Omaggio a Edvino Ugolini e Eddy Kanzian


ALLEGRIA DI NAUFRAGI



REFRIGERIUM  è la denominazione di un rito che ha carattere funerario, si tratta di un banchetto di tradizione antichissima in onore dei defunti. Un gesto che vuol essere al tempo stesso ricordo e propiziazione di eterno gaudio e comunione fra i sopravvissuti e i defunti.

COMUNE RICORDO GIOIOSO  DI 
EDVINO UGOLINI / EDDY KANZIAN – poeti scomparsi la scorsa estate

Lettura di poesie e aperitivo 

LUNEDI’ 23 SETTEMBRE 2013 

DALLE 17 


ZONA ORTIVA – BOLOGNINA 

VIA ERBOSA 

FERMATA AUTOBUS 11 IPPODROMO – ARCOVEGGIO
(Attraversare la strada e prendere a sinistra via F.lli Cervi, in fondo si trova via Erbosa, prendere a destra e continuare oltre il ponte ferroviario fino ad incontrare l’ingresso degli orti).

ALL’EVENTO PARTECIPANO

CARLO BORDINI
LOREDANA MAGAZZENI 
PINO DE MARCH 
ALTRI ED ALTRE 

TEMA
Allegria di naufragi

(verso il 14 febbraio 1917)
E subito riprende
Il viaggio,
come dopo il naufragio
un superstite lupo di mare
(tresto di G. Ungaretti)
allegria di naufragi
Esultanza che l’attimo,  avvenendo,  dà perché fuggitivo,  attimo che soltanto amore può strappare al tempo. [….] E’  il punto dal quale scatta quell’esultanza d’un attimo,  quell’allegria che, quale fonte, non avrà mai se non il sentimento della presenza della morte da scongiurare “  
( Ugaretti, così commenterà  questo paradossale titolo –allegria di naufragi-).
RIFREGERIUM  o Banchetto funerario per Edvino ed Eddy  ?
In questo Refrigerium  o Banchetto funerario poetico  e filosofico  non possiamo non associare Edvino ed Eddy nel nostro comune ricordo   e  questo  Refrigerium  non può non essere gioioso, gioioso come  sono state le  nostre comuni  battaglie condotte da  poeti pacifici contro le passioni tristi,  gli odi e i rancori razziali, le varie fobie e paranoie  sociali – xenofobie, omofobie  e   contro quelle  “nuove” guerre  “democratiche ed umanitarie”  che non sono altro che la continuazione in forma “ di pace armata”  delle classiche guerre neo-coloniali ed neo-imperialiste per riappropriazione delle risorse materiali  da parte delle super-potenze  occidentali (G7) con la complicità dei restanti  (G 20)- strutturati come sovranità imperiali e complici di quelle potenze  banche e multinazionali o transnazionali che tengono  l’umanità in uno stato di permanente miseria  e scarsità  favorendo esclusivamente dipendenze e tossicità  e  gettano il mondo in uno stato di devastazione ambientale.
Guerre che producono morte e sofferenza  a miglia e miglia di persone – in primis bambini, donne, anziani, popolazioni civile  e agli altri esseri viventi, animali e ambienti naturali.
Guerre   che proseguono all’interno  come guerre sicuritarie e xenofobe contro  quei migranti, esuli e popolazioni che fuggono  da quelle periferie sconvolte dalle loro  guerre militari ed economiche; guerre che io, Edvin, Eddy ed altri ed altre – uomini e donne di buoni desideri di vita di una vita – abbiamo osteggiato con tutte le armi della critica, con la parola e i nostri  corpi  sulle strade delle nostre città come per ben sette anni sul sentiero di Rilke,  sentiero tracciato dentro a quel Carso che fu  scenario di morte e di Marte per lunghi anni nella prima  grande guerra; Carso che noi (io ed Edvino) abbiamo ribattezzato scenario di vita e di Venere. Ed Eddy non mancava mai di cooperare nell’organizzazione di questo evento annuale  contro le guerre, di  ricercare contenuti  e critiche sferzanti espresse sempre con leggerezza , di accompagnarci fino all’entrata del sentiero nonostante le sue difficoltà motorie.

Ad Edvino  nomade  e pacifico  poeta di pace, pace non pacificata, pace attiva come giustizia e libertà per popoli di tutte le  periferie dell’Impero-Mondo

Tramonto
(verso il 20 maggio 1916)
Il carnato del cielo
sveglia oasi
al nomade d’amore
(Giuseppe Ungaretti)
Questa volta  – l’ottava –  è mancata la condivisione di entrambi sul tema da dare alla camminata pacifica e dopo una solitaria e  lungo estate di riflessione e di  condiviso dolore,   ho pensato che il migliore tema potesse essere  – ALLEGRIA DI NAUFRAGI – titolo di una raccolta di  testi poetici  prodotti nelle notti, nelle pause  di guerra e nelle trincee di quel Carso campo di Morte  da  parte del nostro  maestro (come ci ha insegnato a riconoscere  ed apostrofare  gli uomini e le donne  portatori di valori e significati esistenziali e socilali Eddy Kanzian) poeta Ungaretti,  come tema di ricordo  e di resistenza  pacifica comune tra vivi e morti e tra compagni – cum panis -intesi nel senso di un altro maestro – tenente  scrittore  Rigoni  Stern, cioè coloro che dividono  fra il pane (ed Eddy direbbde qui anche le rose).
Edvino ed Eddy nelle loro esistenze impegnate civilmente hanno cercato  con intelligenza, con rabbia e con gioia attraverso una  resistenza poetica lunga una vita di portare la poesia nella vita e nella città, di dare forma poetica alla resistenza contro il dominio interconnesso economico-militare-mediatico contemporaneo, domino oggi interconnesso  di soggezione “democratica  e liberista“ di popoli e di individualità attraverso le nuove guerre umanitarie ( o sarebbe meglio definirle queste guerre Pax del G8 o del G20 ) la pace  delle nazioni più industrializzate del pianeta  o dei nuovi dominatori  che i latini chiamavano Pax romana e noi oggi poteremmo chiamarla  la Pace del capitale planetario  economico, civile e militare.
Vorrei iniziare questo banchetto funerario con alcuni frammenti  di emozioni  del poeta amico compagno Edvino Ugolini tratti da raccolta di poesia  Bagliori.
Meditaizoni esistenziali e poetiche  con Edvino Ugolini
Momenti  II
Perdonarsi di essere nati.
….
Illuminare  l’universo con la fantasia.
……
Invecchiare di Poesia.
…….
Inventare nuove parole.
………………
Ma non dimenticare i saggi.
………………………
E continuare  con la poesia di un altro poeta amico e compagno  Eddy Kanzian

IMPORTANTE  E’   FINIRE   BENE
(Testo composto nel luglio del 2012 e letto nel giorno del suo compleanno 13 agosto 2013)

IMPORTANTE   E’  FINIRE BENE
CON DIGNITA’
SENZA TROPPI RIMPINATI
COME NELLA MUSICA
INIZIARE  E’  FACILE
PROSEGUIRE POI
TRA  ALTI  BASSI
PIACERI  DOLORI   EMOZIONI
I RITMI DELLA  VITA
POI VIENE IL TEMPO
DI FINIRE PIU’   IMPEGNATIVO
NIENTE PER SEMPRE
DOBBIAMO ESSERE PREPARATI UN COLPO  DI RULLO
E  SUL PIATTO GRANDIE
LA MUSICA  E’  FINITA
(LA FESTA  APPENA COMINCIATA E’  GIA’  FINITA  )
MA  L’ANIMA  RIPRENDE A SUONARE
IL SUO JAZZ  LE SUE POESIE
NEGLI INFINITI .
Testo donatomi il giorno del suo compleanno (13 agosto 2013)
In quell’occasione ci sorprese tutti e tutte con questo parole che riprovo a ricostruire nella mia memoria : “non ho mai pensato che il personale non fosse politico, che la vita fosse scissa dall’impegno civile, e per
questo sempre anche gli avvenimenti più privati come i complenni sono  stati per me solo dei buoni pretesti per parlare dellesofferenze del mondo e di coloro che il capitale lascia ai margini”;
 inoltre aggiunse lasciandoci tutti e tutte estereffati: “ il tempo che mi resta da vivere si sta  esaurendo,  e restandomi poco tempo da vivere lo voglio vivere intensamente continuando nel mio  costante impegno sociale e di resistenza alle diseguaglianze “; tutti e tutte ci guardammo intorno come increduli a queste sue tragiche rivelazioni  e tutti e tutte avevamo difficoltà a crederci in quanto mostrava  una grande vitalità e spesso anche una realistica ironia provocatoria.  L’ho sentito al telefono durante la primavera scorsa e malgrado la sua condizione di vita stessero precipitando mai a perso la sua voglia di vivere, pensare, lottare e giocare con una saggia  intelligenza esistenziale, come si evidenzia da questo testo sopra riportato (all’amico maestro di vita e di  socialità , pino de march).

promuove evento:
Comuni mappe – libera comune università pluriversità bolognina
associati zona ortiva – bolognina 


info: 



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APPENDICE:


DONAZIONE DEL CORPO PER LA RICERCA MEDICA
Chi si occuperà del nostro corpo dopo la morte?
Perché è così importante sapere come sarà trattato il nostro corpo?
A chi delegheremo il compito del destino del nostro corpo cadavere?
Queste sono le domande assillanti che ci poniamo quando ci troviamo in avanzata età. Non ci fanno più dormire sonni tranquilli non sapere che fine faremo. Per chi ha una famiglia dei figli è più semplice, saranno i nostri eredi ad assumersi la responsabilità di comunicare le volontà per sentito dire o per conoscenza del proprio de cuius sul destino del proprio corpo, ma chi non ha nessun familiare come farà se non ci pensa a prendere delle decisioni in vita?
Per la cremazione infatti funziona proprio così: il familiare di primo grado, se non c’è vanno bene anche i gradi seguenti, fa una semplice dichiarazione di fronte al funzionario del Comune in cui sottoscrive che il parente in vita aveva espresso la volontà di essere cremato e l’autorizzazione alla cremazione viene concessa dal Responsabile del servizio immediatamente senza alcuna indagine e accertamento.
Per donare il nostro corpo per studio, che ha un valore altamente altruistico e di solidarietà per coloro che continueranno a vivere, non è sufficiente la dichiarazione del familiare, ma è necessaria l’espressione della propria volontà. Espressione di consenso di donazione del corpo che dovrà avvenire essenzialmente in vita.
Il Comitato nazionale per la Bioetica istituito presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha approvato recentemente il 19 aprile  e pubblicato il 20 maggio 2013 il parere riguardante la “Donazione del Corpo Post Mortem ai fini di studio e di ricerca”
Il parere riguarda la possibilità di destinare il proprio corpo, dopo la morte, sia ad attività di studio e ricerca, sia a quelle particolari attività didattiche di esercitazione di dissezione anatomica rivolta alla formazione medico-chirurgica di studenti specializzandi e specialisti. Secondo il regio decreto ancora in vigore del 31 agosto 1933, n. 1592 chi è solo e non è richiesto da parenti dopo la morte il proprio corpo è destinato alle indagini e ricerca scientifica, infatti l’art.32 del suddetto decreto recita proprio questo:
“Tutti i cadaveri provenienti dagli ospedali sono sottoposti al riscontro diagnostico. I cadaveri, poi, il cui trasporto non sia fatto a spese dei congiunti compresi nel gruppo familiare fino al sesto grado o da confraternite o sodalizi che possano avere assunto impegno per i trasporti funebri degli associati e quelli provenienti dagli accertamenti medico legali (esclusi i suicidi) che non siano richiesti da congiunti compresi nel detto gruppo familiare, sono riservati all’insegnamento ed alle indagini scientifiche.”
Nel rilevare la valenza etica ed altruistica della donazione del proprio corpo il Comitato Nazionale per la Bioetica sottolinea nel parere la non accettabilità etica di quanto previsto nell’articolo citato. La donazione del proprio corpo pur ispirandosi ad un principio di alto tenore altruistico e di solidarietà deve essere espressione di una libera e consapevole decisione del soggetto, pertanto debba essere rispettato il principio del consenso consapevole e informato del donatore e che il silenzio assenso non possa trovare qui alcuna applicazione. In definitiva il soggetto non può delegare né ai familiari né a rappresentanti la destinazione del proprio corpo morto. Il compito arduo dell’Ufficiale dello stato civile è accertare la volontà espressa dal defunto dell’esplicito consenso  naturalmente in vita circa l’utilizzo del proprio corpo non vitale. Solo ed esclusivamente i corpi cadaveri di coloro che in vita hanno espresso il libero consenso possono essere utilizzati per studio e ricerca e insegnamento ai sensi dell’art. 32 del regio decreto sopra descritto.
Muniamoci di carta e penna ed esprimiamo l’esplicito consenso consapevole e solidale del destino dei nostri corpi non vitali: sguardi sui corpi spirati dopo la vita specifica umana che se ne è andata e da quel momento diventa vita comune e sapere sulla vita dello spirato per ritrovare felicità vivente comune.
Marinella Africano

FRAMMENTATE RIFLESSIONI POETICHE E FILOSOFICHE

Materiali per progettare attività di ricerca e conoscenza, pratiche sociali per le prossime quattro stagioni della Comune Accademia
Concatenazioni indignate gioiose di apocalissi
E subito riprende
Il viaggio
Come dopo il naufragio
Un superstite
Lupo di mare
(Allegria di naufragi – Ungaretti) verso il 14 febbraio 1917, inteso nella notte tra il 13 ed il 14



1
Indignazione e passioni gioiose
Dentro l’apocalisse contemporaneo solo l’indignazione, è capace di tradurre le rabbie e le passioni tristi che il sistema coattamente riproduce in percorsi e progetti di metamorfosi gioiose , in empatiche e simpatiche relazioni umane (istituzioni costituenti aggregazioni sociali in senso humiano) perché il continuare ad attardarsi in passive attese di un di là paradisiaco (rassegnazione) , o in un al di qua di attesa di un ritorno a una perduta età dell’oro (ghetti dorati) o incattivirsi in infernali e disperate forme scettiche ciniche pulsioni autodistruttive (chiuse nella loro indifferenza, cinismo, passioni tristi rancorose) o peggio ancora chiudersi in se stessi (narcisismo o edonismo individualista) non ci porta lontano da possibili mutazioni e trasformazioni capaci di affermare vitalità comuni e singolari.
2
Macerie su macerie verso il futuro anteriore

Metamorfosi mito-poietiche generanti mutazioni che ricombinano pazientemente e  
gioiosamente macerie su macerie in forme comuni singolari.
“c’è un quadro di Klee che si intitola Angelus Novus.  Vi si trova un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe, che accumula senza tregua rovine su rovine e la rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta.” 
(W. Benjamin, tesi 9 della filosofia della storia)
3
Sviluppo contro progresso

Metamorfosi come generazioni di nuove forme valoriali e simboliche, politeiste affermazione di pluralità di valori e di società, erotiche (non intese in senso banale e riduzionista sessuale) pratiche di vita per salvare le cose amate dall’apocalisse capitalista sviluppista e consumista (economica e dietetica) e dal genocidio antropologico.
Il genocidio delle lucciole
“questa riflessione giunge al culmine in articolo destinato ad apparire sul “Corriere della Sera” tre anni dopo, “il vuoto del potere in Italia” (noto come l’articolo delle lucciole”) e che sarà incluso negli scritti corsari insieme ad altri testi …
L’”articolo delle lucciole” scatena un’enorme polemica politica , perché in esso Pasolini inaugura un concetto storiograficamente errato, ma profondamente efficace dal punto di vista euristico (della ricerca o dell’ipotesi assunta come idea direttrice nella ricerca) : quella di “regime democrstiano “, dove regime, naturalmente , non va inteso in senso politologico…..rispondono a questa lettura della realtà politica italiana (in modo polemico) anche molti altri intellettuali (oltre ad Andreotti che rivedica le notevoli trasformazioni avvenute in Italia negli ultimi trent’anni), tra cui Augusto del Noce, Roberto Guiducci nonché Franco Fortini sull’”Europeo”, quasi tutti per manifestare il proprio disaccordo sull’interpretazione della storia italiana e della crisi delle classi dirigenti proposta da Pasolini.
Fin dall’inizio dell’immediato secondo dopoguerra Pasolini aveva intrapreso una dura critica nei confronti del gruppo letterario che si stava raccogliendo attorno a Elio Vittorini e Franco Fortini, giudicando il loro lavoro troppo immediatamente propagandistico sul piano politico, e quindi scarsamente autonomo rispetto alle tendenze neocapitalistiche anche sul piano linguistico: era una resa alle posizioni del neocapitalismo in poesia, una letteratura affetta da sociologismo e rispecchiamento neorealistico, dal rifiuto dell’immaginario, dall’esaltazione del nuovo e della nuova società industriale.
“nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua […] sono cominciate a scomparire le lucciole.
Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante.
Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più.
Sono un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia tale ricordo, non può non riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta.”
La scomparsa delle lucciole decreta la fine di ogni illusione; in tono leropardiano, la gioventù è sparita anche nel rispecchiamento della nuova gioventù, in ciò Pasolini coglie l’avvicinarsi della vecchia.
“quel “qualcosa “ che accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque “scomparsa delle lucciole”. A far scomparire le lucciole è il regime politico.
Sono sempre la società e la politca a determinare i grandi mutamenti economici. L’economia non si spiega mai di per se stessa, non è autoreferenziale.
 “Il regime democristiano ha avuto due fasi assolutamente distinte, che non solo non si possono confrontare tra loro, implicandone una certa continuità, ma addirittura storicamente incommensurabili.
La prima fase di tale regime (come giustamente hanno sempre insistito a chiamarli i radicali) è quella che va dalla fine della guerra alla scomparsa delle lucciole, la seconda fase è quella che va dalla scomparsa delle lucciole ad oggi.
Qui Pasolini introduce, come accennavamo prima , una categoria storiografica errata, e tuttavia interessante: la continuità tra regime fascista e regime repubblicano[…] . in realtà, questo passaggio ha creato una forte discontinuità sia a livello politico sia a livello economico, sebbene alcuni dei vecchi poteri siano rimasti intatti. Bisogna considerare che esistono diverse forme di capitalismo: la gestione dittatoriale del capitalismo da parte del fascismo, la dittatura della borghesia, ed un capitalismo o più capitlaismi gestiti attraverso la democrazia parlamentare. [..] la seconda fase “si apre dunque con la scomparsa delle lucciole: “in questo periodo la distinzione tra fascismo e fascismo operata sul “Politecnico” poteva ache funzionare. Infatti sia il grande paese che si stava formando dentro il paese –cioè la massa operaia e contadina organizzata dal Pci sia gli intellettuali più anziani e critici, non si erano accorti che “le lucciole stavano scomparendo”. Nessuno poteva sospettare la realtà storica che sarebbe stato l’immediato futuro: né identificare quello che allora si chaimava “benessere” con lo “sviluppo” che avrebbe dovuto realizzare in Italia per la prima volta pienamente il “genocidio” di cui nel Manifesto del Partito Comunista –uno dei più acuti testi di analisi politoco-filosofica, insieme a Che cos’è il terzo stato di Sieyès (1789) e alla Costituzione degli Stati Uniti d’America (1787)-, il genocidio storicamente progressivo è quello delle culture particolari, su cui Marx ed Englels esprimono un giudizio darwinamente positivo, all’opposto di Pasolini. Per Marx, nella storia, i sistemi sociali a più alta produttività del lavoro sconfiggono sempre quelli a più bassa produttività. [..] le lucciole rappresentano un mondo di valori, di mores nel senso antropologico di miti, credenze, costumi mondi vitali. “I valori” nazionalizzati e quindi falsificati, del vecchio universo agricolo e paleocapitalistico, di colpo non contano più [..] a sostituirli sono i “valori” di nuovo tipo di civilità totalmente “altra” rispetto alla civiltà contadina e paleoindustriale. […]
Come abbiamo già detto, ciò che colpisce maggiormente Pasolini rispetto all’Italia è la rapidità con cui si produce questo cambiamento: in vent’anni il paese compie un percorso storicoche altri paesi europei si era compiuto in due secoli, e dà ciò discende la sua preoccupazione che alla crescita economica non corrisponda un pari sviluppo della crescita intellettuale e culturale delle popolazioni investite dalla trasformazione.
Pasolini non esprime queste concezioni da pensatore politico o da intellettuale politico, ma da letterato prestato alla polemica politica e civile. Il più alto esempio di tale posizione è dato da un intervento che Pasolini pronuncia nel 1974 alla Festa dell’Unità di Milano, e che sarà pubblicato negli Scritti Corsari con il titolo –scelto dallo stesso Pasolini – “il genocidio”. A riportarlo è “Rinascita”, la principale rivista teorica di sinstra, , che affronta diversi argomenti di ordine culturale e di critica letteraria, e che ha molto seguito anche al di fuori dell’ambiente di sinsitra.
Pasolini riassume qui molti dei temi a lui cari, che segnano tutta la sua riflessione poetica. Si tratta forse del vero testamento spirituale del poeta. Egli prende la parola dopo un intervento sulla situazione sociale del paese pronunciato dal principale rappresentante del riformismo comunista, Giorgio Napolitano, che era stato seguace di Giorgio Amendola ma che l’aveva poi abbandonato quando quest’ultimo si era trovato in gravi difficoltà all’interno del Pci. Napolitano esprime un giudizio fondantalmente positivo sulla trasformazione in corso in Italia, basando il suo discorso sul cambiamento economico-sociale, sull’aumento dell’occupazione operaia, sull’ampliamento delle classi medie, sulla modernizzazione del paese, anche attraverso la comparazione con gli altri paesi europei. L’Italia, proprio in quelli anni, entr anel novero dei paesi industriali e comincia ad essere invitata ai consessi internazionali che prima la vedevano esclusa (scambio di opinioni e ruolo dell’Italia nel Mediterraneo). […]. Negli stessi anni Pasolini scrive il suo ultimo romanzo, Petrolio (pubblicato nel 1975), incompiuto e difficile, rimasto ancora allo stadio di riflessione, e che rivela un nuovo elemento della sua poetica: una grande rivoluzione linguistica. Pasolini non si cura più della bella forma; al contrario, inizia a scomporre il testo. Petrolio è un romanzo meno tradizionale rispetto ai precedenti, e si avvicina molto allo stile che in quelli stessi anni porta al massimo livello un altro interprete critico della modernizzazione, il quale proietta però il suo lavoro all’interno della fabbrica: Paolo Volponi, autore di il Memoriale (1962) e le mosche del capitale (1989).
L’intervento di Pasolini alla Festa dell’Unità di Milano va collocato nel contesto di uno scambio di opinioni. Se solitamente chi parla in pubblico cerca di adeguare il suo discorso agli interventi precedenti, Pasolini se ne distacca invece totalmente.
“dirò subito, e l’avete già intuito, che la mia tesi è molto pessimistica, più acremente e dolorosamente critica di quella di Napolitano. Essa ha come tema conduttore il genocidio: ritengo cioè che la distruzione e sostituzione di valori nella società italiana di oggi porti, anche senza carneficine e fucilazioni di massa, alla soppressione di larghe zone della società stessa. Non è del resto una affermazione totalmente eretica o etrodossa. C’è già nel Manifesto di Marx un passo che descrive con chiarezza e precisioni estreme il genocidio a opera della borghesia nei riguardi di determinati strati delle classi dominate, soprattutto non operai, ma sottoproletari, o certe popolazioni coloniali. “
“oggi l’Italia sta vivendo in maniera drammatica per la prima volta questo fenomeno: larghi strati, che erano rimasti per così fuori dalla storia – la storia del dominio borghese e della rivoluzione borghese – hanno subito questo genocidio, ossia questa assimilazione al modo e alla qualità della vita della borghesia. Pasolini si riferisce qui alle subculture escluse dalla storia scritta. E’ un elemento che, pur non cristallizzandosi mai nel suo pensiero, lo collega al punto più alto della riflessione intellettuale contemporanea, per esempio allo studio della storia orale. [..] alcune conoscenze continuano ancora oggi a essere trasmesse solo dall’oralità: si pensi per esempio alle pratiche lavorative dei contadini e allo stesso lavoro di fabbrica. Il famoso libro di Elias Canetti, La lingua salvata (1977), fa riferimento alle culture della Mittleuropa, molte delle quali non sono state tramandate proprio per mancanza di testimonianza scritta. il dominio della storia borghese, legato all’industrializzazione e guidato dal consumismo, realizza in Italia la grande differenza storica: l’industrializzazione ha coinciso direttamente con l’emergere della società del consumo, ed è per questa ragione che nel nostro paese l’incidenza del consumo privato è molto elevata. La ricchezza non è vissuta come bene pubblico, ma come consumo individuale: l’orientamento all’azione, le pulsioni politiche, si relazionano perfettamente all’aumento dei consumi privati. Pasolini è il primo a mettere a fuoco questa distinzione e la sua intuizione sarà raccolta da un grande economista, Augusto Graziani che in un’antologia di scritti sulla storia economica d’Italia chiarisce bene questo passaggio. Pasolini analizza il modo in cui avviene il genocidio, ossia l’assimilazione al modo e alla qualità di vita della borghesia. “io sostengo che oggi ess avviene clantestinamente, attraverso una sorta di persuasione occulta”.

I testi del genocidio delle lucciole sono stati tratti da “Modernizzazione senza sviluppo –il capitalismo secondo Pasolini, di Giulio Sapelli ed. B. Mondadori-2005
4
Darei l’intera Montedison per una lucciola

Pier Paolo Pasolini lo andava ripetendo profeticamente da anni che in Italia si è assistito in modo impotente e spesso complice da parte del sistema dei partiti dominanti (centro-destra-sinistra) ad uno sviluppo senza progresso; e per progresso sott’intendeva innanzitutto: culturale, sociale, etico, ecologico;
P. Paolo Pasolini inoltre andava ripetendo da anni che il consumismo era da considerare non semplicemente una nuova ideologia borghese del neo-capitalismo consumista emergente nel dopoguerra ma come nuova forma nascente di totalitarismo capace di cancellare forme radicate da secoli di cultura popolare (anche tradizionale), cancellazioni che non erano riusciti a provocare neppure le SS naziste occupanti i territori in complicità con il fascismo della Repubblica di Salò.
E poi P.P. Pasolini era molto chiaro nei suoi desideri che espresse in questa affermazione non romantica ma ecologista radicale: darei la Montedison (industria petrolchimica) per una lucciola.
“ad ogni modo, quanto a me (se ciò a qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola.”
5
Verso la metamorfosi

“nihil est toto, quod perstet, in orbe. Cuncta fluunt, omnisque vagans formatur imago: niente al mondo permane uguale a se stesso, tutto fluisce in un perpetuo mutare di forme. Sono le parole del sapiente Pitagora che nel XV libro delle Metamorfosi spiega l’intima natura del mondo. Dalle origini del cosmo al tempo della sua contemporaneità. Ovidio racchiude in grandioso progetto, tutto il patrimonio mitico e culturale dell’antichità greco-romana. In una complessa struttura che conduce dal mito alla storia. Tratto da Laura Correale – alias – il Manifesto 28 luglio 2013.
6
Metamorfosi canto e poesia

La nostra vita attiva e i nostri saperi comuni debbono percorrere una vera e propria metamorfosi con la poesia, poesia non intesa in senso puramente letterario ma mitopoietico cioè con quella capacità della ragione antica di lanciare un ponte sull’inconoscibile divenire attraverso il mito; la poesia ha avuto in molti casi la funzione di anticipare uno sguardo sul futuro, ma anche la capacità erotica (con la sua vitalità avvalendosi dell’Eros) di trarre il vivente – e le cose amate – ; noi abbiamo bisogno un’altra volta di allearsi con Eros (l’amore) per salvare le cose amate-per noi il vivente (in forma naturale e culturale) e di strapparle allo stato apocalittico in cui versano (oggi la distruzione veste forme nuove, si può chiamarla paradossalmente “distruzione creativa”, forme di distruzione introdotte dalla modernità e velocizzate dal modo di produzione capitalistica e dal consumismo.
7
Il canto e la poesia di Orfeo

Il ruolo della poesia è ben documentato nel mito del divino Orfeo che attraverso il canto trae l’amata Euridice dal mondo degli inferi e la conduce al mondo dei viventi. Del resto oggi gli umani di tutte le aree metropolitane –come ieri Euridice, sono permanentemente rapiti ed incantati dalle sirene della pubblicità e del consumismo, e gettati in uno stato di addiction o dipendenza che si può definire schiavitù volontaria).
Orfeo è da considerarsi l’inventore della poesia e del canto, ma non fu un canto ed un poesia qualsiasi. Quel canto ebbe la capacità di persuasione irresistibile verso gli dei che avevano rapito e tenevano in ostaggio negli inferi, Euridice, la donna amata da Orfeo; noi dobbiamo ripensare al canto e alla poesia in forme nuove capaci di persuadere a rilasciare e ridare autonomia ed indipendenza alle masse amate incatenate da TV e Social network; canto, poesia, filosofie capace di far ritrovare attenzione , capacità critiche, inventive ed altri mondi possibili oltre l’esistente mondo degli incatenati e dipendenti dalle merci e dai suoi valori di scambio.
8
Antico come resistenza al moderno

Se la modernità per riprendere Benjamin attraverso lo sguardo di Baudelaire è “distruzione creativa”; questa “distruzione creativa” ha assunto toni paradossali ed accelerazioni distruttive nella nostra tarda modernità con i suoi automatismi conumistici dettati dalla legge valore e delle apparenze imposte dalla pubblicità; pubblicità che induce inconsapevoli coazione a ripetere e a sfondare limiti, e sopravvivere nelle proiezioni esterne, con i suoi guinness dei primati di estremità (sesso estremo, sport estremo, cibo estremo, ginnastiche estreme ecc.); allora se c’è qualcosa che resiste nel tempo alla modernità non è la tradizione la quale tenda all’opposto alla conservazione a bloccare le mutazioni o le metamorfosi , ma piuttosto l’antico – che spinge a riflettere e agire nei limiti naturali e culturali classici (limiti che non sono freni in senso moralistico e religoso ma piuttosto possibilità concrete e reali del nostro divenire anche mortale di vivere fino in fondo le nostre chances. E quindi per quanto riguarda l’agire materiale creare forme e produzioni che rispondano a necessità e bisogni e non ha proiezioni di pil (prodotto interno lordo) a pif (prodotto interno di felicità):
9
Metamorfosi, mito-poiesi, elementi materiali e simbolici

Dipartimenti , laboratori e mappe
Come gruppo iniziatore, quando la “libera comune università pluriversità bolognina- comunimappe” muoveva i primi passi, abbiamo ipotizzato di suddividere ed aggregare le variegate attività didattiche, di ricerca e pratiche in dipartimenti e a sua volta questi di articolarli in laboratori, quali realizzazione e concretizzazione dei progetti di ricerca-azione; ricerca ed azione due aspetti inscindibili- , l’una capace di ritrovare mappe affettive, percettive e concettuali l’altra capace di trasformare radicalmente i territori attraversati.
Dipartimenti che non rimanessero dei territori chiusi l’uno verso l’altro, ma dipartimenti aperti che fossero espressione oltre che della loro specificità ricercata ed agita anche della complessità (intesa come consapevoli legami che le parti intrattengono con il tutto, quell’invisibile insieme interconnesso che è il vivente con i suoi artefatti).
Fin dall’inzio abbiamo assunto l’attuale apocalisse dei mondi viventi (materiali e simbolici) come punto di partenza per invertirvi la tendenza; l’attuale apocalisse non è generata né da fenomeni naturali entropici né qualche cataclisma che ci ha sorpreso nelle sue imprevedibili manifestazioni (caduta di asteroidi) , ma da una precisa strategia (o automatismi economico-fianziari) del capitale produttivo e finaziario di sussunzione del vivente (umano e non umano) nella sua perversa logica di valorizzazione mortifera di denaro-merce-capitale e nella logica inerte di produzione-consumo devastazione di beni comuni naturali e culturali.
Per ridare considerazione e valore a ciò che il tardo capitalismo e il consumismo come sua ideologia distruggono nella forma da un lato creativa dall’altra tossica (generando forme  di alienazione e dipendenza).
Abbiamo pensato di nominare i nostri costituenti dipartimenti attribuendo ad ognuno di loro un elemento, elementi che nel loro insieme sono alla base dell’immaginario filosofico e culturale orientale ed occidentale quali sono acqua, aria, fuoco e terra. Elementi base della materia e del simbolico che hanno contribuito a generare il mondo reale ed immaginario da noi abitato. Elementi che manifestano nella loro specifica potenza e nelle loro possibili ricombinazioni modi di reinventare e ricreare le variegate forme della vita (come manifestazione del vivente).
Politeismo o polimorfismo del vivente
Una forma di politeismo o polimorfismo del divenire singolare e comune dentro un ricreato orizzonte ecologico e antropologico (consapevolezza del nostro essere in relazione col vivente e con le sue forme simboliche e materiali permanentemente rigenerate).
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liberare gli elementi e strapparli alla teologia

“il politeismo è la forma che meglio ricalca e asseconda una realtà pensata e vissuta come tumulto pluriverso e sovradeterminato, serie di intrecci irriducibili ad una direzione, ad un progresso, ad una destinazione: i molti contro la riduzione ad uno.” Fabio Frosini -liberare gli elementi e strapparli alla teologia- Alias 17/11/2012 .
F. Frosini fa queste affermazioni nell’ambito della presentazione del saggio Teologia dei quattro elementi : manifesto per un politeismo politico, ed Mimesis-2012, del filosofo Augusto Illuminati.
Il politeismo del bene comune
A.   Illuminati presentando il suo sopracitato saggio in un articolo di Alias-il Manifesto -17/11/2012- il politeismo del bene comune – così sintetizza la sua ricerca: ”abbiamo frugato elemento per elemento (d’acqua, d’aria, di fuoco e di terra) per cogliervi il dissidio profondo fra una lettura teologica che li riporta a ombre dell’unico Dio, e metafora dell’onnipotente sovrano politico, e il politeismo che vi legge potenze degli umani e della natura da Lucrezio, a Spinoza, a Goethe. “
e prosegue: “teniamo ora di definire una teologia del politeismo: una festa federale delle singolarità sociali in aggregazione ed in conflitto, non di comunità trasparenti (solo) a se stesse. Federazione di forme di vita come diceva G. Debord alla vigilia del 1968, copresenzaa simultanea di molti tempi federati. Intendendo per forma di vita una condizione definita da una struttura economica e sociale, per esempio dagli effetti debitori e occupazionali della finaziarizzazione, che produce precarietà (materiale,esistenziale e simbolica)…..”
e parecchio più in là..
“ciascuna forma di vita ha un suo corredo di passioni gioiose e tristi, una diversa esperienza nel tempo, nel contrarsi del presente e correlativo perso della memoria e delle attese future, assume droghe disparate: varianti inconfrontabili con quelle tradizionali per effetto della corrosione del carattere e della precarizzazione del lavoro che ha reso irreversibili. La condizione precaria si schiaccia nella cittadinanza condizionata e ricattata del migrante, colorate dalla giovinezza, di cui le attitudini neoteniche, sono pretesto di feroce sfruttamento quanto testimonianza della flessibilità dell’animale umano nell’apprendimento prolungato. “ da A.Illuminati-il politeismo del bene comune, alias-il Manifesto-22-11-2012.
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Il lavoro vivo post-fordista la condizione in pech (una sfiga per Marx) della precarietà e la traducibilità reciproca delle forme della vita separate

“il tocco adolescenziale implica e riproduce l’indole potenziale del lavoro vivo post-fordista, il rischio positivo della dipendenza di masse operaie dal vampiresco apparato del capitale fisso.
…..
Nel III millennio, come prima per il lavoratore produttivo, essere giovani è una sfiga, ein pech, come scriveva Marx. La precarietà accomuna cerchie distinte e le mantiene nella separatezza, nel terrore di confondersi e precipitare verso il peggio. La traducibilità reciproca delle forme di vita, condizione per un riscatto dal debito e dalla crisi, rimane virtuale e senza egemonia (capacità gramsciana di influenzare positivamente l’intera società ed orientarla al cambiamento).”  A.Illuminati-il politeismo del bene comune, alias-il Manifesto-22-11-2012.
La classe operaia nucleo essenziale e gli intellettuali nell’ottocento-novecento come attori dei processi di simbolizzazione (creare valori quali giustizia, libertà e cooperazione solidale) trasformazione radicale della società (rivoluzioni e conflitti capaci di generare nuovi diritti sociali e civili).
“Nell’ottocento-novecento essa fu garantita dalla classe operaia delle grandi aziende minoritaria rispetto all’insieme dei lavoratori (artigiani, contadini, braccianti…), ma concentrata e disciplinata dal processo di produzione capitalista di cui costituiva il nucleo essenziale. La rinforzò l’avanguardia organizzata composta da intellettuali di origine borghese e quadri professionali di fabbrica (operai specializzati o di mestiere portatori di conoscenze specifiche ma anche alfabetizzati). Condizione non riproducibile (ora), almeno in occidente, per la frammentazione degli insediamenti industriali e della stessa tecnologia lavorativa (delocalizzazioni, esternalizzazione e lavoro autonomo eterodiretto, automazioni e riduzione della classe operaia di fabbrica s’aggiungono a quanto esposto). Non è semplice sostituirvi una qualche egemonia del precariato organizzato (e degli stessi migranti regolari e clandestini), per il solo fatto di concentrare il tratto comune del lavoro sfruttato. La società della conoscenza (e del cognitariato) si è rivelata nella crisi, una promessa inadempiuta in occidente come in Cina, per non parlare dei diplomes chomeurs (diplomati disoccupati) nel Magreb (le varie primavere arabe o turche nelle periferie mediorientali come le rivolte degli indignanti delle varie occupy nelle metropoli, tra loro interconnessi a livello globale attraverso i differenti social network ha provato forse ha manifestatasi questa potenza sommersa e frammentata dei nuovi strati precari cognitari del lavoro vivo post-fordista). ).” 
Frammenti di  A.Illuminati-il politeismo del bene comune, alias-il Manifesto-22-11-2012.

Disidentificazione e divenire-minore come condizione di assemblaggio di traduzione reciproca
“La disidentificazione che accompagna il crollo del sistema sovranità-popolo e al fordismo produttivo precipita nel punto in cui l’oggettività dell’egemonia svela la traccia della sua contingenza, riaprendo il tempo evento della politica. Il divenire-minore è condizione di un assemblaggio per traduzione reciproca di altre condizioni minori, soprattutto quando la forma di vita che vi si candida contiene intensivamente in sé alcuni tratti epocali e concomitanti di eccedenza e precarietà. L’organizzazione delle lotte storiche (delle classi subalterne ed operaie dei secoli trascorsi) si radica nell’autodisciplian dei produttori garantita da una filosofia teleologica (finalistica, finalizzata a..), ma in un diverso rapporto con il general intellect (l’intelletto generale o il sapere sociale come prodotto del comune agire e dell’agire in comune ). La candidatura traduttiva e promozionale della frazione più intellettuale del lavoro vivo precario non si condensa in un gruppo sociale: il cognitariato è un soggetto identitario solo nel miraggio capitalistico della società della conoscenza(come capitale umano individualizzato, messo in competizione e al lavoro,  sussunto nella rete della cooperazione ‘volontaria o della servitù volontaria “ e nel processo planetario di produzione sociale capitalista).
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Politeismo

“Politeismo vuole dire tenere distinte e comunicanti le forme della vita, senza accettarle per defenitive, anzi facendole giocare ad un superamento delle condizioni imposte dalla crisi.” Frammenti di  A.Illuminati-il politeismo del bene comune, alias-il Manifesto-22-11-2012.
Prosegue:
“ abbiamo ispirato il nostro lucreziano politeismo a Venere, hominum divoque voluptas, che percuote i cuori con la sua forza vitale, v’infonde dolce amore, propagando le generazioni delle stirpi e assopendo le feroci opere della guerra. Rinneghiamo il regno totalitario del commerciante Mercurio (divinità della comunicazione e del commercio oggi inscindibili attraverso la menzogna di una certa pubblicità dominante nei media di massa) che arricchisce pochi banchieri e affama masse prostrate. Resta, ahinoi, Marte, la cui ferocia si accresce con i progressi della tecnologia e la ui presenza nell’agire umano non è agevole abrogare. Ebbe una funzione oggettiva nel portare a realizzazione gli schemi rivoluzionari virtuali dello scorso secolo, a partire dal 1871 (il popolo in armi non è semplicemente una metafora machiavelliana per indicare il legame tra sovranità e popolo in uno stato nazionale, ma una costante dell’agire politico moderno delle masse: la Comune di Parigi (1871), la rivoluzione d’ottobre (1917), le varie comuni europee dell’inizio secolo XX (la Berlino degli spartakisti, il biennio rosso italiano ecc.), la rivoluzione proletaria russa (1917), la rivoluzione sociale e libertaria spagnola (1936). Come escludere che abbia a che fare con il nostro tortuoso presente? Visto che nel segno di Mercurio non riesci a domare la crisi concordando un nuovo equilibrio geopolitico, l’appello di Marte torna a risuonare, come nell’agosto del 1914 e del 1939 (prima e seconda guerra imperialista occidentale), oppure nelle forme più decentrata della seconda metà del secolo trascorso e più di recenti disavventure mesopotamiche ed afgane (guerre globali neo-coloniali e neo-imperiali). Un po’ di keynesismo militare non guasta mai per smaltire merci e poveri, mentre si affaccia la tentazione di utilizzare la residua superiorità tecnologica Usa per ridimensionare pericolosi concorrenti sul nascere e tenere sotto controllo l’immigrazione anche una severa ammonizione a insubordinati e insorgenti cadrebbe a puntino. Se tale sciagurato scenario prevalesse, ogni iniziativa egemonica dal lato delle moltitudini subalterne ne verrebbe qualificata con tratti operativi nuovi ed esiti incerti. Da pagani novelli, interrogheremo gli oracoli, senza trascurare di erigere argini. ).” Frammenti di  A.Illuminati-il politeismo del bene comune, alias-il Manifesto-22-11-2012.
Il politeismo politico di A. Illuminati secondo Fabio Frosini
“D’altra parte la teologia in quanto tale, al di là delle sue belle declinazioni, va ripercorsa e criticata, perché essa è potenza ideologica che mobilita energie –dalle passioni alle disquisizioni metafisiche, e le mette tutte in linea, come in una batteria. Ecco allora l’ipotesi di lavoro: “in generale potremmo ipotizzare che la teologia monoteista tende a chiedere l’incompletezza dell’universale, mentre quella politeista (una nuova mitologia) che lascia sussistere sul piano dell’immaginazione simbolica, dell’ideologia e dunque della politica, cercando un altro tipo di unificazione tra teoria e prassi”. (A. Illuminati).

“Una qualche unità di teoria e pratica, la teologia è sempre in grado di realizzarla: si tratta di optare spostando l’accento del (non del) teologico verso il mitologico (verso un sapere laico ed antropologico), come in una regressione temporale, e di qui al politico, che in questo modo può riscattarsi da quel ruolo di “agente sotto copertura” che sempre ricopre nel caso dell’uso governativo della religione (considerata in senso machiavellico ixstrumentum regni ). In ogni caso, il lavoro da compiere non è solo sui contenuti, ma sullo stile, la forma insomma lo statuto del discorso teologico. Non mancano del resto, esempi: il frammento di sistema “Hegel-Hoederlin, opportunamente ricordato da Illuminati, continua a metterci dinnanzi alla stessa questione: la verità si definisce non nel muto dialogo del pensatore con l’universale, ma nel nesso politico reale con l’elemento popolare. La questione dunque: scavare dentro la teologia per riscoprire il fondo popolare cioè arcaico nell’immenso patrimonio mitologico e religioso occidentale ed orientale, nell’ipotesi di lavoro che solo moltiplicando gli universali, questi vengono realmente mondanizzati, non solo come concetto, ma nella concreta pratica collettiva. Il fatto che la cancellazione (o eclissi) storica del partito come avanguardia di classe rimette a nudo una struttura di lunga durata, la religione come quel tessuto culturale, che più estensivamente e intensivamente , collegato le masse popolari: la teologia è il sapiente, astuto discorso strategico che imprigiona e articola questo tessuto e lo costringe a rimodellamenti continui sulla base delle contrastanti esigenze del momento. Il lessico-base della teologia, in quanto si esercita sulla religione, non può che essere allora quello dei quattro elementi, cioè del modo in cui le società indo-europee hanno parlato del mondo, della realtà, e che nonostante tutto, è ancora alla base del nostro vocabolario, quando non adottiamo un approccio settoriale. Se come scriveva Schmitt, “tutti i concetti pregnanti della moderna dottrina dello stato sono concetti teologici secolarizzati”, allora la dinamica secolare delle cangianti necessità e opportunità politiche riscrive, necessariamente, la teologia stessa. Se il concetto di secolarizzazione è il luogo di una disputa in cui nulla è mai dato, si comprende come la teologia politica sia la grammatica storicamente più durevole e ramificata del potere.
Dell’opzione politeista s’è detto: è la scelta per l’immanenza, che immediatamente significa il doppio rifiuto della logica della sovranità e di quello della governance, cioè della “variante pastorale”. La genealogia Machiavelli, Goethe, Nietzsche,nel segno di Lucrezio e di Spinoza, è una preziosa fonte di ispirazione, ma non basta. Come essi fecero, occorre praticare l’immanenza, non solamente pensarla. Occorre anzi pensarla in un modo, che sia incompleto senza la sua pratica. Ma in che forma ciò è possibile? Illuminati ripropone a modo suo, una hoelderliniana mitologia della ragione, e la pratica avventurandosi in questa “artigianale Elementatio thelogica”. La scorreria compiuta attraverso acqua, aria, terra e fuoco non può essere qui ricostruita , se non sommi capi e nel suo significato generale. Si tratta, banalmente di riappropriarci del mondo, ma non di un supposto mondo vergine al di qua della storia, bensì proprio del mondo, come è stato pensato, detto e governato sotto i
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I quattro elementi



Lungo i quattro elementi, ciò che emerge è la necessità di un’organizzazione “egemonica” di tutto ciò che si presenta come irriducibile alle categorie giuridiche sovrane”, per farlo passare dalla resistenza diffusa ad una qualche forma di progetto. La politica è “egemonica quando associa interesse e passione in una narrazione”. Ecco il punto: gli elementi vanno narrati, per conferire loro un ordine alternativo a quello giuridico-teologico, immanente alle pratiche di resistenza. Un ordine che essi di per sé non hanno e che può essere detto solo inventandolo. E qui ci scontriamo con una difficoltà, perché la trascendenza di quella invenzione si sovrappone all’immanenza di quelle pratiche. Del resto, in mancanza di intellettuali organici [Gramsi parla del partito come intellettuale organico (immerso in quella materialità comune sociale) alla classe operaia e alle classi subalterne) ], questa difficoltà riproduce esattamente la situazione. F.Frosini: liberare gli elementi e strapparli alla teologia, alias il manifesto.
l prisma di ciascuno dei quattro elementi, arricchito e riformulato continuamente, secondo un sistema aperto di rinvii reciproci che cancellano in radice l’antitesi tra natura e cultura, tra spontaneità e potere. Dentro ogni elemento, la teologia politica, per controllare le spinte dei subalterni, ha inscritto elementi reciprocamente irriducibili, stravolgendoli ma anche in certo modo salvandoli, per cui la storia degli elementi è anche la dimostrazione dell’inesauribilità del conflitto”.
 F.Frosini: liberare gli elementi e strapparli alla teologia, alias il manifesto.
Specifici elementi materiali e simbolici

Acqua
 “Così l’acqua è l’immagine del diritto di natura da Spinoza opposto alla chiusura del potere, è la fluctuatio animi rispetto alla ragione, ma anche il simbolo del dominio imperiale sui mari e, allo stesso tempo, della pirateria che a ciò si ribella dall’interno.
 E’ distribuzione democratica della vita ma anhe messa a regimee controllo di essa.F.Frosini: liberare gli elementi e strapparli alla teologia, alias il manifesto
Terra
La terra, come chora irriducucibile al discorso del logos, riemerge come territorio da spezzettare e da colonizzare, che però sempre i nuovo rivendica la propria unitariertà e comunitareità nei tumuliti condotti in nome di un altro diritto (di nuovo Spinoza). F.Frosini: liberare gli elementi e strapparli alla teologia, alias il manifesto.
Aria
L’aria (accomunata all’etere) è metafora della volatilità e della modernità, e dunque allo stesso tempo, del potere diffuso e dei modi per eluderlo: dalla totalizzazione dello spazio grazie alla cibernetica, all’articolazione materiale del conflitto nelle ricadute praticeh del General Intellect (per K. Marx, sapere sociale prodotto dal lavoro vivo nel corso el tempo). F.Frosini: liberare gli elementi e strapparli alla teologia, alias il manifesto.
Fuoco
Il fuoco, infine, allo stesso tempo è umile fiamma che riscalda, cuoce, conforta o rogo che annienta infedeli ed eretici; è simbolo manifesto dell’universale a anche, molto più banalmente, “contorno teatrale” del ctumulto come alternativa alla spettacolare fiammata rivluzionaria purificatrice. F.Frosini: liberare gli elementi e strapparli alla teologia, alias il manifesto.

Testo elaborato da Pino de March – Versitudine on line (versitudine.net) per la comune accademia di comunimappe.

TASSE DEBITI E ALTRE AMENITA’

Perché si pagano le tasse? Esiste una relazione tra tasse e debiti? A queste domande dare una risposta semplice è impossibile. Tante strade si aprono appena si prova a riflettere.
Le tasse si pagano perché in cambio si hanno dei servizi; così viene spiegata comunemente la questione. Con le tasse però si paga anche il debito pubblico, anzi, con l’aria che tira ai nostri giorni la tendenza è quella di pagare prima il debito e poi con le rimanenze far fronte ai servizi. E siccome di soldi c’è ne sono sempre meno, i servizi come istruzione e sanità si riducono qualitativamente. Di questo passo, se la logica ha ancora cittadinanza, e considerando l’accettazione supina della classe dirigente del concetto di debito composto o anatocismo, il destino già segnato è il fallimento sociale. 
Vediamo di dare uno sguardo alle nostre spalle. Nelle città stato dell’antichità si poteva finire facilmente schiavi per debiti. Da uomini liberi a schiavi il passo avveniva perché un individuo incominciava a non avere più la capacità di rimborsare il proprio debito. Ad esempio, un contadino poteva essere costretto da un’annata difficile a chiedere un prestito, se negli anni successivi aveva messi ricche, tutto si risolveva, ma se per qualche motivo si presentavano altre annate dannate dalla siccità, allora era facile entrare nel circuito infernale dei debiti insoluti che aumentano inesorabilmente. Lo stesso può dirsi di un commerciante o di un possidente che per vari motivi si trova in difficoltà e costretto a chiedere un prestito. Tutto ciò, se reiterato e generalizzato per un gran numero di cittadini, poteva portare alla dissoluzione di quella società. Infatti il contadino che si vedeva in difficoltà, difronte alla prospettiva di finire schiavo, preferiva smettere di coltivare, abbandonare in tempo il suo terreno e darsi alla macchia, magari affiliandosi a qualche banda che scorrazzava nelle aree impervie o nelle foreste, la conseguenza era che aumentavano i campi incolti. Il passaggio dalla civiltà alla barbarie in questo caso, se la faccenda dei debiti diventava generalizzata, era inevitabile. Aumentando il numero di cittadini che finivano schiavi e incrementandosi il numero di bande dedite al delitto e alla rapina, non poteva che aversi il disfacimento di quello che con molta fantasia è stato chiamato “contratto sociale”. La soluzione era quella di “metterci una pietra sopra”; periodicamente i debiti dei privati venivano azzerati, così molti briganti per necessità potevano tornare alle loro campagne e coltivarle, con il vantaggio per la collettività e la sola perdita di un singolo usuraio.

Nel passato, rimaniamo sul generico e ipotizziamo solo un’epoca grosso modo contemporanea alla storia di Roma (700 a.c. – 400 d.c.), per costituire e mantenere un esercito vi erano enormi difficoltà. Per potersi permettere un esercito, cioè avere a disposizione ad esempio ventimila uomini armati, ad un monarca era necessario destinare almeno altrettanti occupati al loro mantenimento. Diversamente un esercito poteva ripagarsi e dunque riprodursi con il diritto di saccheggio concesso a loro da chi li assoldava. Ma il saccheggio, a parte le violenze e gli stupri e l’immediato banchetto successivo alla battaglia, voleva dire portarsi dietro animali e cose piuttosto ingombranti; a meno che non si trattasse di metalli ed oggetti preziosi. Vi era un modo molto semplice per ovviare a queste difficoltà: pagare un esercito di mercenari direttamente con una moneta con il conio del re. Il sistema trovava il suo equilibrio nel momento che quest’ultimo accettava la moneta come modalità per pagare le tasse; questo permetteva al re di stipendiare l’esercito che a sua volta poteva rifornirsi tranquillamente e senza altre questioni logistiche di tutto il necessario dalla popolazione. Cosa ci dice questo? Che emettendo una moneta e accettandola come pagamento delle tasse era possibile costituire un esercito. La forma primordiale dello stato si completava in un potere in mano a pochi, un esercito e un territorio sottoposto all’autorità (ma anche alla protezione). Inoltre, e non è secondario, si avviava una forma di mercato, dove tutti, e non solo gli stipendiati militari, si scambiavano merci e servizi con la stessa moneta circolante. Forse il re non aveva pensato a questa seconda conseguenza, ma ciò non significa nulla. Le faccende che noi consideriamo storiche, in fondo, sembra che siano frutto di un misto di casualità e contingenza; si mischia sempre, nelle dinamiche umane, un poco di caos con la determinazione di qualcuno. Quello che poi avviene a volte è prevedibile, a volte no.
Supponiamo che in un territorio vi sia uno stato un tantino assente (tanto per rendere più credibile il tutto immaginiamo un’isola di forma triangolare) dove alcuni, che si sono costituiti in gruppo e sono disposti ad usare la forza, impongano il pagamento di un pizzo. Questi signori del pizzo, con la ricchezza accumulata dovranno pur fare qualcosa, anche se inizieranno con il migliorare la propria qualità della vita, facendosi costruire piscine e carrozze, avranno comunque redistribuito quanto estorto alla collettività ad artigiani e portatori d’acqua. Avranno inoltre questi signori la necessità di reperire gli artigiani competenti se non ci sono in loco. Forse dovranno mandare i loro figli a studiare, per poi erigere scuole dove formare quelli che dovranno costruire gli oggetti e quanto serve perché sia resa la loro esistenza gradevole. In tutti questi casi avranno comunque stimolato la nascita di un mercato, avranno acceso il motore che strapperà dalla tendenziale inerzia gli individui. 
Può sembrare questo un discorso che legittima le associazioni malavitose e sminuisce l’autonoma capacità degli individui di intraprendere iniziative che migliorino se stessi e la collettività. Oppure si può cogliere in quanto detto una sorta di genesi, un possibile inizio di una qualsiasi entità statuale. In questo caso dovrebbe dedursi che gli stati possono anche nascere a partire da un gruppo malavitoso. Vi è pure un’altra faccia della medaglia:  i soldi accumulati col pizzo potranno essere dati in prestito; la forza del gruppo, la possibilità di riscuotere il debito in ogni caso, renderà facile avere il prestito perché a garantire non ci sarà la solvibilità del soggetto ma la certezza di poter disporre della sua vita se necessario. Comunemente ai giorni nostri questo si chiama strozzinaggio, ma il confine tra prestiti “legali” e prestiti “strozzini” non sempre è segnato in maniera netta. E siccome non tutti saranno insolventi o per contro non si potranno uccidere tutti i debitori, bisognerà prima o dopo far girare la ruota e rimettere in piedi un nuovo stato, oppure un esercito o stabilire delle regole per evitare di scivolare nel caos; questa ultima ipotesi oggi, in cui tutto ha dimensione planetaria e non più locale, significherebbe l’auto-distruzione dell’umanità, il suo dissolvimento, anche se individualmente nessuno lo vuole.
Esiste un legame indissolubile tra tasse, debiti, stato e regole condivise. Quando questi elementi incominciano ad avere valori incompatibili o muore la società che li ospita o essi elementi andranno ridefiniti. Una faccenda facile a dirsi ma complessa in misura della complessità in cui si aggroviglia la società.
Paolo Bosco
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P.S. questo articolo è stato scritto grazie ad un debito contratto dall’autore con un libro di David Graeber, Debito, ed. italiana Il Saggiatore. Inoltre piccole quote di debito si possono far risalire a qualche insegnate dei tempi andati, ad altri libri letti, alle discussioni tra adulti ascoltate negli anni dell’adolescenza etc. etc. – Esistono debiti estinguibili, altri, come quelli che costituiscono il nostro bagaglio culturale, non è possibile ripagarli. Essi ci suggeriscono semmai di essere a nostra volta generosi verso gli atri. A dispetto di chi pensa che le relazioni siano delle transazioni contabili, che tutto sia misurabile ed anche che esista una reciprocità perfetta.
IMMAGINE TRATTA DA http://nickcernak.com/2011/10/27/occupy-inspired-art-posters/

IL GIOCO DEL MONOPOLI E QUELLO DELLA REALTA’

                                                                       
Tutti conoscono il gioco del Monopoli, gioco ritenuto con qualche approssimazione ispirato alle regole del capitalismo. Ma definire cosa sia il capitalismo non è cosa semplice, forse è possibile sintetizzarlo nella formula denaro – merce – denaro, il che vuol dire che comprando una merce col mio denaro ne ricavo una quantità maggiore nel momento in cui rivendo quella merce. C’è però un’altra questione affine al capitalismo: il denaro che produce altro denaro, cioè la speculazione, cioè guadagnare il diritto di comprarsi da vivere senza lavorare (a meno che speculare venga considerato un lavoro). Ma di questo parleremo tra poco.

Tornando al gioco del Monopoli e alla sua relazione con il capitalismo salta subito agli occhi una considerazione,  la quale è di una ovvietà tale che assomiglia a quelle evidenze talmente plateali da non essere riconoscibili (come una mosca fatica a capire di essere sul dorso di un elefante quando si posa su di esso), l’evidenza è questa: vince a Monopoli chi manda in rovina tutti gli altri giocatori, vince chi possiede tutto. Ma nel momento che possiede tutto un solo giocatore finisce il gioco. Così è presumibile che il gioco del capitalismo finirà quando un solo mega super riccone, o una famiglia, o una corporazione manderà tutti gli altri in rovina avendo acquistato tutto. Bisogna però aggiungere che per attenuare questo fenomeno (che altrimenti si sarebbe forse già realizzato) chi ha vinto molto, per evitare la fine del gioco, presta il suo capitale in cambio di un interesse agli altri giocatori – denaro che produce altro denaro – rimandando la fine a un tempo indeterminato.
Il Monopoli sembra che abbia radici che prendono linfa da più sperimentazioni di singoli individui ma le basi del gioco si rifanno alla teoria economica di Henry George, il così detto georgismo. Questa teoria parte dalla considerazione che tutto quello che si trova in natura (terra e beni immobili creati nel tempo) appartiene all’intera umanità, mentre il frutto del lavoro individuale appartiene al lavoratore. Da qui l’idea che il prelievo fiscale dovrebbe avvenire su chi ha in uso o in comodato beni naturali, mentre il lavoro dovrebbe essere privo di tassazione. Infatti nel Monopoli si versa ad ogni giro una tassa su quanto posseduto.

Ma adesso lasciamo il gioco e affrontiamo la realtà, a partire da quella storica. Nei secoli i beni naturali sono stati oggetto di appropriazione, di accaparramento, di privatizzazione. E ad esse sono seguite guerre per difendere o appropriarsi di quanto altri avevano conquistato. Con la stabilizzazione della proprietà privata (epoca della borghesia) si è passati a ritenere quest’ultima come un dato naturale e la sua regolamentazione attraverso le leggi come la soluzione a tutti i mali. Anche la nascita degli stati nazionali segue la stessa logica, ed anche la costituzione dei catasti per avere una certezza sui possedimenti e sui possessori. 
Il capitalismo prende piede da questi processi, tra la razionalizzazione analitica dei processi produttivi (grazie anche alle scoperte tecnologiche), facendo evolvere il lavoro artigianale in lavoro operaio guidato da un imprenditore, e il loro utilizzo per generare ricchezza: l’economia reale ad uso della speculazione finanziaria.
Una domanda sempre valida è la seguente: a cosa serve la finanza e la speculazione? A cui si può rispondere in molti modi, astrusi se derivano da addetti ai lavori, semplici se ricercate nell’osservare le vicende e i fatti. Il mondo finanziario è nato con la costituzione delle assicurazioni, cioè la possibilità di assicurare un bene contro la sua perdita accidentale. Già i veneziani, per evitare le rovine che potevano avvenire dalla perdita di una nave carica di spezie provenienti da oriente, avevano inventato lo stratagemma di assicurare la nave. Conveniva a tutti i mercanti pagare una cifra per ogni carico e non rischiare la perdita di un intero carico anche una sola volta, evento che significava la rovina della propria impresa commerciale. Ugualmente gli artigiani che lavoravano i metalli preziosi (siamo sempre verso la fine del medioevo) si erano trasformati in depositari delle ricchezze di coloro che temevano a lasciarli incustoditi nelle loro abitazioni. In entrambe i casi abbiamo un accantonamento di risorse, un patrimonio che certamente dispiaceva lasciare inoperante e che smuoveva grossi appetiti. Lo stratagemma appena descritto era nato per garantire tutti senza distinzione, come la creazione dei magazzini per accantonare le scorte alimentari nelle società precedenti i Grandi Imperi, era utile per superare senza gravi conseguenze i periodi di carestia.
Questo è il solo utile scopo che giustifica l’esistenza del mondo della finanza. Ed è talmente prezioso che ha fatto gola a coloro che delle risorse finanziarie erano grandi detentori. Un tale sistema per la sua natura sociale dovrebbe essere controllato dal pubblico, poiché è l’equivalente di un potente strumento tecnologico, simile a una bomba atomica, che se dato in mano ai privati può essere usata contro l’umanità. Purtroppo da sempre in mano ai privati, lo strumento finanziario è il principe dei sistemi per sfruttare e governare in maniera assoggettante le popolazioni. Il controllo dei magazzini determinò la nascita di una casta di privilegiati e la figura del re/imperatore; il controllo della finanza e la speculazione, tramite grandi masse di ricchezza monetaria (compresa la moneta virtuale), ha creato la grande borghesia e le ristrette famiglie di potentissimi banchieri. 
La leva finanziaria ha la capacità di stimolare l’economia reale (come una sniffata di anfetamina) ma esagerando si cade nella dipendenza; il che vuol dire nella possibilità di fluttuare tra un up e un down, che è l’andamento tipico delle crisi a cui siamo abituati. Se la leva della finanza fosse sotto il controllo pubblico si potrebbe evitare questo alternarsi di alti e bassi dell’economia, poiché non ci sarebbe nessuna necessità di speculare. Infatti la speculazione serve per trasferire nei momenti “down” ingenti ricchezze dalle mani di tanti a quelle dei pochi speculatori. Ma il controllo pubblico non è di per se una panacea, specie se il pubblico poi equivale ad un controllo di gruppi ristretti e di massonerie che dietro le quinte muovono le pedine e gestiscono concretamente la macchina statale. Il pubblico significa bene supremo, in quanto appartiene a tutti, e perciò dovrebbe essere circondato da una considerazione sociale di altissimo profilo. Il pubblico non significa una cosa che, non essendo di nessuno nello specifico, è a disposizione del primo prepotente approfittatore. Il pubblico dovrebbe essere curato e gestito in maniera controllata e diretta dal basso, come la più sofisticata strategia democratica. Dovrebbe essere preservato da ogni appetito privato, coscienti che appartiene all’umanità nel suo insieme, passata, presente e futura, e non di volta in volta al rapace di turno. La gestione del pubblico è oggi la misura del grado di democrazia raggiunto e di quello che si vuole raggiungere. 

Non ci deve essere posto per il mercato quando si tratta dei beni comuni fondamentali alla vita di tutti, quando rappresenta la garanzia per la dignitosa sopravvivenza di una umanità sempre più in pericolo di estinzione o, nel caso migliore, a rischio di guerre e carestie per la pressante crisi ambientale dentro cui ci troviamo.

fonte foto:  http://www.oltrelacoltre.com/public/uploads/2013/05/borse-giu.jpg

Paolo Bosco

SE LA TERRA PARLASSE

Se la terra parlasse chissà cosa direbbe. Verosimilmente nulla di piacevole per noi. Troppi conti in sospeso per sperare di farla franca. Se la terra parlasse come prima cosa farebbe una grande sfuriata, ci metterebbe dentro qualche accidente e darebbe sfogo alle tante questioni che si trascinano da millenni: come la pratica degli incendi per aprire aree coltivabili o i disboscamenti selvaggi. Entrambe modalità da rapaci utilizzatori che non poco hanno contribuito a cambiare il clima lungo i millenni. E poi avrebbe da ridire per le guerre, quelle che lasciavano sul terreno migliaia di cadaveri dopo cruenti corpo a corpo e quelle che del terreno facevano e fanno frantumi con bombe sempre più potenti. Alzerebbe la voce parlando dell’ultimo secolo e delle risorse incamerate nel sottosuolo che oramai sono state quasi tutte trasferite nell’atmosfera dopo un veloce passaggio dentro i cilindri di un motore. Farebbe forse notare l’assurdo di un ritorno indietro nel tempo che con veloce progressione stiamo raggiungendo, un tempo precedente alla presenza di forme evolute di vita nella terra, quando i gas serra oscuravano il cielo.

Se la terra parlasse forse prima di parlare emetterebbe un lungo sospiro, simile al vento caldo che arriva dall’Africa, lasciandoci così tutti attoniti per la grande potenza dimostrata. Scrollerebbe il capo e forse rimarrebbe senza parole, perché a parlare siamo tutti buoni quando abbiamo la pancia piena. Farebbe forse notare la faccenda degli sprechi e la fame che ancora morde tante popolazioni; poi si ritirerebbe in campagna, a coltivare un pezzettino d’orto. Proprio come sempre più spesso si ritorna a fare anche nelle città. Darebbe dimostrazioni magistrali sui modi per ricavare le zucchine e i pomodori senza impoverire il terreno. Ci spiegherebbe le azioni biologiche e le possibilità di coltivazioni.

Il Dipartimento della terra, in collaborazione con il nascituro dipartimento dell’aria organizza:


il 14 giugno pomeriggio – sera negli orti di via Erbosa.
SE LA TERRA PARLASSE
Programma:

H. 16 Nicola Laruccia – pedologo* – Performance di parole e musica “Se la terra parlasse”.

H. 17 Thé alla menta – offerto da ComuniMappe

H. 17.30 Carlo Bordini – poeta, costruttore di parole per richiamare il legame tra Natura e Cultura. (Prima realizzazione del Dipartimento dell’aria)

H. 18.30 Antonio Varano – presidente orti via Erbosa. Presentazione dei progetti in corso in collaborazione col Dipartimento della Terra.

H. 19 Giulio Marianacci – agronomo e ricercatore, terrà la seconda lezione su “la gestione degli orti urbani” ( la rima lezione si è svolta il 25 maggio).

H 20 Cena Cus cus con verdure e ceci e, solo a richiesta, brodo di manzo. (E’ gradita la prenotazione su comunimappe@gmail.com) 


H 21 Film – Madre Terra – Documentario di Ermanno Olmi. 
(pedologìa s. f. [comp. di pedo-2 e –logia]. – La scienza del suolo e, più precisamente, del terreno agrario (detta anche geologia agraria), che indaga la formazione, la struttura fisica, la composizione chimica, il contenuto in sostanze umiche, le proprietà fisico-chimiche dei diversi terreni, etc. – dizionario Treccani)



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Approfondimenti:

Il  costituente  Dipartimento dell’Aria si concretizza nella ritrovata

relazione materiale di poesia, canto, filosofia e letterature minori

(delle forme ricreate del mutante vivente  o della spiritualità

laica).

Tempo fa in un’intervista radiofonica -mi pare radio Tre Cultura- a Stephen Jay Gould, noto paleontologo docente di zoologia e geologia di Harward, veniva posto la seguente domanda: “lei, come ricercatore e studioso  autorevole di evoluzioni biologiche della terra e dei suoi innumerevoli esseri viventi, potrebbe indicarci la percentuale attendibile di natura e di cultura di cui è composta la nostra specie Homo Sapiens?” Stephen J. Gould per nulla imbarazzato anzi divertito della domanda rispose in modo perentorio: “L’homo sapiens o noi umani siamo composti dell’indifferenziato 100% di natura e 100% di cultura.”


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Cattive notizie

“L’umanità è una specie connessa al resto della natura vivente per
orgine e per destino, nella salute e nella malattia. Gli esseri
viventi sono collegati fra loro, scrive David Quammen nel suo
splendido studio, anche dal legame naturale delle infezioni, cioè
delle interferenze di una specie nell’altra all’interno degli edifici
biofisici dell’ecosistema.  Gli agenti delle infezioni sono
microscopici (batteri, funghi, amebe) e ultramicroscopici (i virus).
La storia è stata influenzata da epidemie di peste, colera, vaiolo,
tbc, influenza, come quella del 1917-1919 con 50 milioni di vittime… le
malattie non virali sono controllate con medicine e misure igeniche.
L’assedio preoccupante è posto oggi dai virus. Sorti contemporanemente
ai primi esseri viventi i virus, sostengono molti biologi,
contenegono un archivio che sta circolando da miliardi di anni, con
effetti sorprendenti. La coevoluzione ha portato, ad esempio, ad un
mescolamento genetico in seguito al quale il nostro genoma è
costituito pe l’8% di materiale virale. C’è chi motteggia che i virus
nel corpo umano si trovano a casa. Le nostre difese sono poco efficaci. Il
libro di David Quammen è il resoconto di strategie virali e delle
recenti epidemie in uomini ed animali. Per il biologo Peter Medawar,
premio nobel per la medicina nel 1960, “i virus sono frammenti di
cattive notizie avvolti in una proteina.”  ..
Quali “cattive notizie”, per usare le parole di Peter Medawar,
dobbiamo aspettarci?
I microbiologi paventano un next big one, cioè una pandemia virale,
probabilmente di tipo influenzale, con un massacro di proporzioni
inaudite. Che cosa la farà scoppiare? Quando la crescita di una specie
acquista dimensioni innaturali, essa si arresta lentamente o per
crollo improvviso. Una volta superati i sei miliardi di persone,
ammonì tempo fa il biologo Edward  O.Wilson ci si avvicina
all’incompatibilità con l’ambiente. Da allora la popolazione è
cresciuta di un miliardo e continua a crescere di 70 milioni di
persone l’anno.  La massa umana supera di oltre 100 volte il volume di
qualunque altra specie vivente e vissuta. Essa è estesa e continua a
dilagare in tutti gli angoli della terra, sconvolgendo ecosistemi
remoti e antichi di millenni, costruendo strade, estirpando e
asfaltando boschi e foreste, usando a profusione concimi
tossici, inquinando laghi, mari, fiumi e torrenti; trivellando in terra
ed in mare. Una delle conseguenze della devastazione ambientale è
l’attivazione di batteri e virus fino ad ora silenti. Le dimensioni e
la velocità della crescita umana depongono a favore dell’arresto per
schianto. Come avverrà? Molti epidemiolghi ritengono che i dati
convergano a favore dell’ipotesi del next big one, cioè la riduzione
derastica della popolazione, sarà provocata da una pandemia
influenzale di virus-Rna, facilitata anche dalla rapidità dei
collegamenti fra regioni lontanissime. I virus potrebbero essere nuovi
per mutazione oppure essere vissuti in altri animali e attaccare per
zoonosi l’uomo per la prima volta,  trovandolo privo di difesa in un
ambiente divenuto sfavorevole per eccessi di abitanti. Anche se
quersta previsione non dovesse pienamente avverarsi, per miliardi di
esseri umani la vita potrebbe diventare un inferno.
Da David Quammen Spillover – Animal infections and the next human
pandemic – Norton & Co, New York – London, pagg.586.
Alla fine un virus-Rna ci seppellirà (da sole 24 ore di Arnaldo
Bennini -9/06/2013)



Memoria paleontologa

(tratto da Quarto rospo freudiano di S.J. Gould)

Ho avuto spesso occasione di citare un’acuta, quasi rammaricata
osservazione di Freud, riguardo al fatto che tutte le maggiori
rivoluzioni nella storia della scienza, fra molte diversità, hanno un
motivo comune: aver spodestato via via, un pilastro dopo l’altro,
l’arroganza umana dalle sue cosmiche certezze.
Freud riporta tre di questi casi presentandole come le tre
prinicipali ferite narcisiste di quell’essere arrogante e presuntuoso
che è “l’uomo delle certezze assolute”;
una volta credeva di vivere al centro dell’universo limitato, finché
Copernico, Galileo e Newton non gli hanno rivelato che la terra è un
minuscolo satellite di una stella di secondaria importanza.
(Solo Pascal, il poeta ed il filosofo,  si misurerà per tutta la vita
con questa ferita producendo delle acute riflessioni sullo spaesamento
e sulla perdita di senso dopo questa  perturbante scoperta).
Dopo di che questo presuntuoso ed arrogante essere umano tra i viventi
si è consolato immaginandosi che Dio, in realtà, avesse scelto questa
collocazione periferica per creare l’unico organismo a Sua immagine,
finché non è arrivato Darwin che “ci ha relegato a discendenti di un
mondo animale.”

Abbiamo quindi – di cui anche noi in parte – cercato sollievo nelle nostre
menti razionali finché,  come Freud nota in una delle affermazioni
meno modeste della storia delle idee, la psicologia  ha scoperto
l’inconscio (cioè ha rovesciato quel secolare paradigma cartesiano
– cogito ergo sum – penso quindi sono – con  un altro, se vogliamo, per
parafrasare il primo – sentio ergo sum);
l’osservazione di Freud è acuta, ma trascura molte altre importanti
rivoluzioni iconoclaste (non voglio criticarlo: ha soltanto  cercato
di spiegare un processo, non ha preteso di fornire un elenco
esauriente);  in particolare omette il contributo fondamentale dato
dai miei campi di studi, geologia e paleontologia: il contraltare
temporale alle scoperte di Copernico sullo spazio.
Intesa letteralmente, la storia biblica era veramente confortante:
una terra di pochi migliaia di anni su cui l’uomo (maschio), tranne
che per i primi cinque giorni, è l’essere dominante. La storia della terra
era un tutt’uno con la storia dell’uomo (maschio) e quindi perché non
pensare di essere fine e causa dell’universo?
Ma i paleontologi hanno poi scoperto il deep time (tempo profondo),
per citare la felice locuzione Mc Phee. La terra ha miliardi di anni e
la sua età va tanto indietro nel tempo quanto l’universo visibile si
estende nello spazio. Il tempo da solo,  non solleva minacce
freudiane.
Se la storia umana fosse durata per tutti questi miliardi di anni.
La nostra arroganza, in virtù della più lunga egemonia sul pianeta,
sarebbe aumentata.
La  rivoluzione iconoclasta freudiana è avvenuta quando i paleontologi
hanno rivelato che l’esistenza umana occupa soltanto l’ultimo
“micro-momento” dell’età del pianeta: un centimetro cosmico, un minuto
o due dell’anno cosmico.
Questa estrema riduzione dell’epoca dell’uomo ha posto un’ovvia
minaccia alla nostra presunzione, specialmente in rapporto alla
seconda rivoluzione freudiana, quella darwiniana. Tale limitazione ha
una banale conseguenza, e in genere le affermazioni banali sono
corrette (anche se molte delle rivoluzioni intellettuali più
affascinanti celebrano la sconfitta di interpretazioni apparentemente
ovvie);
se noi non siamo altro che un minuscolo ramoscello del rigoglioso
albero della vita e se il nostro ramoscello ha gemmato soltanto un
momento geologico fa, allora forse non siamo il prevedibile risultato
di un processo intrinsecamente progressivo (la decantata tendenza al
progresso della storia della vita); forse, nonostante le nostre glorie
e nostri talenti, siamo un effimero accidente cosmico che non si
verificherebbe di nuovo neppure se si piantasse l’albero della vita
dallo stesso seme e lo si facesse crescere nelle stesse condizioni.
In occasione del centenario, nel 1959, della nascita di Darwin, il
grande genetista H. J. Muller ha smorzato i festeggiamenti con una
relazione intitolata Cent’anni senza Darwin sono abbastanza?
Muller ha affrontato il fallimento della rivoluzione darwiniana da due
fronti opposti: da una parte, il creazionismo che continua a
persistere largamente nella cultura popolare americana e dall’altra la
limitata comprensione della selezione naturale tra le persone istruite
che pure sono convinte della veridicità dell’evoluzione.
 Sono certo però che il maggiore impedimento al completamento della
rivoluzione darwiniana sia qualcosa di più grave, che non riguarda gli
atteggiamenti opposti.
Freud aveva ragione nell’identificare la soppressione dell’arroganza
umana come risultato comune alle grandi rivoluzioni scientifiche.
In termini freudiani, la rivoluzione non sarà completata finché Gallup
non potrà trovare che una manciata di detrattori o finché la maggior
parte degli americani non sapranno dare una definizione di selezione
naturale.
La rivoluzione darwiniana non sarà completata fino a quando non
distruggeremo il monumento dell’arroganza e non acquisiremo piena
coscienza delle semplici implicazioni dell’evoluzione, la non
prevedibilità e l’assenza di direzionalità nella vita (progresso), e
quando prederemo sul serio la topologia darwiniana, riconoscendo che
l’Homo Sapiens, per recitare la litania un’altra volta, è un sottile
ramoscello, nato ieri, nell’albero che, se piantato di nuovo, non
produrrebbe le stesse ramificazioni a partire dal seme. Noi ci
aggrappiamo al fuscello del progresso perché  esso rappresenta per noi
la migliore possibilità di conservare l’arroganza in un mondo
evoluzionistico. Solo in questi termini riesco a capire perché un
argomento così improbabile e debole mantenga su di noi un ascendente
tanto potente.
Tratto da – Gli alberi non crescono fino al cielo – paragrafo: “Come
ingoiare il quarto rospo freudiano.”


METTIAMO IN MOTO LA ZUCCA



Mettiamo in moto la zucca potrebbe essere una raccomandazione, il consiglio dato da un padre o una madre, il senso comune portato a sistema per auto-governarsi.

Mettiamo in moto la zucca è un libero comitato nato a Bologna, nel quartiere Bolognina, promosso da un gruppo di genitori preoccupati del cattivo stato del parco della Zucca.

L’inizio di questa storia assomiglia a tanti altri casi simili: prima di tutto appare la parola degrado.

Il parco, come purtroppo avviene in tanti altri luoghi pubblici, rischiava il degrado a causa della scarsa manutenzione; nonostante fosse il luogo dove tanti bambini e genitori vi passano le ore pomeridiane diventava gradualmente meno sicuro. Il taglio alla spesa pubblica riducendo gli interventi rischiava di lasciare questo, come tanti altri luoghi della città, in balia del caso e privo di progettualità. Ad aggravare la situazione la crisi economica e la disoccupazione crescente che colpisce le fasce più deboli e gli immigrati.

Se un parco tende a degradarsi per motivi economici e sociali cosa si può fare per cambiare rotta? 

Alcuni chiederanno più controlli, più polizia. Appello all’apparenza ragionevole. Ma è possibile per qualsiasi amministrazione pubblica soddisfare questa richiesta? E soprattutto, è possibile militarizzare per dare più sicurezza? A guardare negli archivi della ragione (e della storia) la sicurezza militare di un territorio si può dare solo attraverso il coprifuoco. Se le persone che si trovano in giro sono solo coloro che disattendono un provvedimento di coprifuoco, allora è possibile il controllo di quel territorio. In un ambiente dove non circola nessuno, chi lo fa è palesemente un potenziale colpevole.

Altri (ed è il caso dei genitori associati) hanno pensato di usare una strategia opposta: si sono messi in movimento (felice il connubio tra nome del parco e il doppio senso che acquista come nome per associarsi) rimboccandosi le maniche e hanno proposto all’amministrazione di assecondare la loro azione risanatrice. Questo è un caso emblematico di gestione condivisa di un bene comune.

Mettiamo in moto la Zucca ( qui il link ) da oltre un anno promuove insieme alle realtà sociali del territorio iniziative che puntano a rendere fruibile lo spazio pubblico, sicuri i giochi per i bambini, aperta e solidale la fruizione del parco.

ComuniMappe partecipa con un proprio contributo all’iniziativa che si terrà il prossimo


31 maggio

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Una breve cronistoria del comitato Mettiamo in moto la Zucca!
L’idea del comitato Mettiamo in moto la zucca! è nata in un assolato pomeriggio del settembre 2011 quando un piccolo gruppo di cittadini/e del quartiere della Bolognina che da tempo si ritrovavano al Parco con i/le propri/e bambini/e, ha sentito l’esigenza di cominciare a ragionare su come rendere questo piccolo ma prezioso spazio verde un luogo dove fosse sempre più piacevole incontrarsi, giocare, chiacchierare e creare momenti di socialità e condivisone fra tutti e tutte. Ai primi di ottobre abbiamo lanciato l’idea di un incontro pubblico per discutere insieme ad amministratori locali, altre realtà da tempo attive sul territorio (Centro Sociale Montanari, Casaralta Che Si Muove, Museo di Ustica) ed abitanti del quartiere su come valorizzare il Parco.
Nel volantino scrivevamo:
Piuttosto che solo lamentarci del “degrado” e trovare facili capri espiatori, vogliamo rimboccarci le maniche e lavorare insieme affinché il Parco diventi un luogo che sia sempre più piacevole frequentare. Vogliamo partire da piccole cose: la cura del verde, il potenziamento dell’area giochi e dell’arredo del parco (cestini per la raccolta differenziata dei rifiuti, panchine, tavoli per pic-nic …) e l’organizzazione di iniziative, ludiche e culturali, che favoriscano una gioiosa e serena partecipazione di tutti gli abitanti del quartiere alla vita della Zucca.
Ed è da queste “piccole” ma importanti cose che abbiamo cominciato a lavorare, trovando l’adesione entusiasta di altri frequentatori del parco che nel corso dei mesi si sono uniti a noi e l’appoggio di altre realtà attive nel territorio, come il Centro Sociale Montanari e Casaralta Che Si Muove, realtà con le quali il 18 dicembre 2011 abbiamo animato l’iniziativa C’è una zucca sotto l’albero!

Nell’ambito della Festa di Primavera organizzata tutti gli anni dal Centro Sociale Montanari, il 30 aprile 2012 abbiamo organizzato un incontro pubblico con gli amministratori del Quartiere e rappresentanti dell’Ufficio Verde del Comune per porre loro la questione del rinverdimento del Parco.

Il 6 giugno 2012 abbiamo organizzato la prima festa di Mettiamo in moto la Zucca!al Parco della Zucca, in collaborazione con il Centro Sociale Montanarie con il patrocinio del Quartiere Navile. Il ricavato della festa, che ha visto la partecipazione di tantissime famiglie, è stato destinato all’acquisto di nuovi giochi ed arredi per il Parco.
Nel corso del tempo abbiamo potuto contare sulla disponibilità del Quartiere che, nonostante la cronica mancanza di fondi, è venuto incontro ad alcune nostre proposte per migliorare la vivibilità del parco: piccoli interventi di manutenzione su giochi in precarie condizioni, l’ aggiunta di una nuova rastrelliera per le biciclette e soprattutto, in corrispondenza dell’uscita pericolosa su via Ferrarese, la posa di barriere di protezione che hanno molto migliorato in termini di sicurezza la frequenza del parco di genitori con bambini/e. Inoltre a luglio 2012 sono stati collocati nel Parco due nuovi giochi frequentatissimi dai bambini più grandi.

Durante il week-end del 21-22 ottobre 2012 abbiamo organizzato l’iniziativa Streghe, scope e colori, patrocinata dal Quartiere Navile.  Sabato 21 ottobre, nei locali del Centro Sociale Montanarisi è tenuto un laboratorio di streghe: piccole mani di bambini/e aiutate da mani di adulti, hanno impastato, steso, tagliato la pasta per fare delle buonissime streghette poi infornate e portate a casa in deliziosi sacchetti con la ricetta. Il giorno dopo – una bellissima domenica di sole – abbiamo organizzato insieme con Legambiente Bologna una pulizia del Parco della Zucca . Insieme a tanti bambini/e e adulti abbiamo raccolte montagne di cicche, carta, plastica ed anche vetri di bottiglia così pericolosi in un parco in cui bambine e bambini corrono, giustamente spensierati,  senza il timore di poter cadere su oggetti che possono mettere a rischio la loro incolumità. Infine un pranzo conviviale e campestre con tutti/e coloro che hanno accolto il nostro invito ha concluso la giornata.
Dopo la pulizia del Parco abbiamo chiesto al Quartiere e all’Ufficio Verde del Comune di Bologna di verificare la possibilità di installare il più celermente possibile nuovi cestini con posacenere, ed abbiamo dato la disponibilità a contribuire alla spesa attingendo dal ricavato della festa del 6 giugno.

Durante l’inverno 2012-2013 abbiamo proposto e realizzato una serie di laboratori presso lo Spazio Bimbi delle Officine Minganti.

Il 14 aprile 2013 abbiamo organizzato un’altra giornata di pulizia straordinaria del Parco, sempre in collaborazione con LegaAmbiente Bologna.

Infine il 31 maggio abbiamo organizzato, in collborazione con tante altre realtà operanti in Bolognina (Bolognina Sociale, Centro Sociale Monatanari, ComuniMappe, Dojo Equipe, Leggere Strutture, Piazza Grande) una grande festa nel parco che mostra la ricchezza e la vivacità del nostro quartiere.

IL FLOP DI TUTTO L’ARCO ANTICOSTITUZIONALE

Il sindaco di Bologna, la diocesi cattolica e tutte le autorità religiose non solo cittadine, l’economista Zamagni, Prodi, Matteo Renzi e tutto il pd, il pdl, il papa, l’intero arco che una volta si chiamava costituzionale e che oggi marcia contro la Costituzione ha dato indicazione per smentire ciò che dice l’articolo 33 ed hanno perso. 
Un gruppo di genitori, partiti dall’indignazione nel vedersi esclusi dal diritto di accesso per i propri bambini alle materne pubbliche, è riuscita ad aggregare forze politiche e sociali e portare dentro le urne referendarie più votanti della grande coalizione di cui sopra.
Il referendum di Bologna, consultazione popolare prevista dallo statuto comunale, chiedeva senza ambiguità di esprimersi su come utilizzare le risorse pubbliche dedicate all’istruzione. Poteva essere solo un esercizio di democrazia diretta, poteva anche vedere su diverso fronte soggetti politici di uguale appartenenza, poteva dare un contributo su come si amministrano le risorse in maniera condivisa e aprire ad una partecipazione delle realtà sociali più interessate alla questione. Ed invece si è risolto tutto sul piano delle contrapposizioni, si è buttata “in politica” l’intera faccenda portandola all’attenzione nazionale, si sono cercate vittorie dal sapore disperatamente confermativo di tutto l’insieme delle intese larghe, dalle forze politiche alla chiesa universale. Questa mole mastodontica è riuscita a mobilitare un numero di cittadini misero, ed ora si schermisce e vorrebbe mettere in carico anche coloro che a votare non sono andati. Mentre i vincitori, il 60% dei votanti ha dato indicazione con il dettato dell’articolo 33, dovrebbero sentirsi perdenti. 
Mettiamo in chiaro una faccenda che lo stesso Prodi ha rilevato: a votare sono andati tutti coloro interessati alla questione. Sono andati a votare le famiglie con figli in età scolare, le suore e il personale religioso, gli incalliti portatori dell’ideologia di ciascuno dei fronti. I primi han votato rivolti al fatto concreto (i figli da mandare a scuola senza doversi impiccare) i secondi han votato per salvare i soldi pubblici che ricevono annualmente (sfido chiunque a rinunciare senza battersi al dio denaro) e infine i terzi han votato per marcare il piano delle idee di entrambe le schiere.
Hanno votato per l’opzione A oltre cinquantamila persone, per la B trentacinquemila. Chi ha vinto?

Il referendum è un modo per raccogliere l’opinione dei cittadini. Ci sono questioni che riguardano tutti, problematiche settoriali che per la loro tecnicità non raccolgono l’attenzione di molti, domande rivolte in maniera incomprensibile, decisioni che viaggiano più nelle convenienze che nell’interesse pubblico, scelte che vanno ben oltre i limiti propri del problema posto. Quello che deve sopravvivere alle competizioni tra idee è il metodo con cui si raccoglie l’orientamento generale. Chi non vota ha semplicemente rinunciato a dire la sua, non lo si può tirare da una parte o dall’altra (sempre dalla parte di chi perde, chissà perché). Per migliorare la pratica del referendum, oltre ad abolire il quorum, si dovrebbe evitare l’utilizzo di argomenti e di logiche esterne al quesito. Probabilmente, come diceva Simon Weil, bisognerebbe prima abolire i partiti politici e poi dare corso alla libera fluttuazione degli schieramenti a seconda del problema posto.
«La conclusione è che l’istituzione dei partiti sembra proprio costituire un male senza mezze misure. Sono nocivi nel principio, e dal punto di vista pratico lo sono i loro effetti. La soppressione dei partiti costituirebbe un bene quasi allo stato puro. E’ perfettamente legittima nel principio e non pare poter produrre, a livello pratico, che effetti positivi. I candidati non direbbero agli elettori: “Ho quest’etichetta” – il che dal punto di vista pratico, non spiega rigorosamente nulla al pubblico sul loro atteggiamento concreto relativo a problemi concreti – ma: “Penso tale, tale e tale cosa riguardo a tale, tale e tale grande problema”. Gli elettori si assocerebbero e si dissocerebbero secondo il gioco naturale e mobile delle affinità. […] Questa soppressione estenderebbe la propria virtù di risanamento ben al di là degli affari pubblici, perché lo spirito di partito è arrivato a contaminare ogni cosa. In un paese le istituzioni che determinano lo svolgersi della vita pubblica influenzano sempre la totalità del pensiero, a causa del prestigio del potere. Siamo arrivati al punto da non pensare più, in nessun ambito, se non prendendo posizione “pro” o “contro” un’opinione e cercando argomenti che, secondo i casi, la confutino o la supportino.»
(da: “Manifesto per la soppressione dei partiti politici” – Simon Weil).

LA GESTIONE DEGLI ORTI

Comune Accademia – Dipartimento della Terra  

&


Associazione Ortolani di via Erbosa Bologna.


Presentano:

Progetto Orti

1° fase – Orto e ortolani, esperienze e gestioni a confronto.



SABATO 25 Maggio – ore 15.30

Zona ortiva di via Erbosa Bologna (nei pressi di Arcoveggio, ingresso da via F.lli Cervi) 
    «L’orto curato dal Dipartimento si è popolato di piante ed ha prodotto un vasto cumulo di esperienze da avviare a confronto. Non mancano erbe spontanee che si rifiutano di cedere il passo alle ortolane, coccinelle e roditori notturni all’attacco predatorio attratti dal tenero fogliame. Tutti gli ortolani limitrofi hanno suggerimenti e soluzioni, alcuni non condivisibili perché veicolati dalle insane pratiche nate nel connubio tra industria chimica e agricoltura. Altre esperienze sono interessanti perché intraprendono un cammino a ritroso verso un risanato rapporto con la natura, perché arrivano da persone anziane con una lunga esperienza di coltivazioni o perché sono un portato dei nuovi cittadini, giunti da diverse parti del mondo con i loro metodi e le loro piante da orto.»

Di tutto questo ci occuperemo nel primo incontro/seminario organizzato agli orti di via Erbosa.

– Giulio (Ricercatore presso la Facoltà di Agraria, Università di Bologna) 
terrà una lezione sulla gestione degli orti.
– Paolo (Dipartimento della terra, insegnante e da sempre coltivatore appassionato) 
presenterà le linee generali del Progetto Orti e gli obiettivi che si vogliono raggiungere.

Progetto Orti – APPROFONDIMENTI: 


Il Dipartimento della terra ha ipotizzato una serie di interventi che nei prossimi mesi punteranno a coordinare gli ortolani più sensibili al fine di adottare un comportamento coerente e compatibile con l’ambiente.
Le iniziative che vogliamo sviluppare vanno dalla coltivazione biologica alla pratica del compostaggio per ottenere fertilizzante utilizzando gli scarti vegetali e la parte organica derivante dalla preparazione dei pasti a casa. 
Chi possiede un orto lo fa funzionare anzitutto perché appassionato, consapevole di utilizzare il proprio tempo libero in maniera soddisfacente poiché la cura di un orto non può essere intesa in maniera meccanica. Noi, inserendoci in questo contesto culturale, opereremo per avviare esperimenti e attività didattiche e momenti di socialità.
ORTO – NATURA – ESISTENZA
In questo maggio dal clima variabile (clima cangiante), il sole stenta a conquistare la prima fila nello spettacolo del mondo. Le giornate ortolane sono fatte di alberi appena svegli, di prati verdissimi con un tappeto di margheritine bianche su cui dispiace camminare e poi quadrati d’orti dai colori variabili. Vi si trovano pomodori alle prime armi, piselli e fave carichi di baccelli dai gusci giovani, fragole, patate, carote e sedani. La mente vola verso insalatone multicolori e verdure grigliate. Odori, in vasto assortimento, circondano le siepi: basilico e prezzemolo, origano, finocchietto, salvia, menta; per dire solo delle più popolari.
La natura è proprio esagerata nelle sue manifestazioni estetiche, non si contiene e non bada a spese… e l’ironia sta proprio qui: nessun conteggio, niente calcoli in entrate e uscite, nessun debito o accredito. Tutto si tiene. Tutto sembra perfetto e immacolato. Eppure se ti concentri sul particolare, se osservi una comunità di formiche intenta a riaprire l’ingresso alla propria dimora dopo le alluvioni dei mesi scorsi, noti un vibrare di sforzi e una frenesia lavorativa inusitate. Allora ci si chiede se la formica sia “individuo” (o individua?); non si può fare a meno di pensare alla sofferenza, alle fatiche erculee a cui è sottoposta, pur sapendo che può sollevare oggetti superiori al proprio peso perché la natura ha fornito le formiche di un impianto dalle meccaniche perfette. 
Oramai coperte dall’erba fresca, cumuli di frasche marcite e foglie compresse sotto il peso della neve di febbraio fermentano attaccate dagli organismi decostruttori (termine che rende l’idea della necessità di costruire e del suo contrario); sovviene l’idea del ciclo chiuso: alla morte si contrappone la vita, alla fine di qualcosa un nuovo inizio. 
La natura sembra stare tutta dentro questa formula; una formula che, ci piaccia o no, non prende in considerazione l’individuo. Così per noi umani, riscattati dall’esserci accorti di possedere un io, resta sempre incompiuta l’aspirazione di poter vivere in armonia con la natura. 
A noi il compito di creare un percorso perfettibile, da riaggiustare ogni qualvolta ci accorgiamo di essere fuori strada, ma sempre incompleto, difettoso; ed è già un miracolo quando si trova un accordo sulle modalità per aggiustare l’itinerario.
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FOTO DI Salvatore Di Cara

REFERENDUM SCUOLA BOLOGNA

Domenica 26 maggio si terrà a Bologna un referendum consultivo sul finanziamento pubblico alle scuole dell’infanzia paritarie a gestione privata.

Banchetto in sostegno del quesito A al referendum sulla scuola a Bologna
17 maggio, venerdì, dalle 16
 nella piazzetta antistante il teatro Testoni – via Matteotti.
Informazioni sul referendum, interventi di esponenti della scuola, animazione e musica.
Laboratorio per bambini (metodo Bruno Munari) a cura di Zoo.

Alcune considerazioni generali:
– Questo il quesito a cui il referendum chiede di rispondere:
“Quale, fra le seguenti proposte di utilizzo delle risorse finanziarie comunali che vengono erogate secondo il vigente sistema delle convenzioni con le scuole d’infanzia paritarie a gestione privata, ritieni più idonea per assicurare il diritto all’istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell’infanzia ?
a) utilizzarle per le scuole comunali e statali
b) utilizzarle per le scuole paritarie private” 
Il quesito sottopone al corpo elettorale una scelta univoca tra le due seguenti opzioni di utilizzo delle suddette risorse: 
a) utilizzarle per le scuole comunali e statali 
b) utilizzarle per le scuole paritarie private 
La scelta tra le due opzioni è in funzione di assicurare il diritto all’istruzione delle bambine e dei bambini che domandano di accedere alla scuola dell’infanzia.
La richiesta di referendum consultivo rispetta tutti i requisiti previsti dallo Statuto comunale e dal regolamento sui diritti di partecipazione dei cittadini. 
Il sindaco di Bologna, che ha indetto il referendum perché lo statuto lo prevede, ha il compito di permettere ai cittadini bolognesi di esprimere il proprio parere. Una chiara circostanza in cui si esercita il potere di esprimere in maniera libera e certificata l’opinione generale. Una forma di democrazia diretta riconosciuta dalla costituzione.
Come sempre però la realtà complica le cose. I fautori della scelta B hanno denunciato il rischio di chiusura delle scuole private, il sindaco da super partes si è schierato trasformando il referendum in uno strano oggetto politico in cui ci mette dentro pure le sorti del PD. 
Eppure dovrebbe essere chiaro che, come suggerisce in maniera non equivoca la costituzione, si tratta solo di far valere il principio della scuola pubblica (in quanto) la sola che ha il dovere di essere laica, inclusiva, per tutti. Mentre le scuole private hanno tutto il diritto di essere come meglio credono ma “senza oneri per lo stato”.

Ecco una lettera di una maestra in pensione indirizzata al sindaco Merola:
Lettera

Ecco le cifre del finanziamento pubblico alle scuole private attualmente: