo anche nella fase embrionale e fetale come nella fase di gestazione convive e partecipa fino al momento di essere partorito del corpo femminile; anzi è il maschile che si origina dal femminile, a parte il momento iniziale della seminazione e concepimento, così anche avviene nell’apprendimento della lingua e nei primi mesi di vita , attraverso lo scambio di informazioni materiali, sensoriali e linguistiche tra madre-bambino/a in un processo fusionale di corpi-bocche-seni ed occhi.                                                                                              
 Anche se oggi molti maschi ‘dissidenti’ che  condividono questa esperienza di gestazione emozionale  accanto alla donna in una forma di co-generazione affettiva.  
E qui ritorna con brillante e fulminate concettualità femminista Jaqueline Risset: vedete i suffissi (essa-e) sono l’equivalente linguistico immaginario patriarcale della costola, equivocando che non ci può essere autonoma struttura (la donne non si sostiene senza la 13 costa maschile(paia di coste), nè possbilità di intraprendere nessuna vita concreta attiva da parte delle donne, ma solo costitutiva dipendenza dal maschile.
Invece, se le donne si riprendono la parola, se cominciamo tutti/e a rifiutare i suffissi con le varie derivazione e dipendenze, possiamo inventare e ondividere nuove forme linguistiche che rimandano a originarie vite attive praticabili al femnminile (come poeta, ministra, parlamentare, docente, inventrice, autrice, scrittrice, formatrice); lasciamo invece i suffissi al mondo animale come leone-essa.

Teologie lingustiche ed antropologiche
E poi aggiugo ricordando che in una corrispondenza tra Walter Benjamin e il suo amico teologo G. Scholem, così innovava l’interpretazione della “creazione” (partizione della Genesi):”Dio non ha creato dal nulla le cose animate ed innanimate, le cose erano già, lui si è limitato a darle un nome, le ha nominato e in questa attività di nominazione le cose hanno comincaito ad esistere; quindi è attravernso la nominazione e la rigenerazione culturale delle cose generate dalla natura ch il mondo comincia a esistere per noi umani. Dio stesso è il nome che diamo per indicare teologicamente il tutto e per noi non credenti (o atei o agnistici evolutivi) è il vivente.  Le donne e le poete possono partecipare allora della loro rigenerazione culturale dopo secoli e secoli di creazionismo-e di subalternità patriarcale liguistica ed esistenziale.
La lingua allora può essere sessuata, vissuta, abitata da ogni genere umano e di altro vivente.
Altre riflessioni sulla libertà nella lingua: lingua come rifugio alle banalità e agli stereotipi diffusi e ripetuti nella quotidianità
Normann Manea romanziere rumeno ma dallo spirito cosmopolita(nato Bucovina 1936), sopravvissuto alle persecuzioni naziste (1941-45), censurato durante il regime socialista-totalitario di Ceauscescu(dal 1946-85) , e poi migrato alla metà degli anni ottanta a New York, ove oggi insegna e vive, in un’intervista di Marco Dotti del “il Manifesto” il 5/02/15 parla del vissuto della lingua e della scrittura, che concepisce come pagina bianca da riempire e come gesto di sifda ai regimi totalitari ma anche come rifugio dalla banale quotidianità stereotipata.
Riporto alcuni frammenti di N. Manea per rinforzare quanto diceva Agnese Maio a proposito di ciò che consente la lingia italiana ma in generale tutte le lingue; cioè che la lingua permette non solo di pensare e dire e scrivere l’inespresso ma anche di manifestare ciò che la censura in momenti storici diversi vorebbe non emergesse, per esempio le varie forme della libertà di espressione, dei vissuti dei molteplici generi. Da sempre i poteri ispirati al patriarcato vorrebbero che le lingue fossero tagliate, neutre e occultanti le minorità sessuali (donne, lesbiche, omosessuali e trans-sessuali ecc).  Manea rivela all’intervistatore: “la lingua e la letteratura erano perme un rifugio dalla banalità quotidiana. Meglio:erano una vera protezione. La sola che avevo, in Romania, quando sono tornato dal campo di detenzione e ho cominciato a leggere, a studiare, a scrivere. Mi sono costruito una fortezza, dove poter coltivare qualcosa che non sapesse di stereotipo.                                                                                […..] La letteratura, allora era chaiamata a svolgere anche una funzione che altri – i giornali ad esempio – non erano ingrado di svolgere. Quando viviamo immersi in un ambiente totaitario, dove la lingua viene prosciugata, insterilita, conservare la lingua, custodirla, è un gesto clandestino, spesso condotto in solitudine, ma nella convinzione he non si è soli e, dall’altra parte del muro, qualcuno che non è un delatore o un censore saprà ascoltarti. la lingua custodisce l’umano, proprio nel punto in cui il potere mira a sofforcarlo.                                                                                                                                              [….] La modernità è sottoposta a numerosi attacchi. Ma non solo dall’esterno, anche all’interno abbiamo pressioni. Ma nascndere le diseguaglianze economiche, le nuove e vecchie povertà, il debito infinito dietro la maschera dello scontro di civiltà è la strada più comoda. La Grecia non cela fa? Affondiamola nel debito, ci viene detto. Ma se guardassimo alla vera ricchezza, quella delle biblioteche ad esempio, scopriremmo che in Greciasi traducono tanti quanti se ne traducono negli Stati Uniti. Dove sta la ricchezza spirituale e culturale, allora? Nella piccola Grecia che traduce tantoo nei grandi States che traducono poco? La traduzione ci interroga sulle differenze, sull’altro-ricordiamoelo.                                                                                                                                                                                   
Note di redazione
1-etimologica                                                                                                                              
  a) Androcentrico: aggettivo, fondato su una visione prioritaria, oaddirittura esclusivista del potere del maschio nella società.
b) Andros: dal greco Aner (uomo), genitivo andros(dell’uomo) e prefisso che da il senso di uomo, di sesso maschile.
2- sull’identità:                                                                                                                           
 a) una identità non stereotipata ma una identità in divenire storico-culturale o di una identità-plastica-neuroantropologica)                                                                            3-pasoliniane                                                                                                                              
 a) la scomparsa delle lucciole per Pasolini rappresenta l’inizio di un periodo della vita italiana ove ai valori tradizionali non solo antichi ma anche moderni si sostituiscono le merci valori sociali (la diffusione di vetrine che catturano lo sguardo e paralizzano e incantano le masse-Baudrillard, con la cancellazione del valore d’uso delle merci sostituito da un valore di scambio) ed è anche il periodo di afasia sociale delle periferie, con la nascita di una neo-lingua i tipo omologante televisiva la quale genera una paralisi linguistica nella rigenerazione di quella lingua popolare fatta di nuove espressioni e manifestazioni di autonomia.
b) Alì dagli occhi azzurri è un romanzo popolare in cui all’interno di esso in un paragrafo -Profezia- Pasolini racconta in forma poetica e visionaria l’arrivo su vecchie navi fenice cariche di migranti dai porti della fame e un’ospitalità che non si fa attendere dei calabresi che subito riconoscono in loro e nei loro volti i vicini cugini mediterranei. E poi di questi popoli che salgono a torme verso le capitali del Nord Europa e del Nord America con il Papa e le bandiere rosse di Trotsky e per prima 1cosa cancelleranno Roma nella sua simbolica imperiale e sulle sue rovine pianteranno il seme delle antiche civiltà mediterranee.
c) distinzione tra sviluppo e progresso:  per sviluppo P.P. Pasolini intende quei processi economici, sociali e linguistici ove avviene la cancellazione di ogni forma di vita o cultura autonoma popolare di valori materiali ed immateriali(oggetti ed espresisoni di una popolazione in forma tecnica artgianale od industriale) sostituita dal puro valore di scambio mercantili delle merci e così anche delle arti e delle poetiche ridotte a pubblicità o menzogna e i lavoratori ridotti a servi volontari di una macchina del capitale -come nuova idolatria-vitello d’oro che gli costringe a consumare, produrre e morire e non vivere;
per progressoP.P.Pasolini intendeva invece quei processi di natura anche materiale ma innanzittutto anche culturale ove vi è un processo dinamico di trasformazione delle condizioni di vita, delle forme di espressione linguistica che pur riprendendo le tradizioni popolari non le vivono in forma statica, ma traizioni dinamiche capaci di cogliere novazioni con l’introduzione di sempre nuovi elemeni. Pasolini non era una tradizionalista cioè quelle culture cue imbalsamano il passato o se lo inventano costringendo ognuno a pensarlo come il loro passato, ma pensava le tradizioni come culture popolari che hanno subito variazioni nel corso del tempo pur non perdendo mai i contatti con i riferimenti consolidati nel tempo.

4-teologica                                                                                                                                   
 a) Nella Summa Thelogiae (prima pars, Quaestio 92, Articulus 3) il teologo e filosofo Tommaso d’Aquino spiega che la donna fu convenientemente creata da una  costola di Adamo (adam-primo uomo biblico)                                                                                                                                  
  b) secondo una credenza popolare abbastanza diffusa, gli uomini avrebbero una costola in meno rispetto alle donne (si pensava che l’uomo avesse 13 paia di coste) , per via dell’asportazione subita da Adamo a favore di Eva. In realtà uomini e donne hanno lo stesso numero di coste (il numero di 12 paia-cioè venti per uomini e donne).
 

Testo: Nuove generazioni: desideri, corpi, relazioni e modelli culturali di femminilita’ e maschilita’
Co-generato ed elaborato da Pino de March- ricercatore della Comune Accademia-Comunimappe

www.comunimappe.blogspot.it







Il pensiero di Ivan Illic e i movimenti sociali in America Latina


                                             La Libera Comune Università Pluriversità Bolognina

promuove

Secondo seminario sul Pensiero critico, Commonfare, Mondi di vita comuni, Università Popolari e Movimenti sociali







Venerdì 23 gennaio 2015

Dalle ore 18 alle 20,30

Presso Spazio HUB 57

Via Serra 2/f -Bolognina- autobus 17, 11, 27
(traversa di Via Tiarini, accanto Teatro comunale dei ragazzi e delle ragazze)
Entrata Libera con contenuti open free source


Discussione sul pensiero di Raul Zibechi  

E’ in preparazione la versione italiana dell’ultimo libro di Zibechi (Descolonizar el pensamiento critico y las pràticas emancipatorias)

ne parliamo con il traduttore, Aldo Zanchetta

Relatore Aldo Zanchetta interprete del pensiero di Ivan Illic e studioso dei movimenti sociali in America Latina
Accordatore Pino de March ricercatore sociale e componente della Accademia Comuni-mappe

Qui maggiori info su Zibechi

Nuove relazioni di genere

Comuni-mappe: Libera comune Università pluriversità Bolognina, presenta:

Nuove relazioni di genere:
crisi, violenza in forma sessista, misogena ed omofoba
per una educazione alle emozioni
e per un soluzione non violenta dei conflitti interpersonali e sociali.
Accompagnamento e cura in primis delle donne violate e matrattate e degli omosessuali e delle lesbiche oggetto di pregiudizio e violenze,
ed in fine accompagnamento e progetti e di cura dei maltrattanti detenuti verso una rigenerazione personale e integrazione sociale.


 
 
Ricerc-azione-cambiamento attraverso
un seminario semestrale e lezioni interattive


 

 
 
Relator*:
Dott. Giuseppe Battaglia Vice-Presidente Istituto Psicoanalitico di orientamento culturale -Fromm -Bologna
 
Dott.ssa Giuditta Creazzo ricercatrice ed autrice di analisi su confilitti di genere e progetti con casa delle donne per protezione e cura delle donne maltrattate e progetti con “maschile plurale” di cura e accompagnamento dei maltrattanti detenuti con politiche sociali ed educative antisessiste ed antiomofobe.
 
Dott.ssa Gabri Covri -della Comune Accademia -Comuni-Mappe -filosofa critica e ricercatrice su : L’amore nella filosofia
 
Dott. Pino de March della Comune Accademia – Comuni-mappe – filosofo critico e ricercatore su: psico-analisi esistenziali, approcci psico-corporei e nuove neuroscienze sociali.
 
 
 
I SEMINARI E LE LEZIONI INTERATTIVE SI SVOLGERANNO PRESSO:
 
– HUB – VIA SERRA 2/F (BOLOGNINA)

VENERDI’ 19 DICEMBRE 2014
dalle 18 alle 20
 
LE VARIE FORME DEL NARCISMO SOCIALE TRA SANE ESTENSIONE DELL’IO AL SE’
E INSANE RESTRIZIONE DEL PROPRIO IO. (2° parte)
Dott. Giuseppe Battaglia
psiconalista e vice-direttore dell’Isituto Fromm di Bologna
 
(approfondimenti in calce)
Prossimi appuntamenti:

Lezioni 2015
1° lezione
16 gennaio 2015
mutazioni e dilatazioni dei generi in forme singolari e plurali
con Renato Busarello
antagonismo gay-cassero di santo stefano
2° lezione
23 gennaio 2015
nuovi ambiti di comunità
per una riflessione sui beni comuni
Zanchetta-del gruppo camminandodomandando
3° lezione
6 febbraio 2015
relazioni erotiche, conflittuali e complesse tra generi
Agnese Solo -sex-shop-

4° lezioni
13 febbraio 2015
Donne Maltrattate e Uomini Maltrattanti
Forme possibili di autodifesa sociale contro la diffusa violenza maschile e per altre forme di relazione tra generi:
– come prendersi cura delle donne maltrattate

– come ritrovare nuove forme di aggregazione maschile e di auto-coscienza 
– come contrastare atteggiamenti di complicità maschile
– come reinserire i maltrattanti in una società mutata.

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Eventi già realizzati:

VENERDI’ 28 NOVEMBRE 2014
dalle 18 alle 20
 
NARCISISMO E RELATIVE PSICOPATOLOGIE SOCIALI (1° parte)
Dott. Giuseppe Battaglia
 
VENERDI’ 5 DICEMBRE 2014
dalle 18 alle 20
 
LE TRE FERITE NARCISISTICHE E LA CRISI DELL’UMANESIMO E DELL’ANTROPOCENTRISMO
Dott. Pino de March
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Approfondimenti:
 
LE VARIE FORME DEL NARCISMO SOCIALE
Introduzione
“L’enorme cambiamento nell’atteggiamento della psicoanalisi verso il narcisismo, avvenuto grosso modo a partire dal 1970 non restringe più la normalità al superamento del narcisismo primario(*) bollando come patologia la sua persistenza [….]
Il narcisismo è oggi considerato da molti come qualcosa che dura tutta la vita e che può assumere modalità sane o patologiche a seconda delle situazioni.”
tratto da autori vari: A. Samuels, B.Shorter, F.Plaut, Dizionario di Psicologia analitica, Cortina, Milano,1987, p.100.
(*)
“narcisismo primario: è concepito come uno stadio intermedio tra -autoerotismo e -alloerotismo, in cui il bambino investe tutta la sua libido su se stesso prima di rivolgerla agli oggetti esterni. Rispetto
all’autoerotismo, dove ciascuna pulsione cerca il proprio appagamento legato al funzionamento di un organo, nel narcisismo primario l’appagamento è ancora autoerotico, ma con riferimento ad un’immagine unificata del proprio corpo o ad un primo abbozzo dell’Io. “
tratto dalle Garzantine -Psicologia – p.676, curata da Umberto Galimberti.
E’ merito di psiconanalisti non ortodossi come Fromm e Marcuse , o non allineati come Kohut o altre donne Psicoanaliste critche come Melain Klein se si comincia a intravvedere e lasciar emergere un dissidente narcisismo- affermativo di sè in relazione creativa con altri sè (peer to peer-tra pari, senza padri).
“il narcisismo marcusiano come legame col tutto, anzichè come separatezza, come possibilità creativa, artistica, panteistica, anzichè come morboso solipsismo, ha oggi varcato la soglia dell’ortodossia psicoanaltica in una data carica d’implicazioni.”
tratto da Klaus Strzyz , Narcisismo e socializzazione, trasformazione sociale ed il mutamento di dati
caratteriali, Feltrinelli, Milano 1981.
Negli anni sessanta e settanta “l’aleatorietà dei rapporti oggettuali e l’incremento di aspettative magiche nel doppio aspetto di dipendenza e diffidenza rispetto allo Stato ha universalizzato i processi narcisistici in parallelo alle nuove forme di produzione e consumo, la psicoanalisi non poteva che allargare i limiti della liceità dell’investimento libidico su se stessi come unica alternativa ad allinearsi su ipotesi di maggioranze devianti”:
Tratto da Heinz Kohut, narcisismo ed analisi di sè, Boringhieri, Torino,1976. e la guarigione del sè, Boringhieri,Torino 1980
“Ma questo nuovo narcisismo è poi così lontano da un auto-investimento dell’io, l’auto-legittimazione, da (di) tutte le forme di pensiero ed organizzazione che rimandano a auto-valutazione, auto-orgnaizzazione, auto-determinazioni, auto-regolazioni, auto-coscienza, che negano poteri di investitura a leggi esterne codificate in rappresentanza della totalizzazione del potere Statale?
Come se impercettibilmente il termine auto’ …., da negativo stesse virando al positivo, nelle accezioni che abbiamo già visto, come il ‘ sii assolutamente fedele a te stesso’ , della controcultura, che sostituisce la negatività esclusiva di ‘autoerotico’, ‘autistico’, ‘autarchico’ ecc.
In collegamento alla rivalutazione del narcisismo altri grossi fenomeni iniziati negli anni precedenti, hanno raggiunto uno sviluppo impensabile, come la psicoterapia delle psicosi che ha strappato queste affezioni da vecchie definizioni come ‘nevrosi narcisistiche’ che, insieme al narcisismo primario, le inchidavano inesorabilmente all’incurabilità, per impossibilità del transfert. Le difficoltà del rapporto terapeutico con la follia sono così passate da lei a noi, alle difficoltà ad accettare proprio l’eccesso di investimenti trasferali, a condividerne l’inriducibilità e l’eversività, la fusione dei contrari come infinita felicità e terrore infinito che sembrano sgorgare senza freni, senso immediato, sommergendo l’io, il rapporto terapeutico. Ma perchè questi processi diventassero capacità di rapporto l’accento si è dovuto spostare dai padri alle madri, su tragitti spesso ostacolati proprio dal patriacalismo dell’ortodossia, e favoriti invece dal lavoro di numerose analiste.”(1)
Freud aveva soppresso la distinzione tra autoerotismo e narcisismo perchè colloca il narcisismo primario ad uno stadio della vita, antecedente alla costituzione dell’Io, il cui modello è la vita intrauterina caratterizzata dalla relativa assenza relazioni oggettuali. Questa considerazione è stata rifiutata daMelain Klein inzitutto perchè il narcisismo come relazione con la propria immagine non può essere pensato in un contesto assolutamente privo di relazioni, e in secondo luogo perché anche il neonato esperisce relazioni oggettuali d’amore e di odio.
“Da qui la rivalutazione dell’empatia, la definizione dei border-line, gli stati intermedi, da accogliere nella terapia empaticamente come madri per poter accedere poi all’uso discriminante, paterno, dell’interpretazione, proprio come per le psicosi, anche se con tecniche diverse. Da qui lo spostarsi dell’accento dall’Io al Sè, pe includere più profondamente gli affetti, l’allargarsi di concetti. Se l’ empatia ci parla di contaminazioni, accoglimento magico, preverbale dell’altro attraverso l’immagine di se stessi, la riscoperta delle madri, l’importanza della simbiosi, allude all’incesto.-
E l’incesto ci porta a Tebe, a Edipo ….
Incesto che la nostra cultura teme come la morte, la regressione, il riassorbimento che rimanda all’indistinto, l’indifferenziazione, il divoramento come antagonista della continuità dll’Io. Incesto come contrapposizione ai nostri valori, al nostro Io allora. Certo, ma al nostro Io, ai nostri valori storici. E l’io matriarcale? (1)
[…….]
Per cui la paura dell’incesto è solo il prodotto del principio patriarcale che deve negare il ritorno al grembo, alla indifferenziazione del non vissuto, dell’inconscio, come perdita di sè e follia. Di questo ci parla Edipo, molto di più che del conflitto col padre. Per questo è stato assunto in cielo, come altri ero, e poi Maria nell’Olimpo cristiano, ma cieco, depotenziato, chiuso nella sua interiorità, colto esclusivamente come regressione, condannato solo a vedere narcisisticamente se stesso senza più vedere il mondo, ma costretto, proprio per questo anche a delegittimarsi. Cieco e depotenziato, dicevo, assunto in cielo per neutralizzare contrari minacciosi e antagonisti, divinizzandoli a patto di snaturarli, come Dioniso….(1)
[…]
Anche Antigone, figlia di Edipo, sangue di Labdacidi è di questo segno, minacciosa. Ma per lei il cielo resta vuoto, non ci sono dei che la proteggono, che la redimono anche a patto di trasfigurarla, sfigurala. Proprio per questo Antigone ritorna secolo dopo secolo: lo spettro dell’eticità della disubbedienza che perseguita l’eticità dello Stato. (1)
[….]
il narcisitico antigonico ‘non tradire te stesso’che dalla controcultura investe il pacifismo e utti gli aspetti non violenti della contestazione ha la stessa base, nucleo,matrice sucui l’estrema irriducibiole opposizione al sistema, allo Stato ha costruito la sua eticità.
[….]
 
E per questo senza togliere nulla alla condanna politica del terrorismo che non può essere che definitiva, perentoria, inequivocabile, per la violenza, il sangue versato, per le distorsioni a cui ha obbiligato l’opposizione al sistema, per l’arroganza di agire in nome delle masse
(qui il narcismo sano come autodeterminazione ed estensione del sè -sfera dei bisogni e dei desideri – diventa narcismo insano di un io egoico -trofo totalizzante- che soffoca ogni possibile affermazione di un sè aperto e cooperante con altri sè in rivolta contro l’interdetto -liberato dalle varie forme di oppressione dall’interno e dall’esterno.)
Ma la condanna politica e comprensione psicologica non sono dello stesso registro. (1)
[…]
Antigone è la continuazione della opposizone cosciente (della perdente ) perchè incarnandosi in una donna rende esplicita, senza maschera la sostanza della violenza che la sovrasta. Il cielo per lei è vuoto perchè nessun dio vuole diffendere la sacralità del suo diritto a seppellire il fratello(terrorista) , perchè gli dei sono tutti, ormai, omologhi alla legge scritta che la condanna. Non ci sono diritti per i vinti. Per questo il suo gesto di testimonianza senza trasfigurazioni: non può esserci pietà per lei come non ce ne stata in migliaia di anni per le madri, le donne uccise.(1)
[..[]
Solo un sistema globale di auto-determinazioni individualmente e universalmente responsabili, liberato per sempre dalla penuria e dai suoi perversi esiti psicologici e normativi, che non necessiti più della violenza della sanzione come unica alternativa all’auto-esclusione perchè in grado di gestire contrattualmente tutte le contraddizioni, non farebbe più tornare la figlia di Edipo. (1)
(1) frammenti tratti da Paolo Trachina, la rinascita delle dee, pp.209-214 -edizioni Metis-1991.
Presentazione a cura di Pino de March, docente e ricercatore della Comune Accademia -Comuni-mappe-
 
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Breve presentazione prime lezioni interattive:
 
LE TRE FERITE NARCISISTE E LA CRISI DELL’UMANESIMO ED ANTRO-POCENTRISMO           

Relaziona Pino de MARCH della Comune Accademia 
– Libera Comune Università Pluriversità Bolognina

“…Freud ha visto bene le implicazioni di questo portare l’inconscio in primo piano quando ha parlato delle tre grandi ferite narcisistiche che il pensiero moderno ha arrecato agli uomini. La prima ferita narcisistica è stata quella inflitta da Copernico: l’uomo non è più al centro dell’universo perché la Terra è semplicemente un pianeta che gira intorno al sole insieme ad altri pianeti; la seconda ferita è stata quella provocata da Darwin, che ha mostrato come l’uomo non sia una creatura che viene direttamente da Dio, ma piuttosto un animale che viene da una filiera biologica, da cui si differenzia per via evolutiva; la terza è che la coscienza non è la sovrana assoluta che voleva la tradizione – e in fondo anche quando noi guardiamo noi stessi, magari per giustificarci, ci rendiamo conto che le cose non stanno così, che c’è tanto di non conosciuto che ci determina e ci guida.”
Umberto Galimberti in Freud, Jung e la psicoanalisi
 

La lezione interattiva – le tre ferite narcisiste e la crisi dell’umanesimo e antropocentrismo- verterà su  un frammento delle lezioni di Sigmund Freud , “effettivamente tenute all’università di Vienna, come professor extraordinarius, tra il 1915-17 (Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse)  (leioni di introduzione alla Psicoanalisi).

Il frammento che sarà oggetto di commento è tratto dalla 18  lezione, parla della scoperta dell’inconscio e racconta di come lui e l’amico psichiatra dinamico(* ) Breuer arrivarono ad essa  attraversando l’isteria delle loro pazienti. Freud e Breur avviarono così il definitivo declino dell’umanesimo e dell’antropocentrismo dominanti, enunciando le tre storiche ferite narcisiste inferte dalla modernità e dalla scienza emergente all’uomo. Per uomo s’intende il maschio prima che la femmina, visto che le donne erano le vittime insconscie del suo dominio patriarcale incotrastato; tra le altre cose le stesse donne pazienti  saranno l’oggetto di un’infintà di terapie (dalla caccia alle streghe degli inquisitori ad una  certa psichiatria ipnotista e organicista. 
Bertha Pappenhein, era tra le  più note pazienti di Freud-Breuer celata sotto lo pseudonimo Anna O (il modo con cui venivano nominati i casi clinici).  
 
(*)Dinamici erano chiamati i medici-psichiatri della fine dell’ottocento  che abbandonavano la  settecentesca pineliana(Pinel è lo psichatra illuminista francese iniziatore della psichiatria determinsta-organicista) visione determinista della malattia mentale spiegata sulla base di una relazione di (causa-effetto) e  anche di quella  organicista  la quale associava ogni malattia del corpo alla patologia di un organo, allo stesso modo le malattie mentali venivano correlate alla patologia del sistema nervoso;  questi psichiatri  dinamici cominciavano ad intuire che i sintomi della cosidetta malattia metale non era associabile per causa ed effetto ad un organo di riferimento ammalato come poteva essere  inteso in quel tempo il cervello ma piuttosto  che  tali sofferenze dipendevano  da una afflizione psichica  o da dinamiche relazionali patogne familiari.
 
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NARCISISMO E RELATIVE PSICOPATOLOGIE SOCIALI
 
ERICH FROMM, da: PSICOANALISI DELL’AMORE , 1964.
A cura del Dottor. Giuseppe Battaglia.
Fromm afferma che: “ la fonte dell’irrazionalità e del male, non è nell’uomo ma nella società, in specie quella contemporanea”. Mette in rilievo tre fenomeni che formano l’aspetto più deviato e pericoloso della vita dell’uomo: “amore per la morte (necrofilia), narcisismo maligno e fissazione simbiotica”. Quest’orientamento, produce la “sindrome narcisistica di decadimento”, che spinge a distruggere per amore della distruzione e ad odiare per odiare, riducendo la coscienza al silenzio. Tutte le forme di autoritarismo in misura diversa, creano dipendenza e rientrano nella “sindrome di decadimento”, all’opposto vi è la “sindrome di crescita”, che promuove l’amore per la vita contro la morte, l’amore per l’uomo contro il narcisismo maligno, la ricerca di indipendenza contro la fissazione simbiotica e l’idolatria. La “sindrome di crescita”, promuove l’essere creativo, lo sviluppo e la democrazia.
Nel narcisista, esistono solo esperienze emotive soggettive, essi non reagiscono realisticamente al mondo esterno come succede nell’illusione paranoica. Paure e sospetti soggettivi nel paranoico si oggettivizzano nel mondo esterno, in tal modo si convince che gli altri sono dei cospiratori contro di lui e allora si predispone alla guerra. La differenza fra paranoico e nevrotico è data dal fatto che il nevrotico, ha paura di essere odiato e perseguitato e lo sa, per il paranoico, tutto ciò è verità, la paranoia è diventata un modello di funzionamento. Esempi storici di personalità narcisistiche collocabili nell’ambito della follia che hanno raggiunto un potere straordinario, sono stati: i faraoni d’Egitto, i cesari di Roma, Hitler, Stalin, ecc. Questi, convinti di essere Dei, hanno esercitato un immenso potere fondato sulla morte, Fromm direbbe che questi erano affetti dalla sindrome di decadimento maligno.
 
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RIFLETTERE SULL’EUROPA


Se si vuole fare una storia dell’Europa, questa storia la si deve riscrivere perché è storia di attraversamenti e contaminazioni.


                            Ratto di Europa (Mosaico del III secolo d.C.), rinvenuto a Byblos e conservato al Museo nazionale di Beirut


La libera comune università pluriversità Bolognina

promuove una

Assemblea popolare della cittadinanza attiva dell’Europa minore

Tema :
LA  GRANDE DELUSIONE EUROPEA:  
FUGGIRE L’AUSTERITA’
“contro l’assolutismo finanziario per ricostruire una solidarietà sociale continentale”

VENERDI 14  MARZO 2014 – dalle ore 20.30  alle 23

c/o  
SALA CIVICA CUBO – VIA ZANARDI 249 – Bologna  
(BUS 18 – frequenza 10/15 min. scendere centro sociale pescarola- )
Una iniziativa che vuole anche essere un dialogo aperto con la nascente lista Tsipras 
Relazionano circolarmente:
  • Franco Berardi – attivista politico culturale
  • Margherita Romanelli – cooperatrice internazionale 
  • Marco Trotta – mediattivista  
  • Gabriella Covri – animatrice filosofa di comunimappe

Accordatore assembleare
Pino de March

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APPROFONDIMENTI

(!): CORO PER UN”EUROPA MINORE:

passaggi interiori/
ti immagino metafora deleuziana /
non ti immagino Grande Europa letteraria/economica/ militare/ imperiale
/ti immagino /deterritorializzata / sconfinata come tuoi cieli invernali/ /Blu notte/ illuminata dalla luna /
Ti detesto Europa/ territorializzata nella bandiera / rare stelle/ cielo blu opaco /senza mediterranee lune/
Ti detesto Europa territorializzata /
/con i tuoi temporanei lager di detenzione/ /senza cieli blu /
/senza stelle/ in tutte le stagioni /notti atroci per gli stranieri/
ti detesto Europa delle torri dei mercanti/ delle Banche/ degli stati di precarietà senza socialità/
Ti immagino Europa in divenire/ coi migranti/ mondo d’umani/
Ti Ascolto/ Ti Danzo /europa ribelle/ con i cantanti beuers/ delle tue banlieus/
passaggi esteriori/
ti ritrovo nelle mappe dei tuoi movimentati sognatori/:
passaggio numero 1: in Europa nessun essere umano è illegale /
passaggio numero 2: in Europa tutti gli umani devono avere un reddito di cittadinanza /per esistenze extra/
passaggio numero 3: in Europa la guerra è bandita/ come lo sono il razzismo / le diseguaglianze di ogni genere/
 
passaggi anteriori/
Ti rimmagino metafora benjaminiana/
Ti rimmagino europa nomade dei tuoi Ulissi/ naviganti / esiliati / senza terra/
dei tuoi tempestosi/ celebrali freethinkers/scienziati/ filosofi /politici/
dei tuoi tempestosi/emozionali freelands/artisti/poeti/musicisti/
Ti rimmagino europa bruniana dei mille campi di fiori /dei mille liberi pensieri/ dei mille liberi giudizi/dei mille liberi amori/
Ti rimmagino europe de l’ amour/ pour la libertè, l’ègalité, la fraternité des citoyenes de la Comunne de Paris
Ti rimmagino europa der Liebe/ fuer die Gleicheit der Karl Marx /der Rosa Luxemburg /der Karl Liebnecht /
der Bertold Brecht/
Ti rimmagino europa libertaria e cosmopolita/ de los Durrriti anarquistas espagnoles/
Ti rimmagino europa della fratellanza universale di Francesco D’Assisi
Ti rimmagino europa delle donne sagge /bruciate come streghe/sui roghi/ nelle piazze delle cattedrali/ sfidanti
il cielo/
Ti rimmagino europa beat/ desiderante nel pensiero e nell’azione/ degli operai/ degli studenti/ dei filosofi autonomi
del maggio/degli altri mesi / degli altri anni/ a venire/in tutte le tue città /

Ti rimmagino europa della glastnost/della trasparenza/dell’insostenibile leggerezza dell’essere nel pensiero e nell’azione/
degli operai /degli studenti/ dei filosofi dissidenti/ / nelle varie primavera di Praga/ di Budapest /
di Varsavia/
Ti rimmagino europa gaya dell’amore/ negato per secoli/
Ti rimmagino europa della libertà/ dell’uguaglianza/ della sorellanza/ tra/ tue/ lingue / disparate/
Ti rimmagino europa della resistenza delle masse/
Ti agisco europa della disobbedienza delle moltitudini/
Ora e sempre/ Europa delle sognatrici/
Ora e sempre/ Europa degli amanti delle umane genti/
Europa minore/
minore/
minore come l’asia /
del pastore errante/
dai passi leopardiani/

 Pino De March

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Omaggio a Danilo Dolci

La maieutica dolci
In questo tempo urlato ove ogni giorno dalle ceneri spuntano ciarlatani e pubblicitari con sempre nuove  menzogne, che fanno breccia tra la gente comune sollevando aspettative ed illusioni (like-mi piace) che si tramutano  in rapide delusioni (no like-non mi piace), la maieutica di Dolci fatta di circle timee  metafora della domanda può essere una buona terapia per vaccinarsi contro questa liquidità diffusa.
Circle time
Negli anni immediatamente successivi alla proclamazione della Repubblica, e sono gli anni cinquanta e sessanta del secolo scorso, nella Sicilia come nel resto del paese perdurano analfabetismo, miseria, emigrazioni,  ingiustizie sociali ed oppressioni verso le donne e le nuove generazioni;
Danilo Dolci  un poeta e  un filosofo  pacifico non pacificato,
 s’impegna ad  attivare assemblee popolari con la gente comune: braccianti, contadini, pescatori, operai, artigiani, intellettuali, giovani e donne;
  vi è in lui “una  costante tensione a generare quelle condizioni antropologiche, sociali e politiche che permettono ai singoli individui di maturare una consapevolezza del proprio valore, del proprio potere, il bisogno di farsi sentire, di valorizzare la propria esistenza. È un processo che trova in Danilo Dolci una connotazione pedagogica. “
crescita di  un popolo
“Tali processi dal basso vengono da  lui stesso definiti  di  “crescita collettiva”, di crescita di un popolo, che non possono essere imposti dall’alto”, ma generati in circle time, in una circolarità che si fa reciprocità e conoscenza di sé e della propria condizione  antropologica e sociale.
Il suo impegno come educatore è volto a organizzare la speranza di un cambiamento a partire dalla presa di coscienza di ciascuna persona del proprio valore, delle proprie capacità e
quindi  delle potenzialità di generare nuove strutture auto-organizzate e generatrici di saperi popolari volti a progettare solidi  presenti comuni e solidali con uno sguardo lungo sul futuro.
Questo processi immersi nei conflitti sociali del suo tempo: hanno generato  individuazioni di classe, di genere e di generazione, e nella comune problematizzazione  pacifiche soluzioni.
metafora della domanda
“Se c’è una metafora che può caratterizzare l’esperienza pedagogica di Danilo Dolci è senz’altro la
metafora della domanda. Possiamo definire Dolci come l’educatore della domanda, ossia l’educatore che innesta tutta la sua azione formativa sul chiedere, sull’esplorare, sul creare,
sull’interrogazione, ovviamente non in senso scolastico, ma nel senso dello scavo, dell’andare oltre
l’apparente, cercando di scoprire il “non-noto”, ciò che è velato dalle tradizioni, dalla consuetudine,
dagli stereotipi. In questo sta il richiamo all’approccio maieutico, per cui Danilo Dolci è famoso,
alla pratica del tirar fuori, del porre gli educati nella condizione di allargare la propria sfera di
apprendimento a partire dalla capacità di utilizzare in maniera costruttiva le domande. “
(per queste riflessioni  mi sono avvalso di un testo di Daniele Novara, il gusto della domanda)
Per la comune accademia di comunimappe pino de march

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CAOSMOSI  EUROPEA

Europa minore nel suo divenire uno dei tanti mondi minori

L’attraversamento dei territori Kafkiani da parte di Deleuze e Guattari e le osservazioni che essi ne hanno tratto, ci permettono di formulare una costituzione immaginaria di quello che desidereremo diventasse l’Europa. 

“La letteratura minore non è la letteratura d’una lingua minore ma quella che una minoranza fa di una lingua maggiore. Il primo carattere di tale letteratura è che in essa la lingua subisce un forte coefficiente di deterritorializzazione. Kafka definisce in questi termini l’impasse che impedisce agli ebrei di Praga l’accesso alla scrittura e fa della loro letteratura qualcosa di impossibile; l’impossibilità di non scrivere, impossibilità di scrivere in tedesco, impossibilità di scrivere in un’altra lingua… L’impossibilità di scrivere in una lingua diversa dal tedesco è per gli ebrei di Praga il sentimento di una distanza irriducibile rispetto alla primaria territorialità ceca.
Insomma il tedesco di Praga(e di Kafka) è deterritorializzato, adatto a strani usi minori(si veda in un diverso contesto, cosa possono fare i neri con l’americano). La letteratura minore è tutta diversa: l’eseguità del suo spazio fa si che ogni fatto individuale sia immediatamente innestato sulla politica…” La letteratura minore, infine – ed è questo il terzo carattere – tutto assume un valore collettivo.
(Attraversamento di Deleuze e Guattari di Kafka, pp. 27-29.)
I geofilosofi Deleuze e Guattari concepiscono la letteratura dopo l’attraversamento dei testi di Kafka come concatenamento o enunciazione collettiva di un popolo minore con tutta una serie di divenire.
Un divenire molteplice in cui è in gioco la vita, il desiderio e l’evento.
In questo momento in europa si giocano due visioni dell’europa:
una chiusa, spaventata e celebrativa della sua ricchezza economica e culturalmente eurocentrica ed una altra aperta, riflessiva e critica della società delle virtuali e reali abbondanze, empatica verso lo sconosciuto e pronta a confrontarsi anche con la durezza del divenire impetuoso dei migranti.
La prima visione rimanda alla clinica, al socio-patologico, al modo in cui il desiderio delle moltitudini viene piegato e bloccato lungo le linee ormai militarizzate delle frontiere-fortezze di Senghen e nei centri di detenzione per stranieri.
Il Castello-Europa sognato dai migranti come luogo della ricchezza (passaggio imperiale) e dei diritti umani (passaggio umano) si trasforma rapidamente in una reale fortezza kafkiana appena qualcuno dei altri mondi prova ad avvicinarsi alle sue mura virtuali; alla maniera del guardiano-super-io dell’agrimensore del castello di Kafka, il migrante viene bloccato sulla soglia malgrado che le porte siano aperte. Ma qui a bloccare l’accesso al castello non è l’autocensura del super-io dell’agrimensore ma la censura del super-io paranoico degli europei che si interdicono un possibile incontro con lo sconosciuto-migrante.
La seconda visione rimanda invece alla critica, in quanto fa interagire i desideri dei fuori(gli extra-comunitari) con i desideri dei dentro (intra-comunitari), provando così ad inventare nuove lingue e nuove forme di vita europee.
Lingue minori alla maniera di Proust, che come lo leggevano i nostri amici e filosofi Deleuze e Guattari ha saputo inventare una nuova lingua straniera dentro alla lingua francese.
Lingue minori anche alla maniera di Kafka che scrivendo in tedesco ha saputo inventare una nuova lingua tedesca attraversata dalle inquietudini della sua vita, dalla cultura ebraica appresa dalla madre e da quella ceca della sua città.
Lingue queste tutte minori non certo minoritarie.
L’europa minore nel suo divenire-ricombinante degli europei
Nella letteratura minore si iscrivono i movimenti di creazione dei vari divenire della vita e dei desideri.
I movimenti migranti nel divenire europei (flussi migratori) e i movimenti europei nel divenire mondo (flussi degli alterglobal), determinano un doppio movimento fuori-dentro-dentro-fuori, che ricrea nuovi passaggi comunicativi e di ricchezza non solo per l’Europa minore ma anche per i mondi minori attraversati dai flussi bidirezionali.
Il pensiero critico e minore si trova a fronteggiare oggi sia contro gli stati clinici locali e globali euro-americani con le loro guerre umanitarie e sicuritarie, con i loro no-tollerance, con il loro fondamentalismo economico liberista ma anche contro gli stati clinici neo-localisti  e fondamentalisti extraeuropei con il loro terrorismo, con le loro guerre etniche, con le loro segregazioni, con le loro guerre religiose.
Stati clinici psicotici occidentali bloccano i passaggi di vite alle soglie delle loro fortezze, lasciando passare solo degli schiavi a termine di lavoro e stati clinici nevrotici globali mercificano le forme di vita umane e naturali nello loro stressanti borse valori, dove tutto viene ridotto a merce.
Gli aggregati politici, sociali e culturali spontanei dell’Europa-minore e gli aggregati degli altri mondi minori con cui si è in relazione dopo Seattle e Porto Allegre non sono differenze o minoranze irriducibili nell’identità, come qualcuno continua a presentarci mediaticamente nella versione noglobal, ma singolarità comunicanti e disposte alle mutazioni (alterglobal o alterlocal).
L’europaminore non è l’europa delle differenze identitarie alla maniera dei Baschi, dei Bretoni, dei Celti-padani etc o dei vari separatismi) ma neppure l’Europa dei fondamentalismi religiosi in qualsiasi forma si presentino ( cristiani, ebraici, mussulmani, induisti, testimoni di geova etc), economici(liberismi moderati o radicali) o politici(terrorismi, razzismi, nazionalismi, localismi, xenofobia, omofobia).
L’europa minore non è la semplice europa delle differenze ma un’europa complessa delle singolarità comuni (differenza della differenza della differenza).
Ci sono delle differenze date storicamente e dal dominio(classe, genere, etnico etc) ma queste differenze comuni nei loro processi di liberazione(movimenti specifici) danno origine ad altre differenze(singolarità).
E queste singolarità si concatenano con altre singolarità(movimento dei movimenti) per dare vita ad una sfera pubblica comune delle singolarità.
Il dominio globale contemporaneo riconosce solo le differenze sociali, politiche, antropologiche e comunitarie ipostatizzate nella forma del benettonismo, del corporativismo, dei localismi, e dei nazionalismi e le individulità ipostatizzate in forma consumistica ed imprenditoriale ma disconosce qualsiasi forma di singolarità comune che aspiri all’autogoverno locale-comunalista o all’autorganizzazione economica e sociale nella forma della cooperazione politica o nelle pratiche dell’autovalorizzazione.
Singolarità comuni o comuni singolarità che si costituiscano in sfere comuni per ricreare rapporti di cooperazione autonoma al fine di aprire conflitti con i poteri dominanti per creare nuove possibilità di socializzazione della ricchezza socialmente prodotta(reddito), per rendere autonomi e produttivi socialmente i saperi, per lasciare ibridare le culture e permettere a queste di inventare nuove forme di società.
L’europa minore è l’europa delle città autogovernate che immagina e pratica la moltiplicazioni delle forme di vita ricombinate dal desiderio di vita, di una vita.
L’europa minore allude a forme di vita dis/identitarie e dis/topiche.
L’europa minore non è un luogo o un non luogo ma un passaggio,
l’europa minore non ha una identità definita e neppure una identità indefinita ma è una concatenazione comune in divenire creolo o ibrido di singolarità desideranti che si lasciano contaminare dai flussi umani e culturali che vengono dai vari fuori.(altri mondi).
L’europeo in divenire è un europeo complesso, non semplicistico e afasico alla maniera di Bossi –Fini-Berlusconi, è un intra-comunitario-extra (afro-europeo, euro-asiatico, euro-americano etc)
L’europeo in divenire porterà con sé non un segno bloccato(trattino) di separatezza metafisica(extra-comunitario) ma un segno nomade (trattino) di legame complesso(extra-comunitario-intra).
C’è un trattino linguistico che blocca i flussi desideranti di vita (frontiere-fortezze)-/-/–/–/
C’è un trattino linguistico che lascia passare i flussi desideranti di vita (passaggi) —-____——-__
Europa minore immaginata e il suo futuro anteriore
L’europa minore non allude a forme di vita alienate e mercificate dal capitale economico -finanziario .
L’europa minore crea nuovi passaggi di ricchezza tra nord e sud e tra ovest e est, crea nuovi passaggi culturali che ci permettono di pensare un’europa minore ed impensata, un’europa dove la vita scorre dentro di essa.
Nelle frontiere tra l’europa e il mondo, l’europa minore intende far parlare l’indicibilità dei migranti e degli europei in movimento nei due sensi.
L’europa minore immaginata è terra di passaggio, come del resto l’europa è stata nei secoli per gli invasori, i nomadi, i pellegrini e gli umani in cerca di nuove terre.
Tutti questi flussi deterritorializzanti nel bene e nel male hanno permesso all’europa geografica di divenire storia, alla natura europea di divenire cultura europea attraverso quella greca, romana, fenicia, romano-barbarica, normanna, araba, ebrea, asiatica etc.
L’europa e gli europei sono il prodotto di ricombinazioni genetiche e linguistico-culturali disparati.
Se si vuole fare una storia dell’europa, questa storia la si deve riscrivere perché è storia di attraversamenti e contaminazioni.
Testo elaborato da pino de march  per un’azione teatrale di strada dentro all’European Social Forum di Firenze 2001

donna & psicoanalisi Sabine Spielrein 

LA LIBERA COMUNE UNIVERSITA’  PLURIVERSITA’  BOLOGNINA
presenta 
 
donna & psicoanalisi
Sabine Spielrein 
 
 
“Sabine Spielrein è stata una delle prime donne a praticare e scrivere come terapeuta  delle psicopatie. Fu una  pioniera come Tony Wolf, Maria Bonaparte,  Anna Freud e Helen Deutsch,  Lou Andrè Salomè” (Donatella Massara)
VENERDI’   7  marzo  2014
 
HUB Via serra 2/F (stradina laterale al Teatro Testoni)
Dalle ore 19 alle 22
Sabine Spielrein 
film – Prendimi l’anima – di R. Faenza
 
pausa  aperitivo conviviale
 
segue  presentazione  amori-pensieri-vita di una protagonista del XX secolo
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Note e scavi
Negli  ultimi anni del 1977, Aldo Carotenuto, uno psicoanalista junghiano docente di Teoria della personalità  presso l’Università di Roma e deceduto alcuni anni fa,  scopre per caso una collezione di documenti  dispersi da lungo tempo.
Essi sono stato  conservati,  sempre per puro caso, in anni passati, negli  scantinati di un edificio che era stato in anni passati, sede dell’Istituto di Psicologia di Ginevra.
Le carte sono appartenute alla dottoressa Sabine Spielrein , una delle pioniere della psicoanalisi, che nei primi anni del Novercento aveva  per qualche mese analizzato Piaget.
Nel 1923, la Spielrein, decise di tornare alla sua Russia,  e fu  probabilmente  in quell’occasione che abbandonò quelle carte. 
Tra i documenti rinvenuti  vi erano 20 lettere di Freud molte più altre di Jung.
Dalle lettere si comprende la straordinaria influenza che Sabine Spielrein esercitò sull’evoluzione del pensiero di Jung e del  ruoloche ebbe nelllo sviluppo della psicoanalisi freudiana e junghiana. E questo emerge non solo dalle lettere che Freud e Jung le scrissero, quanto dagli abbozzi e dalle copie delle lettere che lei scrisse  loro e del suo diario frammentario ma estremamente rivelatore.
Da queste lettere e questo frammentato diario ho tratto informazioni per questo breve mio  abstract-
BIO-PSICO-GRAFIA
Sabine Spielrein nacque a Rostov sul Don il 6 novembre  1885; figlia primogenita di genitori colti e benestantI,   il nonno e il bisnonno sono stati rabbini profondamente rispettati. 
Durante l’adolescenza  Sabine soffrì di un disturbo consiederato da alcuni come schizofrenico e da altri come una grave forma di isteria con tratti schizoidi.
Nell’agosto del 1904 i genitori seriamente preoccupati la condussero all’ospedale psichiatrico Burghoelzli  di  Zurigo di fama internazionale.
K. Jung  lavorava in questo ospedale fin dal 1900.
Sabine fu una tra i primissimi pazienti che Jung  tentò di curare con  la tecnica psicoanalitica; precedentemente  il suo interesse era andato alle pratiche  delle “libere associazioni”  da cui si poteva rivelare molto della vita interiore, studio questo a cui la stessa Sabine prese parte.
Nel 1905 Sabine si iscrisse alla facoltà di medicina dell’Università di Zurigo.
Poco tempo dopo stette abbastanza bene da poter lasciare l’ospedale e proseguire la terapia come paziente esterna di Jung.
Nel 1911 ottenne la laurea in medicina, discutendo una tesi dal titolo: Contenuto psicologico di un caso di schizofrenia”.
La paziente Sabine Spielrein diventò una studiosa  di schizofrenia,  un medico che curava i disturbi mentali,  una originale pensatrice  le cui idee acquistarono la massima importanza nel sistema freudiano come in quello junghiano.
La relazione amorosa  di Sabine Spielrein ebbe con Karl Jung  ebbe un’importanza  notevole più su di lui e sul suo sistema psicoanalitico che viceversa.
Si parlò di una relazione assimetrica tra Sabine e Karl dal punto di vista sia teorico che pratico, ma anche nell’anomalia di amanti durante la terapia;    in realtà la  relazione tra i due fu  una complice relazione simmetrica : da un lato Jung contribuì come analista a farla abreagire (a farle rivivere il trauma e a farle superare il disturbo ) e dall’altra  la Spielrein  fornì  a Jung  la soluzione pratica e teorica del suo stesso disturbo ;
a  seguito del  mancato riconoscimento d’amore  di karl, la Spielrein assumerà verso Jung  un atteggiamento  ambivalente,  da un lato ella non perse mai  il profondo affetto verso di lui  per esserli stato amante e  maestro-iniziatore alla psicoanalisi, dall’altro provava un profondo astio  e disagio  per l’amore tradito ma più ancora per  l’indifferenza  al  suo amore, che lo stesso Jung  in  riconobbe come una sua bassezza. Qui  le strade cominciarono a divaricarsi :  sia fra loro che verso  il fondatore della psicoanalisi che sarà per Jung il terzo testimone  incomodo.  Mentre  la  Spielrein si accostava a Freud,  Jung  si allontanava da lei e dalla psicoanalisi freudiana. 
Quello che emerge dai carteggi e dalle lettere  tra Sabine e Karl e Freud  è  la taciuta e mai riconosciuta  influenza  che il pensiero di lei ebbe sullo sviluppo delle  due più importanti tecniche psicoanalitiche.  Si capirebbe di più questa influenza se gli eredi di Jung concedessero come hanno fatto  quelli di Freud di rendere pubblico il contenuto delle lettere che Jung scrisse alla Spielrein (circa 46 lettere).
La relazione della Spielrein  con Jung non fu quella di  semplice musa ma di colei che lo assistè  nella sua evoluzione intellettuale.
Dai documenti che  disponiamo  sostiene Bruno Bettlheim e Aldo Carotenuto,   da cui ho tratto molte delle informazioni sui protagonisti di questa nostra ricerca e in particolare sulla  vita  di una sconosciuta ricercatrice e psicoanalista  Spielrein ,  emerge senza alcun dubbio che  alcuni concetti psicoanalitici attribuiti fino ad oggi a Freud e Jung,  furono generati  anche dal contributo  dato alla ricerca da parte diella Spielrein.  Sua  l’idea  dell’ “limmagine delll’anima” della donna nell’incoscio dell’uomo.  L’importanza  data  all’anima dalla psicoanalisi junghiana  è da attribuirsi a Sabine. Non si può neppure tacere  il rilevante contributo che la Spielrein diede al sistema freudiano.  Pochi  anni prima che Freud incorporasse nel suo sistema il concetto di “pulsione di morte” e gli assegnasse un ruolo vitale, la Spielrein scrisse e pubblicò  sullo -Jahrbuch fuer psycoanalistische  und  psycopathologie Forschungen del  1912 – un suo saggio embrionale –sulla distruzione come causa di creazione- che presentò all’interno della struttura psicoanalitica;  si tratta di una sua disertazione sul  rapporto della pulsione di morte e con la pulsione sessuale che Sabine  presentò un anno prima della pubblicazione di Freud  al circolo psicoanalitico di Vienna.
Ma anche molti concetti junghiani  sono direttamente o indirettamente dovuti alla Spielrein.
Non solo il concetto di -Anima – ma anche quello di –Ombra-: che emerge nella personalità repressa, incoscia, autonoma, sembra  derivino  da lei.
In una lettera a Freud in cui Jung cerca di scagionarsi dalle accuse che la Spielrein li fa sostenendo tali giustificazioni  .“di aver avuto un’idea totalmente inadeguata delle sue componenti  poligame, e che grazie a ciò ha imparato dove e come appendere il diavolo  per gli zoccoli”. Jung scrive riferendosi alle esperienze vissute con la Spielrein.  Mi sembra difficile pensare dice Bruno  Bettelheim  che in particolar modo  le ipotesi della persona, dell’anima e dell’ombra non siano che  il distillato di quella esperienza (di transfert e controtransfert).
In una sua lettera  resa pubblica del 1909 alla Spielrein K. Jung scrive: “l’amore di Sabine mi ha reso conscio qualcosa che prima si presentava confuso, cioè una potenza che determina il destino dell’inconscio, questo più tardi lo condusse a delle cose importanti.
Non si deve scordare che Sabine aveva anche altre passioni : la musica. 
Esperimento asilo bianco di Mosca
Sabine si era impegnata a diffondere la psicoanalisi nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche  (URSS) ne dopo  la rivoluzione russa del 1917.
Nel suo Asilo Bianco di Mosca curava ed educava con il  metodo psicoanalitico,  e fu per quei tempi  un’esperienza originale;  si  dice che anche Stalin ci mandasse suo figlio;  ma fu proprio sotto la dittatura staliana che venne ordinata  la soppressione di quella straordinaria esperienza.  Sabine lavorerà  fino al 1936-37 a Mosca dopo di che ritornerà nella sua Rostov.   Il marito da cui avrà due figli morirà poco prima di lei in un ospedale psichiatrico.  
Il lavoro di Vera Schmidt e di Sabine Spielrein
“ negli anni 1921-1923 a Mosca, sulla scia delle profonde trasformazioni politiche e sociali inescate dalla Rivoluzione d’ottobre si colloca un esperimento educativo originale, promosso da Vera Schmidt, una pedagogista formata  alle idee psicoanalitiche, che si proponeva di cercare nuove vie educative per la prima infanzia.  Sulla base delle recenti conquiste e conoscenze fornite dalla teoria psicoanaitica di S. Freud.    Con questo  abstract si vuole ricordare le figure delle due studiose Vera Schmidt e Sabine Spielrein che animato l’iniziativa, il cui lavoro scientifco è riamsto in ombra rispetto a quello dei loro più famosi colleghi S. Freud e K.Jung;   infine si intende rendere conto dei principi educativi che esse cercarono di mettere in pratica nell’asilo sperimentale di Mosca.” ( tratto dall’abstract “ il  lavoro di Vera Schmidt  e di Sabine Spielrein  nell’asilo bianco sperimentale di Mosca”   – blog PaolaSchiavulli-.
 la sua morte rimase per lungo tempo un mistero;
 in questo spazio tempo  qualcuno  provò  a risolvere il mistero  ricorrendo  come tutti  fanno  quando mancano riscontri  reali a delle ipotesi , ipotesi   che col passare tempo, e passando di bocca in bocca assurgono   verità.  Si era ipotizzato che fosse finita vittima di una delle tante purghe staliniane;  le cose però  andarono per lei seppur  tragicamente in altro modo.
In un articolo “Sabina mellan Jung och Freud “  (Sabina  tra Jung e Freud)   – della rivista svedese  Expressen  (1983) , lo studioso di lingue slave  M. LJUGGREN  rivela di essere riuscito a recuperare a Mosca alcune fotografie della Spielrein e a precisare meglio il tempo e le modalità della sua morte.                          Nel  1941 i nazisti che avevano occupato  Rostov sul Don rinchiusero tutti gli ebrei  nella sinagoga  e li trucidarono.  Sabine  che non era stata catturata, si presentò  con le figlie al comando militare  nazista per cercare notizie della scomparsa di alcuni parenti  e anche lei non sortì una sorte diversa.
(testo  elaborato da   Pino de March –
per la Comune Accademia della libera comune  università pluriversità bolognina)
facebook: Comuni Mappe – libera comune università bolognina

EVENTI GENNAIO 2014


DEBITO (i primi 5.000 anni)
David Graeber

VIVO EVENTO ANTROPOLOGICO ECONOMICO E POLITICO

Comunimappe propone una lettura collettiva di alcuni stralci significativi del libro che più di ogni altro ha fatto da supporto culturale alle proteste dei movimenti contro la finanziarizzazione del pianeta.

VENERDI’ 24 GENNAIO 2014

c/o HUB via Serra 2/f (dietro il teatro Testoni) Bolognina 

Accorda il dibattito Pino de March
Legge e commenta il libro di Graeber Paolo Bosco
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h. 18.30 – piccolo aperitivo conviviale
h. 19.00 – presentazione, commenti e letture dal libro DEBITO (ed. il Saggiatore)
h. 20.00 – discussione con i presenti
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Approfondimenti:

– Secondo Graeber il problema dei debiti è che averne troppi non solo fa male ma, ancora più importante, rovina la propensione degli esseri umani ad aiutarsi a vicenda.

Biografia. 
David Graeber è un antropologo e un militante anarchico. Ha proposto lo slogan, poi divenuto universale, dove si mette in evidenza la proporzione tra chi detiene nel mondo la ricchezza e chi la subisce (il 99%). Graeber ha contribuito a far diventare “Occupy Wall Street” un movimento globale.
Graeber è diventato un attivista solo dopo le proteste del 1999 contro il vertice dell’organizzazione del commercio (World Trade organization)  di Seattle. A quel tempo era professore associato a Yale, e si rese conto che stava nascendo il movimento a cui aveva sempre desiderato di partecipare.  Per Graeber questo è stato un periodo particolarmente felice. A  New Haven faceva lo studioso,  a New York,  dove passava gran parte del suo tempo, faceva  l’anarchico.  In quell’insieme di militanti, artisti e burloni che si autodefiniva  Direct Action network (rete di  azione diretta) , aveva trovato una nuova comunità.  La pacchia è finita nel 2005, quando Yale gli ha revocato il contratto prima che Graeber potesse concorrere ad una cattedra.  Lui ha presentato ricorso,  ed il suo caso è diventato una causa, non solo nell’Università ma anche all’interno della comunità dei docenti di  antropologia. Graeber sostiene di essere stato preso di mira , almeno in parte a causa del suo attivismo politico. Altri hanno affermato che l’università moderna  è proprio querl genere di organizzazione gerarchica a cui  Graeber si opponeva sul piano filosofico e alla quale era inadatto per temperamento. Oggi Graeber è assistente di antropologia sociale presso la Goldsmith University of London.


Sul libro:

 “ Graeber prova a dare una risposta a molti interrogativi: perché per esempio, pagare i debiti è considerato moralmente doveroso e, al tempo stesso chi presta soldi per vivere è malvisto?  Gli argomenti usati da Graeber lo pongono in aperto contrasto con il pensiero economico dominante, tanto che finora gli economisti lo hanno per lo più ignorato.  Ma per raggiungere un pubblico più vasto non avrebbe potuto scegliere un momento migliore. Il suo libro fornisce infatti un inquadramento intellettuale al movimento che ha contribuito a creare.  La rabbia ancora amorfa dei manifestanti di Zuccotti park  tende a concentrarsi intorno a due elementi: il primo il peso del denaro in politica, l’altro  è il debito: mutui, carte di credito, prestiti agli studenti e, soprattutto,  il diverso trattamento riservato, dopo la crisi finanziaria del 2008 ai debiti delle grandi finaziarie e a quelli dei cittadini.  “il suo è un  pensiero profondo. Graeber studia i movimenti e le rivoluzioni da sempre “, dice Kalle Lasn, fondatore di Adbusters, la rivista anti-consumista canadese che ha lanciato la protesta.   E’ uno capace di chiedersi: “questa cosa che stiamo vivendo è qualcosa come il sessantotto o come la rivoluzione francese? “.  Per Graber, infatti, gli sviluppi attuali si inquadrano in una vicenda più generale: nella storia il debito è servito per controllare i sudditi e le loro risorse, con il solito obiettivo di finanziare le guerre. E quando un numero sufficiente di persone s’indebita troppo, di solito scoppia la rivolta. “

Testo tratto da  Drake Bennett,  BLOOMBERG BUSINESSWEEK , USA,  
( Internazionale –  922 – novembre 2011)


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 PRESENTAZIONE DEL LIBRO


Alex sta dormendo





VENERDI 17 GENNAIO 2014
VIA SERRA 2/F Bologna Bolognina
ORE 18,30 
Aperitivo letterario con l’autrice
Ore 19,00
PRESENTAZIONE  LIBRO con l’autrice Sabrina Leonelli
accordatore pluriverso Pino de March


Questo libro attraversa la vita e la morte, scandagliando con forza sentimenti ed emozioni in un afflato di fiducia e speranza con cui guardare e sentire la propria esistenza e chi ci circonda. E’ il tentativo estremo di non smarrire la bellezza che è dentro di noi e di conservare lo sguardo estasiato e autentico che gli avvenimenti e il tempo possono trasformare in rinuncia. Una storia autobiografica portata alla luce attraverso flash back onirici, in cui si fonde presente e passato, realtà e sensazione, amore per la natura e per gli sport estremi, più che mai capaci di celebrarla, assieme all’esperienza sublime e mistica dell’essere madri.

Frammento:

“questo libro è dedicato ad un uomo che ha attraversato la mia vita, che ho amato e non c’è più.  Vorrei che sapesse che ho pensato a lui in ogni istante della sua costruzione, che lui è dentro ad ogni singola parola, che ho scritto e anche a quello che ho pensato e che restano ancora sospese nell’aria in  attesa di essere catturate, dentro ogni pagina e in ogni spazio lasciato libero dalle parole,  e dai pensieri. Perché lui è in me. Lui ha ispirato questa storia.”

Benvenuto a chi a voglia di entrarci. Ad Alex, mio fratello, comunque e ovunque tu sia.

Sabrina Leonelli è nata a Bologna nel 1968 e risiede a Castel Maggiore.
Ha una laurea in materie letterarie e la fortuna di intraprendere ogni dieci anni 
una professione affascinante: insegnante di scuola dell’infanzia; ufficio stampa, 
responsabile della comunicazione del Comune di Granarolo dell’Emilia, e dal 2009 
gli è stato affidato il servizio biblioteca e cultura.
In qualità di giornalista, ha ricoperto diversi incarichi per enti pubblici e privati, 
e ha curato progetti culturali, di promozione territoriale e sulla sicurezza stradale. 
Attualmente è anche ufficio stampa di Asp Seneca (azienda di servizi alla persona 
dell’Unione comunale Terre d’Acqua, nella provincia di Bologna).
Nella primavera del 2013 un suo racconto di letteratura per ragazzi è stato segnalato 
dalla giuria del Premio letterario Navile di Bologna.
“Alex sta dormendo” è il suo primo romanzo ed è una storia condita in maniera 
prevalente da aspetti autobiografici, che si muove attorno alla figura di Alex, 
morto realmente nel ‘99 in un incidente stradale (il titolo è realmente il messaggio 
da lui registrato nella segreteria telefonica e emblematico nello svilupparsi della 
vicenda). E’ una storia che interseca fantasia e realtà, in un intreccio in cui situazioni 
e suggestioni sono state assemblate dall’autrice, che spesso non ha fatto altro che 
tesserle assieme, perché erano già di fatto elementi narrativi: prodotti dalla vita, che è 
un grande generatore di idee e fantasia.

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PRESENTAZIONE DEL LIBRO

“Non c’è notte tanto lunga che tu non possa camminare ancora nel sole”
di Valerio Giovetti

VENERDI’ 10 GENNAIO H. 18

HUB – VIA G. SERRA 2 G – BOLOGNA Bolognina

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SINTESI
Gianni Michelini, docente di estetica all’Università di Bologna, vive un’esistenza di misurata rassegnazione dopo la tragica perdita della figlia in un incidente d’auto e la conseguente fine del prorio matrimonio. Mentre partecipa come relatore alle discussioni delle tesi di laurea, rimane colpito da una studentessa – Amelia Borghi – che lo incuriosisce per la contegnosa serietà e per il fatto che si presenta completamente sola all’importante appuntamento. Senza altre finalità che quella di dare una risposta alla propria curiosità e sentendosi anche un po’ ridicolo, invita Amelia a prendere un caffè. Ma dopo un inizio di conversazione quasi rilassato, la ragazza sparisce inspiegabilmente lasciando sul tavolino del caffè un anello. Gianni si improvvisa investigatore e tenta di rintracciare Amelia per restituirle l’anello. Nel racconto si innestano veloci flash back nei quali si delinea la storia parallela del rapporto di Gianni con la figlia Anna. Un romanzo all’apparenza introspettivo, che acquista ritmo col procedere della storia ambientata tra l’Emilia Romagna e Venezia. Una scrittura schietta e senza filtri che affronta con distacco e senza falsi moralismi temi ancora “scomodi” in Italia come l’omosessualità di entrambi i generi, o decisamente scabrosi come la pedofilia e le violenze sui minori.
Valerio Giovetti, chi sono:
Sono nato a Bologna il primo di febbraio 1960 e oggi vivo a Imola. Mi sono laureato in Storia contemporanea e successivamente anche in Lingue e letterature straniere all’Università di Bologna, dal 1991 sono insegnante di Lettere presso istituti statali di secondo grado. Tra il 1997 e il 2010 ho insegnato lingua e cultura italiana in varie Università di Stati Uniti, Ecuador e Venezuela. Nel 1995 ho pubblicato il mio primo romanzo “I prigionieri dell’identità” (Synergon, Bologna).

DISOCCUPAZIONE CREATIVA E BENI COMUNI

Settimo Convivio dedicato a Ivan Illich 

                           Bologna, sabato 30 novembre – domenica 1 dicembre 2013



Presso l’HUB di via Luigi Serra 2/G, Bologna 

Organizza: Banca del Tempo Momo con la collaborazione di Comunimappe
 
Sabato dalle ore 10 con pausa pranzo conviviale (ognuno può contribuire portando qualcosa da bere o da mangiare) – Domenica dalle ore 10 alle ore 13
 
Interverranno
 
Jean-Michel Corajoud (Cercle des lecteurs d’Ivan Illich, Losanna, Svizzera): Ivan Illich e l’autonomia secondo la parabola del Samaritano
 
Andrea Sedini (San Feliciano sul lago Trasimeno): Intorno a “Non ci indurre nel diagnostico, ma liberaci dalla ricerca della salute” – Lettera di Illich a Manfredo Pace per il Simposio “Malattia e salute come metafore sociali” (Bologna 25-28 ottobre 1998) – Il corpo cibernetico come non corpo.
 
Adele Cozzi, Gabriella Orsi, Maria Messina, Daniela Conti (gruppetto di amici di Marzabotto e dintorni: Una pagina di Illich da leggere
 
Luigi FinelliIllich e Platone – Riflessioni di uno s-docente di filosofia
 
Claudio Orrù e Matteo Chinosi (Varese): Beni comuni? Commons? Ambiti di comunità?  – La difficoltà di descrivere il “fare comune” attraverso il linguaggio odierno
 
Pino De March (Comunimappe, Bologna): Illich, Marx, Polanyi e i Beni Comuni
 
Paolo Bosco (Comunimappe, Bologna): Il gigante dalle gambe di argilla non può fallire – Oltre il concetto di morfologia applicato alla realtà sociale, Illich e la sua eredità oggi.
 
Giusi Lumare (Banca del Tempo Momo, Bologna): Pratiche sociali di reciprocità
 
Salvatore PanuPratiche dell’autogestione collettiva ed estorsione istituzionale
 
Parteciperanno inoltre
 
Aldo Zanchetta (Lucca), Moreno Morara (San Lazzaro di Savena), Mauro De Filippo (Bologna) ed altr*…

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APPROFONDIMENTI

DISOCCUPAZIONE CREATIVA
Ivan Illich
Prefazione.
Nell’ultimo decennio ho preparato e pubblicato un certo numero di saggi (1) sul modo di produzione industriale. Durante questo periodo mi sono soprattutto occupato dei processi attraverso i quali una crescente dipendenza da beni e servizi prodotti in serie elimina a poco a poco le condizioni necessarie per una vita conviviale.
Ciascun saggio, nell’esaminare un settore diverso della crescita economica, dimostra una regola generale: i valori d’uso vengono ineluttabilmente distrutti quando il modo di produzione industriale raggiunge quel predominio che io ho chiamato monopolio radicale. Questo saggio e quelli che lo precedono descrivono in che modo la crescita industriale produce la versione moderna della povertà. Questo tipo di povertà fa la sua apparizione quando l’intensità della dipendenza dal mercato arriva a una certa soglia. Sul piano soggettivo, essa è quello stato di opulenza frustrante che s’ingenera nelle persone menomate da una schiacciante soggezione alle ricchezze della produttività industriale. Essa non fa altro che privare le sue vittime della libertà e del potere di agire autonomamente, di vivere in maniera creativa; le riduce a sopravvivere grazie al fatto di essere inserite in relazioni di mercato. Questo nuovo tipo d’impotenza, proprio perché vissuta a un livello così profondo, difficilmente riesce a trovare espressione. Siamo testimoni di una trasformazione appena percettibile del linguaggio corrente, per cui verbi che una volta indicavano azioni intese a procurare una soddisfazione vengono sostituiti da sostantivi che indicano prodotti di serie destinati a un mero consumo passivo: imparare, per esempio, diventa acquisto di un titolo di studio.
Traspare da questo un profondo cambiamento dell’immagine che gli individui e la società si fanno di se stessi. E non è solo il profano che fa fatica a descrivere con precisione ciò che avverte. L’economista di professione non sa riconoscere quella povertà che i suoi strumenti convenzionali non sono in grado di rilevare.
Il nuovo fattore di mutazione dell’impoverimento continua tuttavia a diffondersi. L’incapacità, peculiarmente moderna, di usare in modo autonomo le doti personali, la vita comunitaria e le risorse ambientali infetta ogni aspetto della vita in cui una merce escogitata da professionisti sia riuscita a soppiantare un valore d’uso plasmato da una cultura. Viene così soppressa la possibilità di conoscere una soddisfazione personale e sociale al di fuori del mercato.
Io sono povero, per esempio, una volta che per il fatto di abitare a Los Angeles o di lavorare al trentacinquesimo piano abbia perduto il valore d’uso delle mie gambe. Questa nuova povertà generatrice d’impotenza non va confusa col divario fra i consumi dei ricchi e dei poveri, sempre maggiore in un mondo in cui i bisogni fondamentali sono sempre più determinati dai prodotti industriali.
Tale divario è la forma che la povertà tradizionale assume in una società industriale, e che i termini tradizionali della lotta di classe adeguatamente mettono in luce e riducono. Distinguo altresì la povertà di tipo moderno dai prezzi gravosi imposti dalle esternalità che gli accresciuti livelli di produzione rigettano nell’ambiente. E’ chiaro che questi tipi di inquinamento, di tensione e di carichi fiscali sono ripartiti in maniera ineguale, e che in maniera altrettanto ineguale sono distribuite le difese da tali depredazioni. Ma, come i nuovi divari in fatto di accesso, anche queste iniquità dei costi sociali sono aspetti della povertà industrializzata per i quali è possibile trovare indicatori economici e verifiche oggettive. Non è così invece per l’impotenza industrializzata, che colpisce indifferentemente ricchi e poveri. Dove regna questo tipo di povertà, è impedito o criminalizzato qualsiasi modo di vivere che non dipenda da un consumo di merci. Fare a meno di consumare diventa impossibile, non soltanto per il consumatore medio ma persino per il povero. A nulla servono tutte le varie forme di assistenza sociale, dalle azioni positive alla formazione professionale. La libertà di progettare e farsi a modo proprio la propria casa è soppressa, sostituita dalla fornitura burocratica di alloggi standardizzati. negli Stati Uniti come a Cuba o in Svezia. L’organizzazione dell’impiego, della manodopera qualificata, delle risorse edilizie, i regolamenti, i requisiti necessari per ottenere credito dalle banche, tutto porta a considerare l’abitazione come una merce anziché un’attività. Che poi questa merce sia fornita da un imprenditore privato o da un “apparatcik” (denominazione della burocrazia statale nel vecchio sistema sovietico – ndr), il risultato concreto è sempre lo stesso: l’impotenza del cittadino, la nostra forma, specificatamente moderna, di povertà.
Ovunque si posi l’ombra della crescita economica, noi diventiamo inutili se non abbiamo un impiego o se non siamo impegnati a consumare; il tentativo di costruirsi una casa o di mettere a posto un osso senza ricorrere agli specialisti debitamente patentati è considerato una bizzarria anarchica. Perdiamo di vista le nostre risorse, perdiamo il controllo sulle condizioni ambientali che le rendono utilizzabili, perdiamo il gusto di affrontare con fiducia le difficoltà esterne e le ansie interiori. Porterò l’esempio di come nascono oggi i bambini nel Messico: partorire senza assistenza professionale è divenuta una cosa impensabile per le donne i cui mariti hanno un impiego regolare e che possono perciò accedere ai servizi sociali, per marginali o inconsistenti che questi siano. Esse si muovono ormai in ambienti dove la produzione di bambini rispecchia fedelmente i modelli della produzione industriale. Tuttavia le loro sorelle che vivono nei quartieri dei poveri o nei villaggi degli isolati si sentono ancora perfettamente capaci di partorire sulle loro stuoie, senza sapere che rischiano una moderna imputazione di negligenza colposa nei confronti dei propri bambini. Man mano però che i modelli di parto promossi dai professionisti arrivano anche a queste donne indipendenti, vengono distrutti il desiderio, la capacità e le condizioni di un comportamento autonomo.
In una società industriale avanzata, la modernizzazione della povertà vuol dire che la gente non è più in grado di riconoscere l’evidenza quando non sia attestata da un professionista, sia egli un meteorologo televisivo o un educatore; che un disturbo organico diventa intollerabilmente minaccioso se non è medicalizzato mettendosi nelle mani di un terapista; che non si hanno più relazioni con gli amici e col prossimo se non si dispone di veicoli per coprire la distanza che ci separa da loro (e che è creata prima di tutto dai veicoli stessi).
Insomma veniamo a trovarci, per la maggior parte del tempo, senza contatti con il nostro mondo, senza possibilità di vedere coloro per i quali lavoriamo, senza alcuna sintonia con ciò che sentiamo.
Questo saggio è un poscritto al mio libro “La convivialità” (Mondadori, Milano, 1974; ora red edizioni, Como, 1993).
Rispecchia i cambiamenti avvenuti nel decennio trascorso, sia nella realtà economica sia nel mio modo d’intenderla. Parte dalla convinzione che si è avuto un aumento piuttosto notevole dei poteri non tecnici, cioè rituali e simbolici, dei nostri maggiori sistemi tecnologici e burocratici, con una corrispondente diminuzione della loro efficacia scientifica, tecnica e strumentale. Nel 1968 era ancora abbastanza facile liquidare ogni resistenza organizzata dei profani al dominio dei professionismo come un mero ripiegamento su fantasie romantiche, oscurantiste o snobistiche. La valutazione che io facevo allora dei sistemi tecnologici, guardando le cose dai basso e a lume di buon senso, appariva infantile o reazionaria ai leader politici dell’attivismo civico e ai professionisti radicali che accampavano il diritto alla tutela dei poveri in virtù dei loro specifici saperi.
La riorganizzazione della società industriale intorno a bisogni, problemi e soluzioni definiti da professionisti era ancora il criterio di valore comunemente accettato, implicito in sistemi ideologici, politici e giuridici che per altro verso erano in netta e talora violenta opposizione tra loro. Il quadro ora è cambiato. Oggi, simbolo di competenza tecnica avanzata e illuminata è la comunità, il quartiere, il gruppo di cittadini che, fiduciosi nelle proprie forze, si dedicano ad analizzare sistematicamente e di conseguenza a ridicolizzare i bisogni, i problemi e le soluzioni definiti sulle loro teste dagli agenti delle istituzioni professionali. Negli anni sessanta l’opposizione dei profani ai provvedimenti pubblici basati sulle opinioni degli esperti pareva ancora fanatismo antiscientifico. Oggi la fiducia dei profani nelle scelte politiche basate su tali opinioni è ridotta al minimo. Sono migliaia ormai coloro che fanno le proprie valutazioni e s’impegnano, con molti sacrifici, in un’azione civica sottratta a qualunque tutela professionale, procurandosi le informazioni scientifiche di cui hanno bisogno con sforzi personali e autonomi.
Rischiando a volte la pelle, la libertà e la rispettabilità, esprimono un nuovo e più maturo atteggiamento scientifico. Sanno, per esempio, che la qualità e la quantità delle prove tecniche bastanti per dire di no alle centrali nucleari, alla moltiplicazione delle unità di cura intensiva, all’istruzione obbligatoria, al controllo fetale a mezzo monitor, alla psicochirurgia, alle cure con elettroshock o all’ingegneria genetica sono tali che il profano può recepirle e utilizzarle. Dieci anni fa la scolarizzazione obbligatoria era ancora protetta da potenti tabù.
Oggi i suoi difensori sono quasi esclusivamente fra gli insegnanti, che ne dipendono per l’impiego, oppure tra gli ideologi marxisti che difendono i detentori di sapere professionali in una fantomatica battaglia contro la borghesia d’avanguardia.
Dieci anni fa i miti circa l’efficacia delle istituzioni sanitarie moderne erano ancora incontestati. Quasi tutti i testi di economia recepivano la convinzione che l’attesa di vita degli adulti fosse in aumento, che la cura del cancro procrastinasse la morte, che la disponibilità di medici avesse come risultato un più alto tasso di sopravvivenza infantile. Da allora a oggi, la gente ha scoperto ciò che le statistiche demografiche avevano sempre mostrato: che l’attesa di vita degli adulti non è cambiata in misura socialmente significativa nel corso delle ultime generazioni; che nella maggior parte dei paesi ricchi è oggi inferiore a quella del tempo dei nostri nonni, e persino a quella che si registra in molti paesi poveri.
Dieci anni fa era ancora un obiettivo prestigioso l’accesso universale alla scuola post-secondaria, all’istruzione per gli adulti, alla medicina preventiva, alle autostrade, a un villaggio globale imperniato sull’elettrodomestico. Oggi i grandi rituali “mitopoietici” organizzati intorno all’istruzione, ai trasporti, all’assistenza sanitaria e all’urbanizzazione sono stati in parte demistificati. Non sono stati però ancora abrogati. I costi occulti e gli accresciuti divari nei consumi sono aspetti certamente importanti della nuova povertà, ma io guardo soprattutto a un altro elemento concomitante della modernizzazione: il processo per cui non c’è pressoché nessuno che non veda erosa la propria autonomia, spenta la propria capacità di soddisfazione, appiattita la propria esperienza e frustrati i propri bisogni. Ho esaminato, per esempio, gli ostacoli che nell’intera società si oppongono alla presenza reciproca e che sono inevitabili effetti collaterali di un tipo di trasporto ad alta intensità di energia. Ho voluto definire i limiti di potenza dei veicoli a motore equamente usati per accrescere le possibilità di contatto tra le persone. Ho ovviamente constatato che le alte velocità impongono necessariamente un’impari distribuzione dei fastidi, del rumore, dell’inquinamento, nonché del godimento dei privilegi. Ma non è su questo che ho posto l’accento. Il mio discorso si accentra sulle internalità negative della modernità: l’accelerazione che fa sprecare tempo, l’assistenza sanitaria che produce malati, l’istruzione che istupidisce. La distribuzione ineguale dei benefici surrogati o l’ineguale imposizione delle loro esternalità negative non sono che corollari della mia tesi di fondo.
M’interessano in questi saggi le conseguenze dirette e specifiche della povertà modernizzata, la capacità dell’uomo di sopportarle e il modo per sfuggire alla nuova miseria. Io condivido con altre persone il desiderio profondo di maggiore giustizia. Sono assolutamente contrario all’ingiusta distribuzione di ciò che può essere genuinamente e piacevolmente condiviso. Ma in questi ultimi anni mi è parso necessario esaminare attentamente gli obiettivi di qualsiasi proposta redistributiva.
Oggi vedo il mio compito con maggiore chiarezza di quando cominciai a scrivere e parlare della mitopoiesi controproduttiva latente in ogni progetto industriale recente. Il mio scopo è stato quello di scoprire e denunciare la falsa ricchezza che è sempre ingiusta perché può avere soltanto effetti frustranti. Mediante questo tipo di analisi si può porre le basi della teoria che dovrebbe ispirare la rigenerazione sociale possibile per l’uomo del ventesimo secolo. Durante questi ultimi anni ho ritenuto necessario sottoporre a un riesame continuo la relazione tra la natura degli strumenti e il concetto di giustizia che prevale nella società che li adopera. Ho dovuto constatare come la libertà declini laddove i diritti sono formulati dagli esperti. Ho avuto modo di misurare che cosa comporta il cambio tra gli strumenti nuovi che spingono ad aumentare la produzione di merci, e quelli altrettanto moderni che permettono di generare valori col loro uso; tra il diritto a merci prodotte su scala di massa e il livello di libertà che permette un’espressione personale soddisfacente e creativa; tra l’impiego pagato e la disoccupazione utile. E in tutti gli aspetti di questa sostituzione della gestione “eteronoma all’attività” autonoma, mi accorgo quanto sia difficile recuperare un linguaggio che ci permetta di porre l’accento su quest’ultima.
Come i lettori ai quali intendo rivolgermi, sono un così convinto e impegnato sostenitore d’un accesso radicalmente equo ai beni, ai diritti e ai posti di lavoro che mi sembra quasi superfluo insistere sulla nostra battaglia per questo aspetto della giustizia. Trovo molto più importante, e più difficile, affrontare il suo complemento, la politica della convivialità. Uso questo termine nell’accezione tecnica che gli ho dato in La “convivialità”, intendendo cioè la lotta per un’equa distribuzione della libertà di generare valori d’uso, e per una strumentazione di tale libertà che sia ottenuta mettendo al primo posto assoluto la produzione di quei beni e servizi industriali e professionali che conferiscano ai meno avvantaggiati il massimo potere di generare valori nell’uso. Un indirizzo politico nuovo, conviviale, si fonda sulla convinzione che in una società moderna tanto la ricchezza quanto i posti di lavoro possono essere condivisi equamente e goduti nella libertà solo ponendo loro dei limiti mediante un processo politico. Forme eccessive di ricchezze e impieghi formali prolungati, per quanto ben distribuiti, distruggono le condizioni sociali, culturali e ambientali di un’eguale libertà produttiva. I “bit” e i “watt”, che qui vogliono dire, rispettivamente, le unità di informazione e di energia, se forniti sotto forma d’un qualunque prodotto di serie in quantità che superino una certa soglia-limite, diventano inevitabilmente ricchezza depauperante. La ricchezza o è troppo rara per poter essere spartita o distrugge la libertà e le libertà dei più deboli.
Con i miei saggi, ho cercato di dare un contributo al processo politico che deve portare i cittadini a riconoscere le soglie socialmente cruciali dell’arricchimento e a tradurle in tetti o limiti validi per l’intera società.
NOTE alla prefazione.
Nota 1: “Descolarizzare la società”, Mondadori, Milano, 1972.
“La convivialità”, Mondadori, Milano, 1974 (ora red edizioni, Como, 1993).
“Energia ed equità”, in “Per una storia dei bisogni”, Mondadori, Milano 1981.
“Nemesi medica”, Mondadori, Milano, 1977 (ora red edizioni, Como, 1991).

LABORATORIO DI RICERCA SUL SIMBOLO

IL  DIPARTIMENTO DEL FUOCO della COMUNE ACCADEMIA presenta:
LABORATORIO  DI RICERCA SUL SIMBOLO (Lezione / Seminario)


NOVEMBRE 2013


Presso: 
“HUB” – VIA L. SERRA 2/F 
(nei pressi del teatro Testoni alla Bolognina)
Il laboratorio è tenuto dal docente GIUSEPPE BATTAGLIA, vice-presidente dell’ISTITUTO FROMM di Bologna
coordinamento PINO DE MARCH, docente e animatore della COMUNE ACCADEMIA
1° LEZIONE
VENERDI’  15 NOVEMBRE 2013 (h. 18 – 20)
LE ANTROPOLOGIE, LE FILOSOFIE  ED IL  SIMBOLO
2° LEZIONE 

VENERDI’  22  NOVEMBRE 2013 (h. 18 – 20)
LE PSICOANALISI ED IL SIMBOLO
3° LEZIONE 

VENERDI’  29 NOVEMBRE 2013 (h. 18 – 20)
IL CORPO, LE SCIENZE ED IL SIMBOLO
————————————–
IL  SIMBOLO  

“Il  simbolo dà a pensare “  I. Kant
Simbolo: parola derivante dal greco Simbàllein che significa “mettere insieme”. Nell’antica  Grecia era diffusa la consuetudine di tagliare in due un anello o qualsiasi oggetto e darne una metà ad un amico ospite. Queste metà conservate dell’una e dell’altra parte, di generazione in generazione, consentivano ai discendenti dei due amici di riconoscersi (nel tempo). Questo segno di riconoscimento si chiamava simbolo. Platone riferendo nel Convivio o Simposio il mito di Zeus che, volendo costringere l’uomo senza distruggerlo (l’uomo che si presentava fin dalle origini nella sua totalità umana in forma di sfera con una testa, due faccie, quattro gambe e quattro mani), l’uomo che aveva osato ribellarsi al suo volere, lo tagliò in due (generando così  tre coppie umane, una coppia omosessuale maschile, una coppia omosessuale femminile ed infine una coppia eterosessuale maschile e femminile); Platone  conclude che da allora “ciascuno di noi è il simbolo di un uomo (Convivio 188-193); la metà che cerca l’altra metà diventa il simbolo corrispondente. 
Il simbolo come il segno è caratterizzato dal rinvio, ciò ha consentito da un lato di includere il simbolo  nell’ordine del segno con un suo corso specifico, dall’altro di opporlo al segno, perché mentre il segno compone in simbolo convenzionale (qualcosa con qualcosa d’altro – aliquid stat pro aliquo – qui esprime presenza), il simbolo invece invocando la sua parte corrispondente rinvia ad una determinata realtà che non è decisa  dalla convenzione, ma dalla ricomposizione di un intero.
(tratto da Voce Simbolo della Garzantina; il testo tra parentesi  è del redattore del medesimo)
IL SIMBOLO NELLE  FILOSOFIE  E NELLE PSICOANALISI

“Una meditazione sui simboli – sia essa quella di Eliade, di Jung o anche di Freud, o quella di Bachelard – insorge ad un certo momento della riflessione,  risponde ad una certa situazione della filosofia, e forse perfino della cultura moderna, che si deve cercare di comprendere. Direi in primis che questo ricorso all’arcaico, al notturno e all’onirico – che è pure, come afferma Bachelard nella Poetica  dello spazio, un accesso al luogo in cui nasce il linguaggio – rappresenta un tentativo per sfuggire alle difficoltà del punto di partenza della filosofia. Ben si conosce la spossante fuga all’indietro del pensiero in cerca della prima verità, e ancor più radicalmente alla ricerca del punto di partenza originario che potrebbe non essere affatto  una prima verità. Si deve forse aver provato la delusione connessa all’idea di filosofia senza presupposti  per accedere alla problematica che abbiamo evocato. Al contrario delle filosofie del punto di partenza, una meditazione sui simboli parte dal pieno del linguaggio e dal senso sempre già presente; essa parte dal linguaggio già esistente, dove tutto è già stato detto in un certo modo: vuole essere il pensiero con tutti i suoi presupposti. Suo primo compito non è cominciare, ma dal centro della parola, ricordarsi di sé. Il  momento storico della filosofia del simbolo è quello dell’oblio ed anche della restaurazione.                           

….        
Questo oblio, lo sappiamo, è la contropartita del compito grandioso di nutrire l’umanità, di soddisfare i bisogni, soggiogando la natura attraverso una tecnica planetaria. E’ l’oscuro riconoscimento di questo oblio (dell’uomo, della natura, dei segni del sacro) che ci spinge e ci incita a restaurare il linguaggio. Nella stessa epoca in cui il linguaggio si fa preciso, più univoco  – in una parola più tecnico – più adatto a quelle formalizzazioni integrali che si chiamano precisamente logica simbolica (parola che equivoca  simbolo),  in questa epoca vogliamo ricaricare il nostro linguaggio, ripartire dal pieno del linguaggio. Anche questo è un portato della modernità: infatti siamo, noi moderni, gli uomini della filologia, dell’esegesi, della fenomenologia della religione, della psicoanalisi.  La stessa epoca sviluppa la possibilità di svuotare il linguaggio e riempirlo di nuovo. Non siamo quindi animati dal rimpianto di Atlantide sprofondata, ma dalla speranza di ricreare il linguaggio.
“Il simbolo dà a pensare“, questa sentenza di Kant che incanta dice due cose: il simbolo dà;  io non pongo il senso, è il simbolo che dà il senso – ma ciò che esso dà è da pensare, è ciò su cui pensare. La sentenza suggerisce quindi, nel medesimo tempo, che tutto è già detto in forma di enigma e tuttavia tutto sempre deve essere cominciato e ricominciato nella dimensione del pensiero. Quel che vorrei sorprendere e comprendere è questa articolazione del pensiero dato a se stesso nel  regno dei simboli e del pensiero ponente e pensante.
Introduzione al testo – il simbolo dà a pensare – edizone Morcelliana – di Paolo De Benedetti.
(MATERIALE ELABORATO DA PINO DE MARCH)
                                                                                                                                                                                                                                                     

TEOLOGIA DEI QUATTRO ELEMENTI

                                                                      La comune accademia di comunimappe-università popolare della bolognina 

propone all’assemblea xm  un’attività di cooperazione culturale territoriale per il 18 ottobre.
AUGUSTO ILLUMINATI
Presentazione del libro La teologia dei quattro elementi  (edizione Mimesis)
Seminario – tema: “Strappare gli elementi alla teologia politica, per un  politeismo del bene comune.”
la presenza di  Augusto Illuminati sarà distribuita su  due giorni a Bologna:
1) primo giorno a Scienze Politiche
2) secondo giorno  nella sala grande  xm
programma

giovedì  17 ottobre 
orario da definire, pmeriggio sera a Scienze Politiche 
tema seminariale: singolarità e comunanza
venerdì  18 ottobre 
dalle 18 alle 20.30
sala grande xm 24
via fioravanti 24
presentazione libro e seminario
temi: liberare gli elementi e strapparli alla teologia politica e per un politeismo  del bene comune
materiale filosofico e politico di anticipazione e riflessione comune


Il politeismo del bene comune

Illuminati presentando il suo sopracitato saggio in un articolo di Alias-il Manifesto -17/11/2012- il politeismo del bene comune – così sintetizza la sua ricerca: ”abbiamo frugato elemento per elemento (d’acqua, d’aria, di fuoco e di terra) per cogliervi il dissidio profondo fra una lettura teologica che li riporta a ombre dell’unico Dio, e metafora dell’onnipotente sovrano politico, e il politeismo che vi legge potenze degli umani e della natura da Lucrezio, a Spinoza, a Goethe. “ e prosegue: “teniamo ora di definire una teologia del politeismo: una festa federale delle singolarità sociali in aggregazione ed in conflitto, non di comunità trasparenti (solo) a se stesse. Federazione di forme di vita come diceva G. Debord alla vigilia del 1968, copresenzaa simultanea di molti tempi federati. Intendendo per forma di vita una condizione definita da una struttura economica e sociale, per esempio dagli effetti debitori e occupazionali della finaziarizzazione, che produce precarietà (materiale,esistenziale e simbolica)…..”
e parecchio più in là..
ciascuna forma di vita ha un suo corredo di passioni gioiose e tristi, una diversa esperienza nel tempo, nel contrarsi del presente e correlativo perso della memoria e delle attese future, assume droghe disparate: varianti inconfrontabili con quelle tradizionali per effetto della corrosione del carattere e della precarizzazione del lavoro che ha reso irreversibili. La condizione precaria si schiaccia nella cittadinanza condizionata e ricattata del migrante, colorate dalla giovinezza, di cui le attitudini neoteniche, sono pretesto di feroce sfruttamento quanto testimonianza della flessibilità dell’animale umano nell’apprendimento prolungato. “ 
A.Illuminati-il politeismo del bene comune, alias-il Manifesto-22-11-2012.


“Il lavoro vivo post-fordista la condizione ein pech (una sfiga per Marx) della precarietà e la traducibilità reciproca delle forme della vita separate
il tocco adolescenziale implica e riproduce l’indole potenziale del lavoro vivo post-fordista, il rischio positivo della dipendenza di masse operaie dal vampiresco apparato del capitale fisso.
..
Nel III millenio, come prima per il lavoratore produttivo, essere giovani è una sfiga, ein pech, come scriveva Marx. La precarietà accomuna cerchie distinte e le mantiene nella separatezza, nel terrore di confondersi e precipitare verso il peggio. La traducibilità reciproca delle forme di vita, condizione per un riscatto dal debito e dalla crisi, rimane virtuale e senza egemonia (capacità gramsciana di influenzare positivamente l’intera società ed orientarla al cambiamento).” 
A.Illuminati-il politeismo del bene comune, alias-il Manifesto-22-11-2012.


La classe operaia nucleo essenziale e gli intellettuali nell’ottocento-novecento come attori dei processi di simbolizzazione (creare valori quali giustizia, libertà e cooperazione solidale) trasformazione radicale della società (rivoluzioni e conflitti capaci di generare nuovi diritti sociali e civili).
Nell’ottocento-novecento essa fu garantita dalla classe operaia delle grandi aziende minoritaria rispetto all’insieme dei lavoratori (artigiani, contadini, braccianti…), ma concentrata e disciplianata dal processo di produzione capitalista di cui costituiva il nucleo essenziale. La rinforzò l’avanguardia organizzata composta da intellettuali di origine borghese e quadri professionali di fabbrica (operai specializzati o di mestiere portatori di conoscenze specifiche ma anche alfabetizzati). Condizione non riproducibile (ora), almeno in occidente, per la frammentazione degli insediamenti industriali e della stessa tecnologia lavorativa (delocalizzazioni, esternalizzazione e lavoro autonomo eterodiretto, automazioni e riduzione della classe operaia di fabbrica s’aggiungono a quanto esposto). Non è semplice sostituirvi una qualche egemonia del precariato organizzato (e degli stessi migranti regolari e clandestini), per il solo fatto di concentrare il tratto comune del lavoro sfruttato. La società della conoscenza (e del cognitariato) si è rivelata nella crisi, una promessa inadempiuta in occidente come in Cina, per non parlare dei diplomes chomeurs (diplomati disoccupati) nel Magreb (le varie primavere arabe o turche nelle perferie mediorientali come le rivolte degli indiganti delle varie occupy nelle metropoli, tra loro interconnessi a livello globale attraverso i differenti social network ha provato forse ha manifestatarsi questa potenza sommersa e frammentata dei nuovi strati precari cognitari del lavoro vivo post-fordista). ).” 
A.Illuminati-il politeismo del bene comune, alias-il Manifesto-22-11-2012.

Disidentificazione e divenire-minore come condizione di assemblaggio di traduzione reciproca
La disidentificazione che accompagna il crollo del sistema sovranità-popolo e al fordismo produttivo precipita nel punto in cui l’oggettività dell’egemonia svela la traccia della sua contingenza, riaprendo il tempo evento della poltica. Il divenire-minore è condizione di un assemblaggio per traduzione reciproca di altre condizioni minori, soprattutto quando la forma di vita che vi si candida contiene intensivamente in sé alcuni tratti epocali e concomitanti di eccedenza e precarietà. L’organizzazione delle lotte storiche (delle classi subalterne ed operaie dei ecoli trascorsi) si radica nell’autodisciplian dei produttori garantita da una filosofia teleologica (finalistica, finalizzata a..), ma in un diverso rapporto con il general intellect (l’intelletto generale o il sapere sociale come prodotto del comune agire e dell’agire in comune ). La candidatura traduttiva e promozionale della frazione più intellettuale del lavoro vivo precario non si condensa in un gruppo sociale: il cognitariato è un soggetto identitario solo nel miraggio capitalistico della società della conoscenza(come capitale umano individualizzato, messo in competizione e al lavoro, sussunto nella rete della cooperazione ‘volontaria o della servitù volontaria “ e nel processo planetario di produzione sociale capitalista).
Politeismo
Politeismo vuole dire tenere distinte e comunicanti le forme della vita, senza accettarle per defenitive, anzi facendole giocare ad un superamento delle condizioni imposte dalla crisi.” Frammenti di A.Illuminati-il politeismo del bene comune, alias-il Manifesto-22-11-2012.
Prosegue:
“ abbiamo ispirato il nostro lucreziano politeismo a Venere, hominum divoque voluptas, che percuote i cuori con la sua forza vitale, v’infonde dolce amore, propagando le generazioni delle stirpi e assopendo le feroci opere della guerra. Rinneghiamo il regno totalitario del commerciante Mercurio (divinità della comunicazione e del commercio oggi inscindibili attraverso la menzogna di una certa pubblicità dominante nei media di massa) che arrichisce pochi banchieri e affama masse prostrate. Resta, ahinoi, Marte, la cui ferocia si accresce con i progressi della tecnologia e la ui presenza nell’agire umano non è agevole abrogare. Ebbe una funzione oggettiva nel portare a realizzazione gli schemi rivoluzionari virtuali dello scorso secolo, a partire dal 1871 (il popolo in armi non è semplicemente una metafora machiavelliana per indicare il legame tra sovranità e popolo in uno stato nazionale, ma una costante dell’agire politico moderno delle masse: la Comune di Parigi (1871), la rivoluzione d’ottobre (1917), le varie comuni europee dell’inzio secolo XX (la Berlino degli spartakisti, il biennio rosso italiano ecc.), la rivoluzione proletaria russa (1917), la rivoluzione sociale e libertaria spagnola (1936). Come escludere che abbia a che fare con il nostro tortuoso presente? Visto che nel segno di Mercurio non riesci a domare la crisi concordando un nuovo equilibrio geopolitico, l’appello di Marte torna a risuonare, come nell’agosto del 1914 e del 1939 (prima e seconda guerra imperialista occidentale), oppure nelle forme più decentrata della seconda metà del secolo trascorso e più di recenti disaventure mesopotamiche ed afgane (guerre globali neocoloniali e neo-imperiali). Un po’ di keynesismo militare non guasta mai per smaltire merci e poveri, mentre si affaccia la tentazazione di utilizzare la residua superiorità tecnologica Usa per ridimensionare pericolosi concorrenti sul nascere e tenere sotto controllo l’immigrazione anche una severa ammonizione a insubordinati e insorgenti cadrebbe a puntino. Se tale sciagurato scenario prevalesse, ogni iniziativa egemonica dal lato delle moltitudini subalterne ne verrebbe qulificata con tratti operativi nuovi ed esiti incerti. Da pagani novelli, interrogheremo gli oracoli, senza trascurare di erigere argini. ).”
A.Illuminati-il politeismo del bene comune, alias-il Manifesto-22-11-2012.

Il politeismo politico di A. Illuminati secondo Fabio Frosini
D’altra parte la teologia in quanto tale, al di là delle sue belle declinazioni, va ripercorsa e criticata, perché essa è potenza ideologica che mobilita energie –dalle passioni alle disquisizioni metafisiche, e le mette tutte in linea, come in una batteria. Ecco allora l’ipotesi di lavoro: “in generale potremmo ipotizzare che la teologia moneteista tende a chiedere l’incompletezza dell’universale, mentre quella poleteista (una nuova mitologia) che lascia sussistere sul piano dell’immaginazione simbolica, dell’ideologia e dunque della politica, cercando un altro tipo di unificazione tra teoria e prassi”. A. Illuminati.
Una qualche unità di teoria e pratica, la teologia è sempre in grado di realizzarla: si tratta di optare spostando l’accento del (non del) teologico verso il mitologico (verso un sapere laico ed antropologico), come in una regressione temporale, e di qui al politico, che in questo modo può riscattarsi da quel ruolo di “agente sotto copertura” che sempre ricopre nel caso ell’uso governativo della religione (considerata in senso machiavellico ixstrumentum regni ). In ogni caso, il lavoro da compiere non è solo sui contenuti, ma sullo stile, la forma insomma lo statuto del discorso teologico. Non mancano del resto, esempi: il frammento di sistema “Hegel-Hoederlin, opportunamente ricordato da Illuminati, continua a metterci dinnanzi alla stessa questione: la verità si definisce non nel muto dialogo del pensatore con l’universale, ma nel nesso politico reale con l’elemento popolare. La questione dunque: scavare dentro la teologia per riscoprire il fondo popolare cioè arcaico nell’immenso patrimonio mitologico e religioso occidentale ed orientale, nell’ipotesi di lavoro che solo moltiuplicando gli universali, questi vengono realmente mondanizzati, non solo come concetto, ma nella concreta pratica collettiva. Il fatto che la cancellazione (o eclissi) storica del partito come avanguardia di classe rimette a nudo una struttura di lunga durata, la religione come quel tessuto culturale, che più estensivamente e intensivamente , collegato le masse popolari: la teologia è il sapiente, astuto discorso strategico che imprigiona e articola questo tessuto e lo costringe a rimodellamenti continui sulla base delle contrastanti esigenze del momento. Il lessico-base della teologia, in quanto si esercita sulla religione, non può che essere allora quello dei quattro elementi, cioè del modo in cui le società indo-europee hanno parlato del mondo, della realtà, e che nonostante tutto, è ancora alla base del nostro vocabolario, quando non adottiamo un approccio settoriale. Se come scriveva Schmitt, “tutti i concetti pregnati della moderna dottrinaq dello stato sono concetti teologici secolarizzati”, allora la dinamica secolare delle cangianti necessità e opportunità politiche riscrive, necessariamente, la teologia stessa. Se il concetto di secoalrizzazione è il luogo di una disputa in cui nulla è mai dato, si comprende come la teologia politica sia la grammaica storicamente più durevoe e ramificata del potere. Dell’opzione poilteista s è detto: è la scelta per l’immanenza, che immediatamente significa il doppio rifiuto della logica della sovranità e di quello della governace, cioè della “variante pastorale”. La genealogia Machiavelli, Goethe, Nietzsche,nel segno di Lucrezio e di Spinoza, è una preziosa fonte di ispirazione, ma non basta. Come essi fecero, occorre praticare l’immanenza, non solamente pensarla. Occorre anzi pensarla in un modo, che sia incompleto senza la sua pratica. Ma in che forma ciò è possibile? Illuminati ripropone a modo suo, una hoelderliniana mitologia della ragione, e la pratica avventurandosi in questa “artigianale Elementatio thelogica”. La scorreria compiuta attraverso acqua, aria, terra e fuoco non può essere qui ricostruita , se non sommi capi e nel suo significato generale. Si tratta, banalmente di riappropiarci del mondo, ma non di un supposto mondo vergine al di qua della storia, bensì proprio del mondo, come è stato pensato, detto e governato sotto il prisma di ciascuno dei quattro elementi, arricchito e riformulato continuamente, secondo un sistema aperto di rinvii reciproci che cancellano in radice l’antitesi tra natura e cultira, tra spontaneità e potere. Dentro ogni elemento, la teologia politica, per controllare le spinte dei subalterni, ha inscritto elementi reciprocamente irrideucibili,stravolgendoli ma anche in certo modo salvandoli, per cui la storia degli elementi è anche la dimostrazione dell’inesauribilità del conflitto”. 

(F.Frosini: liberare gli elementi e strapparli alla teologia, alias il manifesto.)

Acqua
Così l’acqua è l’immagine del diritto di natura da Spinoza opposto alla chiusura del potere, è la fluctuatio animi rispetto alla ragione, ma anche il simbolo del dominio imperiale sui mari e, allo stesso tempo, della pirateria che a ciò si ribella dall’interno. E’ distribuzione democratica della vita ma anhe messa a regimee controllo di essa. F.Frosini: liberare gli elementi e strapparli alla teologia, alias il manifesto

Terra
La terra, come chora irriducucibile al discorso del logos, riemerge come territorio da spezzettare e da colonizzare, che però sempre i nuovo rivendica la propria unitariertà e comunitareità nei tumuliti condotti in nome di un altro diritto (di nuovo Spinoza). F.Frosini: liberare gli elementi e strapparli alla teologia, alias il manifesto.

Aria
L’aria (accomunata all’etere) è metafora della volatilità e della modernità, e dunque allo stesso tempo, del potere diffuso e dei modi per eluderlo: dalla totalizzazione dello spazio grazie alla cibernetica, all’articolazione materiale del conflitto nelle ricadute praticeh del General Intellect (per K. Marx, sapere sociale prodotto dal lavoro vivo nel corso el tempo). F.Frosini: liberare gli elementi e strapparli alla teologia, alias il manifesto.

Fuoco
Il fuoco, infine, allo stesso tempo è umile fiamma che riscalda, cuoce, conforta o rogo che annienta infedeli ed eretici; è simbolo manifesto dell’universale a anche, molto più banalmente, “contorno teatrale” del ctumulto come alternativa alla spettacolare fiammata rivluzionaria purificatrice. 

(F.Frosini: liberare gli elementi e strapparli alla teologia, alias il manifesto.)

RALLENTARE

Già Ernesto, almeno quarant’anni fa, seduto ad un improbabile tavolino da bar in mezzo ad un traffico automobilistico infernale, faceva notare che la vita moderna logora. Logora la sua essenza lanciata ad alta velocità, logora il mito di arrivare prima di tutti gli altri, logora quella vertigine scambiata per libertà e restituita a chi si precipita in picchiata sull’ultima novità.

 Oggi finalmente in tanti si accorgono del benessere che si può ottenere rallentando. Dal campo dell’alimentazione a quello della conoscenza la lentezza è sinonimo di qualità; anche in economia sono nati movimenti che sostengono la necessità di rallentare, di smettere col cronometrare ogni singola azione finalizzata alla produzione di merci. 

Alla gara competitiva contrapponiamo la passeggiata colloquiale, al pasto veloce una focaccia a lenta lievitazione, ai sommari i capitoli, ai bignamini i tomi, alle versioni ridotte gli originali.

Comunimappe accoglie con entusiasmo l’iniziativa dell’associazione vivere con lentezza. Un incontro sulla lentezza organizzato in collaborazione con l’associazione zona ortiva di via Erbosa.

Venerdì 4 ottobre a partire dalle 17

Via Erbosa 17 – presso la zona ortiva

Chi lo desidera potrà leggere una poesia, un frammento da un romanzo, da un saggio, insomma qualsiasi lettura che ispiri a chi la propone istanze riconducibili alla lentezza, alla visione particolareggiata del mondo.

Siete tutti invitati!!!